Giovedì, 02 Maggio 2024

Politica estera di Sisto V nel nord Africa e in Medioriente.

Espansionismo turco sul finire del secolo XVI

La difesa delle coste italiane ed europee dall’espansionismo turco e l'opera di redenzione degli schiavi furono alcune delle priorità a cui Sisto V dovette far fronte  nell'immediatezza della sua acclamazione al soglio pontificio (24 aprile 1585).

Si trattava di una piaga antica ereditata in toto dai suoi predecessori che la sua urgente drammaticità spinse il nuovo Pontefice ad intervenire. Lo fece con la consueta determinazione, prudenza, ampiezza di mezzi finanziari e lungimiranza per risolvere alla radice il problema.
Sul finire del XVI secolo, scemati gli entusiasmi per la vittoria di Lepanto (1571) la minaccia dei turchi sulle coste italiane aveva ripreso vigore; essa era sistematica, devastante, di portata tale da minacciare da vicino gli Stati italiani ed europei, un po' come avviene oggi da parte del terrorismo dell'Isis.

Vere e proprie battaglie navali si combattevano nel Mediterraneo, con grande dispiego di flotte europee e mussulmane come nella battaglia di Lepanto del 1571, oppure abbordaggi sistematici di convogli mercantili da parte di navi corsare, o ancora incursioni lungo le coste del Mediterraneo e nei villaggi dell’entroterra col grido di terrore "Mamma li Turchi" gridato  a squarciagola dalle fanciulle all'apparire delle imbarcazioni barbaresche e rimasto ancora nella memoria collettiva. Questa era la situazione difficilissima che il nuovo pontefice si trovò ad affrontare.
Da una parte il banditismo interno  allo Stato Pontificio che imperversava e ormai totalmente fuori controllo, dall'altra la continua minaccia turca che rendeva difficilissimi i commerci e la sicurezza delle popolazioni. L’impero turco, come aveva fatto nel passato, alla fine del XVI secolo aveva intensificato la pressione verso l’Europa, elevando a sistema economico il sequestro di persona per arricchire le reggenze barbaresche di Algeri, Tunisi e Tripoli che erano le principali città che praticavano questa forma economica di sequestro, nell'attesa del riscatto; e se il riscatto non veniva, era sempre l'acquisizione di mano d’opera gratuita che poteva essere rivenduta e se non era rivenduta poteva essere chiaramente  fatta lavorare gratuitamente a beneficio di chi aveva sequestrato.

L’Italia per la sua posizione geografica di tale situazione subiva le maggiori conseguenze perché costituiva il primo baluardo difensivo. La minaccia sulle coste della nostra penisola era praticamente quotidiana, dalle coste laziali a quelle adriatiche, dalla Sicilia al Regno di Napoli, alla Puglia (Bari), per non parlare poi della Sardegna crocevia del Mediterraneo.

Cronaca di un’incursione

L’episodio ci consente di conoscere la misera condizione degli abitanti delle campagne romane e al tempo stesso di valutare le spese ingenti che la Compagnia del Gonfalone era costretta a sostenere per il loro riscatto.

L’assalto dei pirati barbareschi avvenne nella campagna romana e precisamente nel Castello di Pratica il 19 maggio 1588. In una delle solite giornate in cui gli abitanti erano occupati nelle loro attività, ci fu l’improvviso approdo nella spiaggia poco distante di un manipolo di pirati turchi. I pacifici castellani, presi di sorpresa, sprovvisti di alcun sistema di difesa e men che meno di armi, furono tutti legati e fatti salire sulle imbarcazioni e portati ad Algeri.. Dai documenti del periodo leggiamo che vennero resi schiavi 39 uomini, 28 donne ed oltre trentacinque non residenti [2]

Tra questi vi erano anche alcuni religiosi i quali, rimarginate le ferite, inviarono una relazione dei fatti al  Pontefice  accompagnandola con una supplica pietosa tale da commuovere  Sisto V il quale decise di intervenire.

Il pontefice ordinò quindi alla confraternita del Gonfalone, d’inviare quanto prima una missione a Tripoli e Algeri per riscattare gli schiavi cristiani ivi prigionieri, stanziando a tal fine alcune migliaia di scudi oltre a quelli che la stessa Confraternita aveva raccolto attraverso le elemosine.

