Martedì, 27 Maggio 2025
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... e del lavoro dell'uomo

Sanna - Porcu Giovanni (Vescovo)

Domenica, 7 aprile 2019, Montalto M. - Castello della Rocca, Conferenza di Umberto Guerra: Stato dell'arte e prospettive del Comitato Nazionale Archeoclub d'Italia onlus delle Celebrazioni Sistine.

Locandina novembre 2019

In occasione del 490° anniversario della nascita di Monsignor Giovanni Sanna Porcu (1529 - 1607), il Comune di Santu Lussurgiu, suo paese natale, la Diocesi di Alghero Bosa, in collaborazione con l'Archeoclub d'Italia onlus, la Parrocchia S. Pietro Apostolo e l’Archiconfraternita di Santa Croce di Santu Lussurgiu, organizzano le celebrazioni in memoria del suo più illustre concittadino, secondo il programma che segue:

 II Convegno di Studi

Il VESCOVO LUSSURGESE GIOVANNI SANNA PORCU
promotore di cultura, redentore di schiavi e vescovo (1529 - 1607)
Domenica, 24 novembre 2019
Fondazione hymnos, Via Bonaria, 16 – Santu Lussurgiu


Ore 9,30: Saluti
Diego Loi Sindaco di Santu Lussurgiu
Autorità presenti
Ore 10,00 Interventi
Giampaolo Mele - Università di Sassari - Moderatore
Alessandra Pasolini - Università di Cagliari
Mons. Giovanni Sanna fondatore del Noviziato gesuitico di Cagliari
Giuseppe Mele - Università di Sassari
Corsari barbareschi, sistemi di difesa e schiavitù nella Sardegna spagnola
Stefania Cespi Segretaria Nazionale Archeoclub Celebrazioni Sistine
L'Archiconfraternita del Gonfalone e l'opera di redenzione degli schiavi. La riforma operata da Sisto V nel 1588, anno terzo del pontificato
Umberto Guerra Consigliere Nazionale Archeoclub Regione Sardegna
Coordinatore Nazionale Archeoclub Celebrazioni Sistine
Mons. Giovanni Sanna mecenate della cultura in Sardegna e filantropo nell'opera di redenzione degli schiavi sardi.

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Ore 16,00 Dedicazione della Piazza Mons. Giovanni Sanna Porcu (ex Piazza Mercato)
Benedizione della Piazza e della targa a lui dedicate

Ore 16,30 Santa Messa (Chiesa Santa Maria degli Angeli)
Concelebrazione della S Messa presieduta da S. E. Mons. Mauro Maria Morfino, vescovo di Alghero Bosa
Accompagna la liturgia Su Concordu ‘e Santa Rughe di Santu Lussurgiu

Ore 18,00 Incontro conviviale (Sala Montegranatico)
Al termine della S. Messa è previsto un momento conviviale con la popolazione curato dall'Arciconfraternita di Santa Croce.

 

La pirateria e la guerra di «corsa»esercitate dai popoli mussulmani fin dal Medioevo ed intesificatesi dagli inizi del '500 avevano come più triste conseguenza la schiavitù dei cristiani caduti in loro potere. Lo spirito della carità cristiana fu sollecito a procurare la liberazione, mediante il riscatto, del maggior numero possibile di questi infelici.

Nel Medioevo erano stali fondati due Ordini religiosi aventi come loro attività fondamentale il riscatto degli schiavi cristiani: l'Ordine di S. Maria della Mercede e quello della Ss. Trinità della Redenzione degli schiavi.I padri Mercedari e Trinitari, diffusi soprattutto in Spagna ed in Francia, svolsero efficacemente la loro opera nei secoli del Medioevo e la continuavano nel sec. XVI quando il sorgere nell'Africa settentrionale degli Stati Barbareschi, protetti dall'accresciuta potenza dell'impero ottomano, minacciò più gravemente la sicurezza del mare Mediterraneo e delle coste europee in esso affacciantisi ed accrebbe notevolmente il numero degli schiavi cristiani.

