Gli ultimi incidenti di Sa Carrela ‘e nanti di Santu Lussurgiu, la spericolata corsa a cavallo, ripropongono l’annosa questione della sicurezza nelle manifestazioni equestri tradizionali.
Sa Carrela ‘e nanti così come s’Ardia di Sedilo sono le due corse più spettacolari, sentite e partecipate dalla gente dell’Isola. L’una laica e l’altra religiosa sono radicate nei cuori di appassionati e devoti da tempo immemore. Guai a chi le tocca, criticarle è commettere un sacrilegio.
Però quello che è accaduto a sa Carrela ‘e nanti quest’anno impone doverosamente una riflessione seria, ragionata, che ponga al centro del dibattito l’uomo e il cavallo. Perché la vita è sacra.
I protagonisti della corsa, venerati alla stregua di eroi, non sono quelli di sessanta o cinquanta anni fa. Il mondo è cambiato, gli uomini sono cambiati e anche i cavalli. Sono più potenti e veloci delle razze di un tempo, non tutti i cavalieri che scendono a sa Carrela ‘e nanti hanno il patentino di fantino, non tutti montano a cavallo durante l’anno, buona parte dei cavalieri che scendono nella tre giorni di carnevale siedono a cavallo solo pochi mesi prima della corsa.
Invece Biadorru, la strada dove si corre, è rimasta quella di un tempo, stretta e tortuosa. Ecco partendo da questi dati oggettivi e inconfutabili si può dire senza ombra di dubbio che il rischio nel corso dei decenni è aumentato esponenzialmente per i cavalieri e per il pubblico. Inutile negarlo, i cavalieri lo sanno benissimo, il pubblico idem. Rimane però sempre quel misterioso gusto del brivido, insito in ogni uomo, e il piacere nel provare scariche di adrenalina che da sempre decretano il successo de sa Carrela ‘e nanti.
È il piacere del pericolo che si prova a essere sfiorati dai cavalli lanciati a folle velocità, è quel morboso godimento che riempie l’animo dello spettatore dopo essere riuscito a schivare la pariglia.
Per il cavaliere esordiente sa Carrela ‘e nanti rappresenta il rito di passaggio all' età adulta, all’entrata a buon diritto nella società lussurgese, quella che conta. Per i veterani è invece un rito di mantenimento della loro posizione accettata e condivisa dalla comunità.
Ora solo cercando di comprendere queste posizioni si può capire cosa suscita sa Carrela ‘e nanti nel lussurgese: passione e impeto come il Romanticismo. Perché il cavaliere lussurgese è romantico, è legato alla libertà che si prova nello scendere a cavallo tra ali di folla. È romantico perché gli piace l’ebbrezza del rischio, è balente perché deve dimostrare di sapersi destreggiare tra le strette curve di Biadorru, che sono poi la metafora della vita.
Questa è sa Carrela ‘e nanti. Ma la vita è sacra. E allora che fare? A Sedilo dopo il lutto del 2009 sono stati apportati alcuni accorgimenti: l’arco di Costantino è stato rivestito con materiale gommoso che attutisce gli urti. Decisione che ha provocato l’ammutinamento dalla corsa nella edizione successiva (2010), come gesto estremo di protesta nei confronti della Legge Martini sui pubblici spettacoli equestri.
A Santu Lussurgiu il sindaco Emilio Chessa e gli organizzatori hanno parlato di recuperare spazio con tribune per togliere la gente dal tracciato, hanno parlato quindi di Carrela ‘e nanti a numero chiuso. È stato ventilato l’uso del casco di protezione che i giovani cavalieri maldigeriscono. E allora che fare? Da queste righe non si può trovare una soluzione ma si può lanciare l’appello per un dialogo serio, dai toni pacati che metta sulla bilancia i pro e i contro della sfrenata corsa.
Un dibattito in cui i cavalieri devono necessariamente dire la loro posizione, quello che pensano, ciò che vogliono. Un dialogo aperto alla popolazione lussurgese perché è la comunità tutta unita che deve lanciare idee e scovare al suo interno soluzioni condivise per perpetuare ancora nei secoli l’emozione unica di sa Carrela ‘e nanti.