Non solo, ma al padre Cappuccino a capo della missione, Sisto V promise ulteriori risorse di denaro e ampie facoltà spirituali e indulgenze per portare a termine l’impresa nel modo migliore. I Redentori, giunti sul posto, si resero conto che il numero di schiavi da riscattare era molto superiore al previsto, tra essi vi erano anche giovinetti, donne e fanciulle, che sotto continue minacce e tormenti dei loro aguzzini rischiavano di rinnegare la fede cristiana. 

Il padre Cappuccino non aveva con sé tutto il denaro necessario al loro riscatto, ma essendo esso riconosciuto come uomo fervente e sincero di spirito, propose al Vice Re il riscatto anche di questi ultimi sulla parola, con un impegno di 15 mila scudi che il Papa Sisto V prontamente gli avrebbe inviato.

Il Vice Re, alla semplice promessa fatta in nome di Sisto, acconsentì alla liberazione anche di questi ultimi. Infatti, Sisto V ordinò che dalla propria borsa fosse prontamente prelevata e pagata la somma promessa dal Cappuccino.

Il Cappuccino restò in Barberia forse in pegno della parola data, ma duecento schiavi cristiani riscattati poterono partire alla volta di Roma dove giunsero il 12 Marzo 1586, ricevuti dai fratelli del Gonfalone e dal popolo festante. Restarono alcuni giorni “spesati” dal Pontefice, e la Domenica di Passione furono condotti a Santa Maria Maggiore per venerare l’immagine della Beata Vergine appartenente alla Confraternita del Gonfalone e dove,  baciati il piede al Papa furono licenziati dopo un buon pranzo offerto dal Pontefice unitamente ad un sussidio congruo per ciascuno degli schiavi per tornare al rispettivo paese dal quale alcuni di loro mancavano da quarant’anni[4].

Beatissimo Padre Nostro. Cre­diamo nui gioveni di drento il serraglio del ti­ranno ré che V. B. abia inteso parte delle no­stre miserie dove al presente se ritroviamo e perché ne pare intendere che V. B. mandi lemosina no abiamo voluto manchare di narrarlene anche al presente parte essendo a qua drento otto cristiani giovanetti di prima età sen­za puotere ritenere speranza da nessuno se no in lo signore idio e in V. B. e alcuni senza pa­dre e madre e essere privi di ogni bene e ogni giorno de contino esere aspramente tormentati di bastonate per no volere acconsentire di rinnegare la nostra santa fede e per volere stare e morire in quella: a tal che V. B. può consi­derare la miseria nostra infinitissima e noi non avendo altro padre che V. B. e no abiamo vo­luto mancare che suplicare a V. B. che ne abia misericordia in seccorerne di alcuna elemosina con la quale puotessimo schapulare di no esere morti sotto il bastone o vero rinegare la nostra santa fede cosa che piuttosto si elegeriamo mile suorti di morte che preferire un punto di falsi turchi. Essendo nui in questa maledetta e ne­fanda casa rinchiusi senza puotere vedere nesuno se no turchi che in tutte le vie che questi perfidi ne vedeno non manchano gietar biestime e male parole donarne schiaffi chi calci chi tirarne pietre chi chiamarni cani e di molte altre suorti di ingiurie che ogni giorno suoliono dire. Ma noi niente de mancho no manchiamo di sopportare pazientemente per amor de idio e supporteremo di qua per avanti. E ancora facendo questi perfidi e falsi che per forza di bastone ne voliono fare guastare li nostri digiuni e man­giare il venerdì e il sabato carne (Avviso a chi tocca) e di altre infinitissime pene e perseguzioni che ogni volta ne fanno patire. E per non esere tropo fastidiosi lo lasceremo ma preghiamo V. B. che ne abia misericordia e che non ne voglia abandonare e cavarne da questa infetissima casa ripiena di tutte le iniquità che trovar se puosono. E di nuovo suplichiamo a V. B. che per la salvazione dele anime nostre che ne voglia mandare alcune grazie e indulgenzie per la salvazione dele anime nostre che sono accechate e sommerse in questo arcipelagho di pecchati che se per sorte noi perdiamo il corpo che al mancho le anime si puosano salvare. No voriamo mai cessare di narare a V. B. le perseguzioni nostre ma basterà questa che V. B. arà inteso che noi tutti per mezzo di questa suplicha umilmente ginochiati a piedi di sua B. dimandiamo la sua santa benedizione pregando sempre mai la santità sua e la esaltazione dela nostra santa gesia catolicha. Si sottoscriveremo tutti di sua mano.
Di casa del tiranno Ré di Algeri a di 25 aprile 1585.
Di V. B. Affmi Ser­vi di S. Madre Cesia Poveri schiavi Raffaello di Marcho Paresi Baguseo — Zannettino e Leonardino fratelli Montaldi Genovesi - Francesco Martino di Alasio Genovese — Bartolomeo do Foncequa Portughese — Juan Lopez spagnolo  Onorato Buonfiglio de Niza — Paulo Demontalvo spagnolo. —

