Lunedì, 20 Maggio 2024

SISTO V RISCATTA GLI SCHIAVI

tempesti 1866328 LIBRO DECIMOPRIMO

XXVI. Avendo cosi santamente provveduto per liberare tante vergini da pericoli, provide ancora per liberare dagli stenti e dal pericolo di negare la S. Fede molti schiavi cristiani, e specialmenle sudditi della S. Sede. Già Gregorio XIII aveva favorita in Roma un' opera così santa, e ne aveva addossata la cura alla compagnia del Gonfalone; e perché a Sisto piacque infinitamente l' operato dalsuo antecessore, quindi è che di moto proprio confermò quanto aveva già stabilito Gregorio, rimettendone di bel nuovo la cura alla confraternita stessa, e le concedette ampia facoltà di deputare per tutto lo Stato ecclesiastico ministri per accettare e raccogliere le limosine, al riscatto degli schiavi, vietando tal ministero a qualunque altro fuori dei detti deputati; siccome ancora le diede dei privilegi che si leggono nella sua bolla Cum benigna, la qual conchiude con esortare tutti gli ordinari dei luoghi a voler favorire un opera così accetta a Dio: ed egli stesso ne diede un preclaro esempio, degnissimo di riferirsi.

XXVII. Assan Bassà viceré di Tripoli, dimorava in campagna con buon nervo di soldatesca, affin di riscuotere a viva forza da' mori del paese quel tributo che eglino non volevano di buono accordo pagare. I cristiani schiavi, che gemevano in Tripoli, servendosi di questa occasione deliberarono di saccheggiar la città, e quindi fuggirsene; e l' idea fu conceputa nella maniera che ora riferiremo. Siccome gl' infelici erano condannati ad andare ogni giorno lungi sei miglia dalla città per ivi caricarsi di sassi e por­tarli in Tripoli alla fabbrica del palazzo del vice re: e sic­come i custodi del palazzo erano pochi, e que' pochi im­belli; ed era aperto il magazzino dovizioso d' armi atte a guarnire molte migliaia di soldati, così considerarono che Tripoli restava tanto mal fornita di soldati, mercé I' as­senza del Bassà col suo esercito, che non vi rimaneva re­sistenza valida in un impelo repentino. Gli abitatori erano assai, ma disarmati, e tutti intenti al traffico, alla merca­tura, onde gli schiavi cristiani deliberarono nel sabbato del prossimo carnovale, in ritornando al solito carichi di pie­tre, lapidare i custodi, poscia armarsi nel magazzino, indi fortificarsi nel palazzo, contro la moltitudine del popolo, metterlo a sacco, e fatto il ricco bollino, prendere in ultimo veloce fuga.

XXVIII. La tela veramente era ordita bene; e se l'im­pazienza d'un solo non guastava l'ordito, riusciva loro a pennello. Giunto il prefisso giorno, mentre una parte degli schiavi entrata nella città si avvicinava al palazzo, uno tra loro, cui sembrava ogni ora mill' anni di vedersi libero e ricco, alzò la voce gridando, libertà, libertà; e tutti al­lora seguitarono lo stolto grido libertà, libertà; i custodi serrarono di repente il palazzo ed il magazzino gridando aiuto; onde concorsi in folla gli abitatori si scagliarono impetuosi contro que'miseri, ed al primo urlo ne uccisero centocinquanta, ne ferirono cento, e poco mancò che non gli tagliassero tutti a pezzi, ritenuti dal solo utile proprio. 

XXIX. Quei che rimasero avanzo del furor barbaro, furono incatenati, passando dagli ultimi giorni di carnovale fino alla domenica in Albis una straordinaria penosissima quaresima, cotanti furono gli strapazzi che sopportarono, riserbati in ultimo a più crudo scempio; poiché tornalo il Bassà, fece scorticar vivo vivo uno di loro, due ne fe­ce impalare, e sedici furono trinciati a furia di sciabolale, ma non in modo che le ferile fossero mortali. Traquest' infelicissimi, v'erano tre sacerdoti, un cappuccino, un minore osservante, ed un prete Orazio Franchi di Pisa, già cappellano delle galere del Granduca; costoro di poi che le ferite furono rimarginate, scrissero a Sisto, e la lettera fu sì al vivo esprimente le miserie loro, che mosso a compassione il pontefice vi impiegò molte migliaia di scudi, unendoli a quel sussidio, che allora avea in pronto la confraternita del Gonfalone, cui diede incombenza, che destinasse alcuni padri cappuccini al riscatto loro.1 Ed egli promise al padre cappuccino preeletto allre migliaia di scudi e ne mantenne la fede; anzi ne promise tanti, quanti all'uopo sarebbero stati bisognevoli; gli conferì ampia spiri­tual facoltà, e nel rimanente si rimise alla prudenza e virtù di lui. 