Sul finire del '500 la guerra corsara dei Barbareschi raggiungeva il suo massimo sviluppo e le incursioni continue sulle coste e la cattura delle navi cristiane percorrenti il Mediterraneo recavano di continuo schiavi sulle sponde africane cristiani di ogni nazione, soprattutto spagnuoli, francesi ed italiani.2

Per rendere più adeguata l'azione redentrice a favore degli schiavi si sentì la necessità di creare nuove istituzioni, e ne sorsero infatti in quel periodo, in vari stati italiani.3

A favore degli schiavi appartenenti al territorio dello stato ecclesiastico, il papa Gregorio XIII istituì nel 1581 a Roma l'Opera Pia del Riscatto affidandone l'esercizio alla più illustre arciconfraternita romana, quella del Gonfalone, cui erano aggregate in Italia e fuori centinaia di altre compagnie.4

L'arciconfraternita, le cui attività fino allora non erano state soltanto di devozione religiosa ma anche di beneficienza, come il procurare le doti alle giovani povere, accettò l'incarico che il Papa le assegnava e si volse alla esecuzione di esso.5 Il denaro necessario al riscatto degli schiavi proveniva dalle elemosine che ebbe facoltà esclusiva di raccogliere a tale scopo in tutto lo Stato pontificio e dagli assegni che i Pontefici le fecero su alcuni proventi della Curia.6 A tutti coloro che si adoperavano a favore della pia opera Gregorio XIII concesse speciali indulgenze, confermate ed accresciute poi da Sisto V.7

Lo Stato pontificio, come gli altri Stati italiani, era minacciato dai corsari delle Reggenze barbaresche di Algeri, Tunisi e Tripoli che si spingevano, con le loro leggere ed agili imbarcazioni, fin nei pressi delle coste tirreniche ed adriatiche sbarcandovi talora improvvisamente e traendone schiavi gli abitanti oltre a far bottino di quanto trovavano.8 Il più potente degli Stati barbareschi era Algeri e quivi erano molto più numerosi che altrove gli schiavi cristiani. Fu pertanto in questa città che la confraternita romana decise nel 1584 di inviare la sua prima missione di Redentori.

Quali membri della missione furono prescelti oltre al sacerdote Giovanni Sanna, decano di Ales, ed al cittadino romano Ludovico Giumi, che era stato schiavo in Algeri, i due padri cappuccini fra Pietro da Piacenza e fra Filippo da Roccacontrada.

Le notizie biografiche sui due padri sono scarse: di fra Filippo si sa soltanto che era stato «dottore al secolo». Di fra Pietro ecco quanto riferisce l'Historia Capuccina di fra Mattia da Salò: «Era F. Pietro nato di padre assai nobile detto Mr. Ottaviano Baffoli, d'un castello detto Pellegrino nel Piacentino; studiò leggi in Pavia et ivi fu dottorato. Posto poi in habito clericale andò a Roma, ove menò vita spirituale sotto la disciplina de Padri detti dell'Oratorio; ma desideroso di andare a maggiore perfettione, fecesi Cappuccino...».9

Fonte delle notizie che di questa missione ad Algeri si avevano finora era una relazione di non precisato autore, riprodotta dal P. Mattia da Salò nella sua opera storica e pubblicata separatamente nel 1924.10

L'ignoto autore, sulla cui identificazione crediamo di poter proporre, come diremo a suo luogo, una valida ipotesi, riferiva con parole di fervida ammirazione l'opera svolta dai due religiosi fino alla morte, seguita per il contagio della peste, contratta nel curare gli schiavi ammalati. Sulle ultime ore di fra Pietro ed il suo eroico atteggiamento dinanzi alla morte egli riferiva con larghezza di particolari come di persona che sia stata personalmente presente.