A questo proposito, il sacerdote Luigi Ruggeri ci ricorda: “Rammentando, nondimeno, lo stesso Papa l’indefessa applica­zione, che si praticava da essa Archiconfraternita in detto riscatto, e il danaro che per detta causa avea profuso providamente nel riscatto di duecento schiavi ritenuti in Algeri, e in altri luo­ghi di Barbaria ; quali portatisi tutti unitamente in Roma furono a’ piedi del Papa in tempo che Egli solennemente celebrava (ai 15 di Agosto1587) nella Basilica di S. Maria Maggiore; a segnò (in compenso dei proventi di dataria) all’Archiconfraternita scudi 2000, da esiggersi annualmente dalla gabella sopra il bollo delle carte da giuocare, che in quel tempo stava affittata per scudi 7000: de'quali ne a già preventivamente assegnata la rata di scudi 4000 a favore, dell’Ospedale di S. Sisto[8].

La flotta navale di papa Sisto V

Pirati e corsari

Già dall’Alto Medio Evo si presentava la necessità di salvaguardare i litorali dello Stato della Chiesa esposti agli attacchi dei predoni come, del resto, buona parte degli altri stati rivieraschi. Molto più indietro nel tempo, le incursioni piratesche interessavano le popolazioni che vivevano nelle coste, anche dai tempi di Omero, se consideriamo il suo eroe Ulisse un predone del mare.  Del resto, anche l’impero Romano ha conosciuto la lotta contro i pirati provenienti dalla penisola balcanica.p>

Una breve nota è necessaria per chiarire la differenza tra pirata e corsaro. Il corsaro in caso di controversie internazionali, riceve dal Governo la patente di corsa e, battendo bandiera nazionale, si attiva per azioni di disturbo e attacco alle imbarcazioni nemiche. Mancando invece ogni qual si voglia autorizzazione, mancando anche uno stato di guerra, chi attua azioni di predazione, è chiamato pirata.

Tra i pirati che maggiormente hanno imperversato sulle coste e contro le navi italiane ricordiamo i Saraceni ed i Barberi, insediati nel Mediterraneo occidentale, ed i Turchi, in quello orientale. Prima di entrare nella fattispecie dell’attività predatoria nel periodo di Sisto V, partiamo dall’assunto che dal VIII secolo d.C., la spinta espansionistica dei popoli  islamici hanno fatto si che i papi che si sono susseguiti abbiano dovuto attivarsi e creare le forze pontificie di mare.

Quando c’è la consapevolezza che il Mare Mediterraneo rischi di diventare “un mare turco”, la Spagna di Carlo V e di Filippo II, si impegna per terra e per mare contro questa minaccia.

 Tra successi e sconfitte, le navi della Lega Santa riportano la vittoria a Lepanto nel 1571. Dopo quella giornata, indubbiamente gloriosa, brillanti successi vengono conseguiti anche in altre circostanze, ma la supremazia mediterranea è una questione che in quei secoli non sfugge dalle mani degli Spagnoli e dei Turchi e, nei successivi, degl’Inglesi, degli Olandesi e dei Francesi.

