Manifestazioni - in Sardegna |
Antichi storici di milizie descrivono che il gioco dell'anello consisteva nel sospendere, nel percorso stabilito, un anello all'altezza di un uomo a cavallo che il cavaliere doveva cercar di infilzare con la lancia o con la spada. In seguito il gioco dell'anello e della quintana vennero chiamati giuochi d'armi cortesi in quanto caduta in disuso la lancia per l'invenzione della polvere da sparo, tali giuochi vennero adottati solo come esercizi di addestramento delle giovani reclute di cavalleria.
Tali giochi ebbero larga diffusione e successo in Spagna dove i giovani del luogo competevano con i validi cavalieri moreschi. Ed è proprio così la Sortija spagnola che venne importata in Sardegna, non già dalla Toscana, ma dalla Spagna stessa dove ancor prima degli spagnoli la praticarono i Mori.
I legami tra la Corte d'Arborea e la Corte Aragonese, permise che giudici e donnicelli di quest'ultima corte venissero educati presso la Corte d'Aragona e di conseguenza aver introdotto il gioco equestre nella città giudicale. Si potrebbe datare la presenza della Sartiglia ad Oristano intorno alla metà del sec. XIII.
Nel 1479 dopo la disfatta di Macomer, gli Aragonesi entrarono in Oristano, e la Sartiglia ebbe un notevole incremento. L'evoluzione della Sartiglia seguì l'andamento della storia: con la trasformazione delle strutture feudo-cavalleresche, il gioco venne trasferito in ambiente borghese e popolare e se dapprima era espressione del folklore delle classi nobili e di potere, solo in seguito diverrà espressione di vita, costumi e tradizioni popolari.
Che il gioco equestre ebbe provenienza spagnola è fuor dubbio, ad iniziare dallo stesso nome Sartiglia che deriva proprio dallo spagnolo Sortija e quest'ultima dal Latino Sorticula, anello, ma anche diminutivo di Sors, fortuna.
Così come di chiara derivazione ispanica è il nome di colui che è il capo supremo della corsa su "Componidori" da "Componedor", il maestro di campo figura tipicamente militare della sortija spagnola.
La tradizione narra che durante il Carnevale, frequenti furono le risse sanguinose fra i soldati aragonesi e i cavalieri locali: proprio la confusione carnevalesca era un' occasione propizia per dare sfogo all'odio dei locali nei confronti degli aragonesi dominatori.
Al fine di scongiurare tali episodi nel 1500 un canonico della Cattedrale, Giovanni Dessì, istituì un legato a favore del Gremio dei Contadini per il mantenimento nella Sartiglia.
Il gremio, in seguito società di Santu Juanni e' froris, ha goduto di un lascito con l'usufrutto di un fondo rustico per sostenere tutte le spese necessarie perchè la corsa si effettuasse. Il ricavato di detto fondo doveva essere devoluto esclusivamente per la Sartiglia da qui il nome di "Su Cungiau de Sa Sartiglia".
Da quel momento venne assunto l'impegno di far correre la Sartiglia l'ultima domenica di Carnevale, dopo il canto del Vespro da parte del Capitolo, mentre per la corsa del martedì successivo l'impegno venne rispettato in seguito dal Gremio dei Falegnami (Società di San Giuseppe).
Condizione improrogabile è quella di far svolgere la corsa in qualsiasi situazione metereologica, economica, sociale. Abbiamo sottolineato che la Sartiglia è interamente sotto la direzione de su "Componidori" figura che richiama alla mente tutto il mondo militare, cavalleresco e nobile del passato. Il 2 di febbraio, il giorno della Candelora il paese viene a conoscenza dell'identità del Componidori poichè il presidente del gremio con tutti i gremianti gli porta la benedizione e la candela (di San Giovanni o di San Giuseppe); egli a sua volta sceglie e contatta i suoi due luogotenenti: su "Segundu" e su "Terzu ". Dopo lunghi e faticosi preparativi, arriva il giorno della competizione quando il primo atto della manifestazione è la Vestizione de su "Componidori' momento magico e di grande carica emotiva per chi ha avuto la fortuna di assistervi.