XXX. Eseguirono i religiosissimi padri tutto quello, che fu comandato loro da Sisto; e perché in Algeri, oltre agli schiavi i quali ebbero la nota in Roma, trovarono molti giovanotti, donne e fanciulle in estremo pericolo di negar la fede, poiché a  forza di minacce e di tormenti erano violentati al peccare, ed a professar l' alcorano, deliberarono di tentare la redenzione ancora di loro. Ma poi­ché non bastavano le migliaia di scudi ricevuti in Roma dal Papa e dalla confraternita, esposero supplica di riscatto al Bassà, promettendogli pronto rimborso dal Papa. Ep­pure egli è vero! Quel barbaro alla semplice promessa fatta a nome di Sisto si contentò di aspettar quindicimila scudi, prezzo preteso da lui, e il nome di Sisto, e l'esem­pio della vita penitente dei padri riscattatori, servirono di sicuro pegno al medesimo, per lasciar gli schiavi subito in libertà, come racconta l'anonimo del Campidoglio.

XXXI. Ragguagliatone Sisto, mandò quindici mila scudi, oltre il bisognevole per condurre in Roma gli schiavi. Carità, che piacque tanto anche agli uomini, onde al rife­rire dello stesso anonimo, fu celebrata sovra i pulpiti del­l'Europa; e gli schiavi ricomprati dell'uno e dell'altro sesso, che erano dugento,2 entrarono in Roma indi quasi a due anni, nel 1587 accompagnati da' fratelli del Gonfalone, e da folto popolo, che andò loro incontro. Inteneriva quella comparsa, ma più movevano le lagrime del popolo romano il quale benediceva ad alta voce Sisto, chiamandolo il pa­dre dei poveri. Furono alimentati in Roma per tanti gior­ni, quanti bastavano ragionevolmente a visitare i sanluari, a soddisfare alla devozione, e poscia essendo guidali dai confratelli a visitare proccssionalmenle l' immagine di nostra Donna in S. Maria Maggiore, dove baciarono il piede al Papa, che a tenor della nuova bolla, già da noi riferita, vi tenea cappella essendo la domenica di Passione, furono licenziati dopo un buon pranzo da Sisto, con limosina congrua a ciascheduno per tornare al respettivo paese, essendovene alcuni che avevano sofferto il peso durissimo di schiavitù per quarant'anni continui.

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1 Ndr. Il 31 ottobre 1584 il Decano di Ales mons. Giovanni Sanna assumeva il formale impegno di recarsi una prima volta «ad Algeri et altri luoghi di Barbarla» come deputato alla redenzione di schiavi «del Stato Ecclesiastico», unito a una missione del Gonfalone di cui facevano parte i padri cappuccini Pietro da Piacenza, Filippo da Rocca Contrada ed il laico romano Ludovico Giugni. Sul soglio pontificio sedeva Papa Gregorio XIII (Boncompagni). Questa missione mosse da Roma ai primi di dicembre del 1584, sostando a Pisa, Lerici, Genova e Marsiglia; di qui salpò per Algeri il 1° febbraio 1585, approdandovi il 20 dello stesso mese..

In effetti, contrariamente a quanto afferma il p. Casimiro Tempesti, gli schiavi riscattati in questo prima missione furono 74, fra i quali erano 4 sardi «Libro delli schiavi» conservato nell'archivio del Gonfalone: ASV, Gonf., Libri Diversi U, ff. 2, 5v, 10, 11, 15, 17v, 18v, 21v, 30, 38, 39v-45v, 46v-50v, 55; Libri Diversi Y, ff. 7-25v, 26v; Mazzo G, ff. 30, 114, 289-346, 350, 351v, 446-451v, 454-457v; Mazzo H, ff. 63-102. In: C. MANCA, Op. cit. n. 21 ). Nella seconda missione del 29 settembre 1586, invece, il numero degli schiavi raggiunse il numero di ben 242 schiavi cristiani, 23 dei quali, questa volta, erano sardi (C. Manca, op.cit. p. 390).

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