Sisto V

Accingendoci a parlare di Sisto v, citiamo una frase dello scrittore Guglielmotti che ci attestano con quanta serietà e responsabilità papa Sisto attendesse alle sorti della marina pontificia.“Forse taluno, leggendo le tante applicazioni di Papa Sisto alla marina, sarà tentato di pensare che egli non attendesse ad altro; o che di soverchio abbondi il discorso mio. Né il primo, né il secondo, signori miei. Né egli mancava. Né io esagero”[26].Non gli sarebbero certo mancati i fondi per un’azione del genere: più di 4 milioni di scudi erano custoditi in Castel S. Angelo per tale scopo.

galeraIn breve tempo, il numero delle galere costruite da 10 passa a 22. Nel 1588 Sisto V fa coniare una medaglia per ricordare l’entrata in servizio delle prime cinque galere.

Di tutte le galere ricordiamo la capitana San Bonaventura, costruita a Roma nello scalo della Marmorata, già sede di una fiorente attività navale ai tempi dei romani. Il varo dell’unità è previsto per il 2 aprile 1588 ma, benedetta e battezzata quel mattino, al pomeriggio la galera deviando la corsa sulla destra, abbatte la travatura del molo riportando danni. Il Guglielmotti commenta: “Cinque morti, molti contusi, tutti spaventati. Più d’ogni altro afflitto Papa Sisto si chiuse in camera silenzioso ed inquieto, senza dare udienza a niuno per tre giorni”[28].

Una missione di successo si ebbe anche con il nuovo comandante Grimaldi; la squadra nelle vicinanze del golfo di La Spezia sorprende tre galere barbaresche, le cattura e le conduce a Genova, dove viene accolta con grande onore. La notizia dell’impresa giunge a Roma quando le condizioni di salute del papa sono peggiorate. Egli stesso vuole comunicare il successo ai cardinali il 13 agosto. Il 27 di quel mese Sisto V muore.

L’azione del papa Sisto contro il brigantaggio di mare, ha presentato le stesse difficoltà iniziali della lotta contro quello di terra. Buono fu il risultato delle attività svolte in campo navale da questo pontefice, cui dobbiamo riconoscere l’appellativo di sommo.  I principi che ispirarono l’azione di papa Peretti furono innovativi e riformatori ma anche rispettosi delle tradizioni; quindi la costituzione della squadra permanente della Marina Romana discende dall’inquadramento che egli aveva dato all’amministrazione temporale dello stato.

La flotta di Sisto sopravviverà vent’anni al suo fondatore, prima di subire cambiamenti tali che, pur non cancellando di fatto la marina pontificia, ne stravolgono il concetto informatore.

Affermiamo senza dubbio, che Sisto V, pur senza ottenere fantastici successi, consegue sul mare risultati sicuramente positivi e ciò grazie ai criteri pragmatici con cui affronta il problema della difesa del traffico e delle coste.

Criteri che troviamo alla base di tutte le sue iniziative e decisioni nei vari campi del potere temporale[30] Ed ancora, un Avviso del 18 febbraio 1587, riportava: “Si va dicendo, che ‘l Pontefice ha un pensiero gloriosissimo di volere, cioè redimere di mano del Turco il Santo Sepolcro et servirsi in questo traffico delli più omnipotenti mezzi, senza riguardo di qual si voglia somma di danari, che la Porta di Costantinopoli adimandi, et di quali si voglia eccessiva spesa, che ci vada per havere quel felicissimo sasso, che fu arca del nostro Redentore[32]

Queste parole che ci danno un indovinato commento sugli avvenimenti posteriori a Lepanto,  spiegherebbero come il papa   dovesse contentarsi di singole imprese. Assieme a questo, tornarono in campo nell'animo suo gli antichi ideali di una guerra contro i barbari dell'Africa del nord.

Progetti di simil natura non giunsero però graditi a Filippo II. Di fronte alla grande ten­sione con l'Inghilterra, questi non voleva farsi trascinare ad altre imprese, e credeva di dover mantenere relazioni amiche­voli anche con la Turchia[34].Ma non si fermò qui, sognò anche la conquista dell’Egitto e ne parlò all’ambasciatore di Venezia [36] e gli mostrò un disegno del santuario dove intendeva collocarlo ma osservando che, in verità, egli non intendeva acquistare ma non voleva che si divulgasse l’informazione che egli volesse invece con­quistare il Santo Sepolcro con la forza, “Ai nostri tempi - egli aggiunse - ciò è impossibile; e temeremmo di commettere un peccato, qualora noi volessimo portare a Roma il Sepolcro, poiché fu volontà del Signore di nascere in Bethlem ».

