Venerdì, 19 Aprile 2024
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gastonPorto Torres!... Il primo paese sardo è sotto i nostri occhi. Triste e misero villaggio dalle case basse, dove si vedono passare dei bambini smunti; il suo porto somiglia a una pozzanghera. Grandi memorie popolano tuttavia le sue mura silenziose e si librano sui monumenti in rovina che popoli di diverse razze riempirono della loro grandezza.

Gli Spagnoli, in epoche gloriose, vi innalzarono torri dalla facciata merlata che non hanno smesso di rispecchiarsi con fierezza sulle acque del porto. Il "Palazzo del re barbaro", antico tempio della Fortuna edificato dai Romani, mette in evidenza, attraverso le pale dei fichi d'India, le sue strutture crollate. La basilica di San Gavino, anteriore all'anno 1000, restaurata nel 1210 da un giudice del Logudoro, fa da corona ad una collinetta. Al di là delle case, dietro queste testimonianze di età tramontate, terreni ondulati si estendono grandiosi e severi fino all'orizzonte. E mentre a bordo si eseguono le operazioni d'attracco, io penso a questa terra che si stende sotto un cielo tormentato, coperta di rovine, e veramente pallida e tremante di povertà e di malaria. [...] 

Quando avevo pensato di intraprendere questo viaggio, avevo immaginato nella mia mente città miserabili, tetre e abbandonate, popolazioni selvatiche e scontrose. A Sassari ero deliziosamente deluso. Sassari, luogo d'incanto, una specie di seconda capitale della Sardegna, è una città piacevole e affascinante. Collocata, tutta bianca, sul pendio di una collina, circondata da un'immensa cintura di foreste che fremono, ondeggianti, alle carezze dei venticelli, sembra protendersi verso il mare e contemplare l'immensità. Però non è solo il suo aspetto che le conferisce questo incanto: Sassari giace sotto un bei cielo; la cortesia dei suoi abitanti è proverbiale, i paesaggi graziosi e verdeggianti caratterizzano i suoi dintorni. La gente di Sassari si distingue per le usanze e per il dialetto. Infatti così dice con una sfumatura di disprezzo, parlando degli altri abitanti dell'isola: "Sono sardi", vale a dire dei barbari. Essi si sentono esclusivamente Sassaresi. 
Questa città ha pure conservato un carattere un po' strano al di fuori delle grandi vie e delle piazze pubbliche con negozi lussuosi, in una serie di viuzze strette, un vero dedalo rischiarato da una luce scialba. Qui, cavalieri incappucciati di nero, i pugni sui fianchi, la pipa in bocca, il fucile attraverso la sella e la donna in groppa, passano spavaldamente, facendo risuonare il selciato dello zoccolo dei cavalli. Spesso conviene rifugiarsi nelle porte per lasciare libero il passaggio. In queste viuzze, le botteghe sono basse, scure, le casupole tristi. Dalle porte aperte si intravedono, nell'oscurità e nel mistero che esse custodiscono anche di giorno, i lumini da notte che agonizzano dinanzi a pallide madonne.
Normalmente la gente si muove come ombre confuse in questi alloggi mistici da cui esalano zaffate di tristezza, di miseria e di rassegnazione. Alcune facciate contrastano in modo singolare con l'interno tenebroso delle dimore. Talvolta un drappo rosso sventola con scritta in nero la parola "vino". I popolani si fermano e bevono, le massaie vengono a fare la provvista. 
Per la maggior parte del tempo le merci o gli oggetti posti in vendita nell'interno sono indicati da campioni sospesi all'architrave della porta. È divertente osservare esposizioni di cose stranissime: delle cordicelle lasciano pendere sulle vostre teste un pezzo di carbone, un pomodoro, una stearica, fichi secchi, maccheroni, pane, mele, bottiglie d'olio e di vino, qualche volta i due liquidi nella medesima bottiglia. Anche per terra, sulla soglia e all'interno, vi sono mucchi di magnifiche mele cerate o di un bel verde tenero che qui si chiamano "melappiu". Le stanze basse ne sono piene. Sulla strada il loro profumo soave vi segue; esse sono giustamente molto apprezzate. 
Questa città è davvero interessante per i suoi contrasti. Con i suoi edifici, i palazzi, le istituzioni, i negozi, essa è nel complesso moderna; ciononostante una gran parte della popolazione che si ferma o circola nelle strade ha conservato i costumi degli antenati, l'andazzo un po' primitivo di altri tempi. 
Davanti ai negozi di lusso gli individui vestiti di stracci passano dritti o si soffermano. I cenci sono qui un ornamento, quasi una civetteria. Ciò che colpisce pure in questa città è l'attività e il lavoro. La folla è brulicante, gaia; ciascuno attende svelto alle proprie faccende. I caffè (che sono rari) sono poco frequentati anche dagli ufficiali del presidio. 
Il giorno dopo il mio arrivo, venuta la sera, quando il cielo senza luce faceva impallidire la terra di quel bel turchiniccio crepuscolare che tinge prima della notte le bianche città dei paesi meridionali, io me ne andai in giro di qua e di là. Nelle stradicciole dei poveri quartieri c'era in quel momento come un formicolio di scintille. Fasci di fuochi d'artifizio illuminavano ogni porta, il vento ne portava lontano le faville che ondeggiavano, si dondolavano o schizzavano dritte in stelle filanti. Erano le massaie che accendevano il carbone dei fornelli all'aria aperta, per preparare il pasto della sera. Si vedevano le loro incerte figure curve sui bracieri, soffiare con tutte le loro forze, rosse per lo sforzo e per il bagliore del fuoco, che esse sventolavano con una specie di stuoino di forma rotonda. Altre avevano lasciato al vento il compito di attizzare il fuoco. Poi, a poco a poco, i fornelli venivano riportati dentro le case e le strade divenivano scure. Questo spettacolo si rinnova ogni sera, perché qui le case sono prive di camini.

Tratto da: G. Vuillier, Impressioni di un viaggio in Sardegna, Edizione anastatica, Cagliari, Ed. 3T, 1977

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