La vestizione avviene su un tavolo (mesitta) sul quale è posta una sedia per su "Componidori", il quale verrà vestito con cura da due ragazze in costume. "sas massaieddas" guidate dalla moglie del Majorali "Sa massaia manna". Il capo-corsa si presenta al rito con i calzoni corti aderenti di pelle color miele e gli stivaloni; il suo costume non differisce di molto dal costume tipico di contadino campidanese del '700.
A questo, si aggiunge il coietto, un giaccone di pelle senza maniche che copre dalle spalle alle ginocchia; ai fianchi è stretto da un largo cinturone di pelle; quindi sulle maniche sbuffate della candida camicia di lino vengono legati due fiocchi di seta del colore del gremio (rosso o rosa).
Ogni mutamento della figura avviene in una atmosfera irreale e solenne: è la magia della trasformazione. Dopo il coietto è la volta dell'elemento più importante: la maschera. Essa viene assicurata al volto oltre che da legacci, da fazzoletti di seta che fasciano la nuca e il viso del cavaliere, lungo l'orlo della maschera stessa. Il rullo dei tamburi si fa assordante sempre più; non c'è più l'uomo con un nome e con un viso: ora è su "Componidori", un semidio senza gioia ne dolore ne sesso e la maschera di legno appare androgina, maschile e femminile allo stesso tempo.
La vestizione, scandita dal suono dei tamburini e squilli di tromba, con la sistemazione, sul capo del cavaliere, del velo bianco finemente ricamato e sopra un cappello a cilindro nero. Ultimata la vestizione viene introdotto nella stanza il cavallo ed avvicinato al tavolo poiché su "Componidori" dal momento in cui è salito sul tavolo per la vestizione, egli non potrà più toccare terra. Secondo la tradizione cavalleresca, la magia del rito ha trasmesso al cavaliere una carica particolare che da essere umano lo fa divenire essere divino, ed in seguito a questa sacralità egli rispetta l'antica regola: una volta in sella su "Componidori" non "podi ponni pei in Terra" (non può mettere piede in terra) poiché in tal caso annullerebbe la sua sacralità. Una volta assestato il cavallo, su "Componidori", riceve da d'Oberaju Majore (il Presidente del Gremio) la cosiddetta "Pippia de Maju" (Pupa di maggio) una sorta di scettro composto da un fascio di pervinca con alle estremità due grossi mazzi di viole mammole.
Lo scettro è una delle tante forme dei cosiddetti maggi ovvero rami fioriti, mazzi o addirittura un intero albero presenti in particolari solennità per l'inizio della primavera: dunque un'espressione della natura in crescita.
Con la "Pippia de Maju" su "Componidori" segna un'ampia croce sui presenti in segno di benedizione e "Sa Massaia Manna" invoca l'aiuto di San Giovanni ("Santu Giuanni t'assistada") o San Giuseppe ("Santu Giuseppi t'assistada").
A questo punto il silenzio regna all'interno dell'ampio salone dove è avvenuta la vestizione; questo per non innervosire ulteriormente il cavallo che deve uscire per dare inizio alla sfilata. Su "Componidori" con grande calma e freddezza monta sul cavallo e si riversa supino su di esso indirizzandolo verso l'uscita. Dinnanzi alla porta su "Componidori" viene accolto dai suoi due aiutanti di campo (su Segundu e su Terzu) e da tutti gli altri cavalieri mascherati, vestiti con splendidi costumi e cavalli riccamente bardati.