Chiaramente, il papa si mostrava preoccupato per l’incolumità dei pellegrini troppo spesso vessati dai Turchi, e asserisce che il re di Spagna possiede i mezzi necessari per raggiungere lo scopo, ma, asserisce sconsolato,  non ne ha l’intenzione.

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[2] Scrive il Tempesti, che questi furono “trinciati” a furia di sciabolate, ma non in modo che le ferite non risultassero mortali, ma tali da restare perennemente nel loro corpo.

[4] Archivio del Gonfalone Mazzo G. n° 1

[6] Archivio dell’Archiconfraternita del Gonfalone, Statuto, p. 161, par. 6.

[8] ASV, Arciconfraternita del Gonfalone, libri diversi Y. ff. 5v. e 6 ; mazzo H, ff. 584-594v.; cfr. Ciro Manca, Un Decano d’Ales redentore di schiavi cristiani in Barberia sul finire del Cinquecento, in: Diocesi di Ales - Usellus - Terralba. Aspetti e valori, Editrice Sarda Fossataro, Cagliari, p. 290.

[10] ASV, Gonf., Mazzo G, ff. 112, 114.

[12] ASV, Archiconfraternita del Gonfalone, mazzo G. f. 116.

[14] ASV, Archiconfraternita del Gonfalone, Istrumenti Libro 5, fasc. 23, ff. 1-4v.; mazzo g. ff.  161,268, 281.mazzo G. f. 117.

[16] ASV, Archiconfraternita del Gonfalone, mazzo G. f. 139 v.

[18] ASV, Archiconfraternita del Gonfalone, Mazzo G, ff. 167-170v, 175-183, 187-188v, 191-192v, 199-201, 212-214v, 219-228v, 233-276v. L. Ruggeri, Op. cit,I padri Dionigi da Piacenza ed Arcangelo da Rimini, ultimi redentori del Gonfalone, lasciarono Algeri due anni e mezzo più tardi, dopo avere superato aspri contrasti tanto col governo locale quanto coi guardiani della Compagnia romana, approdando finalmente a Portofino il 26 ottobre 1589 ( ibidem, ff. 281, 281v.).

[20] ASV, Archiconfraternita del Gonfalone, Mazzo G, ff. 142-143v, 146-149v, 191-192v, 199-201.

[22] ASV, Archiconfraternita del Gonfalone, Mazzo G, ff. 189, 189v.

[24] ) Ciro Manca, Op. cit., p. 301: “Stando alla sommaria biografia data dal PINTUS, loc. cit., Giovanni Sanna si sarebbe segnalato, durante i vent'anni del suo vescovato, per la virtù personale, la magnificenza e la generosità nelle opere pubbliche. In particolare, all'iniziativa del vescovo si attribuisce l'erezione della cattedrale di Castelsardo nonché la fondazione di due case gesuitiche, a Cagliari e Sassari, alla quale fondazione egli contribuì con 8.000 ducati e 25.000 scudi sardi.

[26] A. GUGLIELMOTTI, La squadra permanente …, cit., pp. 26-27. Una conferma indiretta del programma sistino viene fornita da quanto riportato in F. PISTOLESI, Sixtus Quintus Album, Roma 1921, pp. 29-30: “Il Pontefice avrebbe voluto una crociata contro i Turchi e vagheggiò spesso dei colpi di mano contro di loro; ma la realtà della situazione lo richiamava all’Europa, dove occorreva lottare contro l’eresia invadente e salvare, se ancora possibile, il regno d’Inghilterra.”

[28] A. GUGLIELMOTTI, op. cit., pp 55-56. Il fatto di Gaeta rientra tra i purtroppo tanto frequenti episodi d’intolleranza esasperata nel pretendere il rispetto delle precedenze e degli onori, per cui vedasi anche M. NANI MOCENIGO, Storia della Marina Veneziana da Lepanto alla caduta della Repubblica, Ufficio storico della R. Marina Roma 1935, pp. 79-83.