Tutt'intorno la magnifica coreografia della folla che applaude e che s'appresta a seguire il culmine della manifestazione: la corsa alla stella. Il tutto viene sottolineato dal ritmo impeccabile dei tamburini e dagli squilli di tromba che ci riportano indietro di qualche secolo. Si forma così il corteo che dovrà raggiungere il Duomo: dinnanzi tamburini e trombettieri appiedati, dietro la bandiera del Sodalizio seguita da s'Oberaju Majore o Maggiorali, il suo vice e tutti i membri del Gremio che portano le spade, lo stocco e la stella. Dietro avanza imponente su "Componidori" con alla sua destra su "Segundu" e alla sua sinistra su "Terzu" cui seguono i numerosissimi cavalieri scalpitanti e fieri.
Il luogo dello spettacolo è presso la cattedrale, ed ivi in mezzo al popolo muovono da una parte su "Componidori", dall'altra su "Segundu" scontrandosi sotto il nastro che ha pendente la stella; incrociando le spade, saluta per tre volte le persone presenti alla giostra e per tre volte passa sotto la stella con un evidente valore propiziatorio. Il rullare sempre più insistente dei tamburi preceduto dagli squilli di tromba, sottolineano la spettacolarità della festa.
L'immagine del cavaliere al galoppo, con il braccio teso, spada in pugno con la quale sfida la sorte, rimane impressa negli occhi di tutti i presenti. Se la stella viene infilzata, l'entusiasmo della folla è al massimo, ma se pèr sfortuna il cavaliere fallisce l'obiettivo si ha un'esclamazione di delusione.Su componidori concede la spada ad altri cavalieri in segno di fiducia o di sfida per poter manifestare tutta la loro bravura: tentano la sorte alla stella e quanto più, numerosi saranno i centri tanto più generoso sarà il raccolto. La corsa si conclude con su "Componidori" che attraversa il percorso, supino sul cavallo, benedicendo con sa "Pippia de Maju" la folla che applaude (sa "Remada").
Ricomposto quindi ìl corteo, ci si appresta ad assistere in Via Mazzini alla corsa acrobatica delle pariglie ove tutti i cavalieri, tranne "su "Componidori" ed i due luogotenenti, si esibiscono a pariglias in tre sfidandosi in spericolate acrobazie equestri.
I cavalieri hanno occasione di esplicare tutta l'abilità e il coraggio effettuando figure acrobatiche stando in piedi sulla groppa dei loro cavalli in uno sfrenante galoppo. E la parte più spettaco1are della manifestazione ove si nota la simbiosi uomo-cavallo e dove la sacralità viene sostituita dal coraggio e la bravura individuale si manifesta con il gioco di squadra. No si ha la percezione del pericolo poiché le figure sono provate e riprovate.
Se uno ha paura non corre... un occhio al cielo che diventa più scuro... una sensazione di appagamento o di delusione alla fine.., ma ... su tutto... un'idea:- "Se l'anno prossimo fossi io su Componidori ?". L'ombra grande della sera coi primi brividi di freddo, getta sulla folla e sui cavalieri un alone di tristezza, finché su "Cumponidori" affiancato da su Segundu e da su Terzu annuncia la fine della competizione passando, di gran galoppo, supino sul cavallo, con sa "Pippia De Maju" vibrata in gran segni di croce.
E lo spettacolo è finito. Su "Cumponidori" in testa tra su Segundu e su Terzu e tutti gli altri al seguito, si dirigono verso dove si tiene la cerimonia della Svestizione. Rimossa la maschera si scopre il volto dell'uomo pieno di soddisfazione e di gioia per essere stato chiamato dalla sorte a rivivere un momento della storia e delle tradizioni oristanesi. Al rito di chiusura tutti i partecipanti alla giostra carnevalesca partecipano a una cena particolarmente festosa (con squilli di tromba e rullare di tamburi) offerta dai Gremì organizzatori. Ringraziando San Giovanni o San Giuseppe per aver terminato "bius e sanusu" (vivi e sani) anche questa Sartiglia augura a tutti:
"ATRUS' ANNUS MELLUS".
(Testo tratto da un Opuscolo del Comitato Sartiglia 1999)
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Ultimo aggiornamento ( Martedì 22 Febbraio 2011 14:09 )