[30] Pietro Andrea Galli, Notizie intorno alla vera origine, patria, nascita del Sommo Pontefice Sisto V (…),  In Ripatransone per Giuseppe Valenti Stamp. Vescovile e C. con licenza dé Superiori. MDCCLIV, p. 120.

[32] BROWN, Cal. of State Papers Venet. 1581-91 p. 265 in: LUDOVICO Barone VON PASTOR,Storia dei Papi…p. 393.

[34] Cfr. PRIULI p. 317 e De HÜBNER II, 475 s.

[36] Vedi la Relazione di Gritti del 20 agosto 1588 presso HÜBNER I, 389 s. Secondo la * Relazione di Gritti del 13 giugno 1588, il papa parlava allora d'un viaggio a Loreto e Padova «et soggiunse che vorria far anco un altro  viaggio al santissimo sepolcro » (Archivio di Stato in Venezia). Allora Sisto V inviò dei sussidi ai Francescani in Gerusalemme; v. ARTAUD DE MONTOR, Hist.   des  Souv. Pontifes IV, Parigi 1847, 478.

Vedi nell'Appendice  Nr. 44 la * Relazione di Brumani del 27 agosto 1588, Archivio Gonzaga in Mantova.

[37] Vedi la Relazione di Gritti del 20 agosto 1588 presso HÜBNER I, 389 s. Secondo la * Relazione di Gritti del 13 giugno 1588, il papa parlava allora d'un viaggio a Loreto e Padova «et soggiunse che vorria far anco un altro  viaggio al santissimo sepolcro » (Archivio di Stato in Venezia). Allora Sisto V inviò dei sussidi ai Francescani in Gerusalemme; v. ARTAUD DE MONTOR, Hist.   des  Souv. Pontifes IV, Parigi 1847, 478.

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SOMMARIO

Premessa

CAPITOLO

Espansionismo turco………………………………………………………………………….….

Cronaca di un’incursione………………………………………………………………………...

Condizione degli schiavi…………………………………………………………………………

L’opera di redenzione e L’Archiconfraternita del Gonfalone……………………………………

Mons. Giovanni Sanna di Santu Lussurgiu………………………………………………………

Prima missione ad AlgeriGli schiavi ricevuti da Sisto V…………………………………….…..

Seconda missione ad Algeri………………………………………………………………………

CAPITOLO II

La flotta navale di papa Sisto V

Sisto V il Gran Sultano e il sepolcro di Cristo……………………………………………………

Progetto di Sisto V per una nuova crociata……………………………………………………….

Provo piacere a essere qui di persona piuttosto che in via telematica com’è avvenuto per le precedenti edizioni de Il Papa ‘nSisto. Una manifestazione che ha preso il via nel 2010, in un momento particolarmente triste e difficile della mia vita per la perdita di mia moglie.

Per me che l’ho seguita dalla Sardegna si è trattata di una vera e propria terapia a distanza, sollecitatami dalle cure amorevoli e dalla vicinanza degli amici il dott. Aniello Gatta di Rocca d’Evandro e il prof. Claudio Lubrano presidente della pro loco di Sant’Agata, che mi hanno rivolto in questi anni e che ancora oggi ringrazio di cuore.

Provo anche tanta soddisfazione non solo perché è sempre una piacevole visitare e trattenersi nella bella cittadina di Sant’Agata de’ Goti, ma anche perché l’appuntamento annuale con Il Papa ‘nSisto nel corso di questi anni si è imposto all’attenzione del mondo accademico e dei cultori delle cose sistine in una dimensione nazionale, e se vi sarà la costanza di proseguire questo cammino anche negli anni a venire, si potrà giungere ad un dimensione  internazionale, dal momento che è lo stesso personaggio che ce lo impone.

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La politica estera di Sisto V verso il nord Africa e il Medioriente, sul finire del secolo XVI.

La mia trattazione verterà sulle difficili relazioni che il nostro grande pontefice si trovò ad affrontare nell’immediatezza della sua acclamazione al soglio di Pietro. Paleremo di rapporti annosi e particolarmente difficili tra l’Occidente cristiano e l’Oriente mussulmano, tra Roma e Costantinopoli l’attuale Istambul.

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