Le ricerche compiute nell'Archivio dell'Arciconfraternita del Gonfalone, ci hanno fatto ritrovare una ricca documentazione relativa a questa missione in Algeri. Dai documenti rinvenuti che adesso pubblichiamo si ricava una più ampia conoscenza dell'attività svolta dai padri cappuccini e di tutta l'organizzazione e lo svolgimento di questa missione.11

Le direttive generali e le minute prescrizioni per l'attuazione della missione sono contenute nella lunga Instruttione diretta ai quattro Redentori.12 Fin dalle prime righe, ed in seguito in più punti appare chiara la superiorità riconosciuta a fra Pietro, alle cui decisioni dovevano rimettersi in ogni contestazione e dubbio gli altri membri. Il laico messer Lodovico Giumi era consegnatario del danaro calcolato bastante per il viaggio sino a Marsiglia, porto d'imbarco per Algeri. Nella città francese avrebbero trovato altra somma accreditata presso un Banco. Il decano di Ales compiva tutta la missione a sue spese, pure era egualmente pregato di controllare i conti che dovevano essere tenuti continuamente in regola.

I padri cappuccini si erano già messi in viaggio quando il testo dell'Istruzione fu consegnato agli altri due membri. I due religiosi dovevano attendere i compagni a Livorno o a Lerici, per imbarcarsi poi insieme alla volta di Genova e successivamente di Marsiglia. A Genova si sarebbero informati delle possibilità di trasferire ad Algeri il denaro necessario per il riscatto, per confrontare poi queste condizioni con quelle offerte dai mercanti di Marsiglia. Una prova dei disagi che si supponeva comportasse il viaggio è data dalla previsione, fatta nell'istruzione, dell'eventuale malattia e perfino della morte di qualcuno dei membri, in relazione alla quale si davano le disposizioni cui attenersi. Ai Redentori erano affidate delle lettere di presentazione dirette al Governatore della Provenza13 e ad altri influenti personaggi da cui si sperava avrebbero ricevuto protezione ed aiuto.

A Marsiglia, presso il mercante Ludovico Felix14, avrebbero trovato il salvacondotto per entrare nella città barbaresca. Se non fosse stato pronto avrebbero cercato di ottenerlo quanto prima, giovandosi dell'aiuto del Gran Priore e del mercante Felix. Per quanto riguardava il trasferimento del denaro ad Algeri si consigliava di portarlo in sacchetti assicurati, lasciando però ad essi di decidere se fosse questo il mezzo migliore ovvero il trasferimento per lettera di credito sulla piazza di arrivo.

Il Breve Cum Algerium di Gregorio XIII (5 dic. 1584) diretto a fra Pietro15, con cui era concessa al frate cappuccino la facoltà di assolvere gli schiavi «a quibusvis peccatis» anche riservati alla Sede Apostolica, si consigliava di lasciarlo nel convento dei Cappuccini di Marsiglia, insieme con la Patente data loro dall'Arciconfraternita e sottoscritta dai Cardinali e Guardiani mentre avrebbero recato seco quella «vulgare», sottoscritta soltanto dai quattro Guardiani allora in carica, tutti patrizi romani: Gerolamo d'Avila, Paolo Mattei, Carlo de' Massimi ed Ulisse Lancerini.16 Riguardo ai primi atti da compiersi ad Algeri erano dati loro molti consigli di prudenza e di accortezza, ispirati dalla diffidenza che suscitavano i mussulmani.

Quanto agli schiavi da riscattare dovevano essere prescelti anzitutti quelli indicati nella lista ad essi consegnata17, di alcuni dei quali il prezzo di riscatto era stato pagato da parenti od amici. Degli altri essi dovevano assumere più precise informazioni, riscattando per quella prima volta i meno costosi, per poterne liberare un maggior numero, «et l'altri - prosegue l'istruzione - consolerete con darli speranza per la seconda volta et che fratanto habbino patientia». Anche su questo punto, la designazione degli schiavi da riscattare tra quelli in lista, si ordinava espressamente al Decano di Ales ed a messer Lodovico di «condescendere et obedire all'opinione di fra Pietro il quale debbia fare detto compartimento de schiavi standocene noi su la sua conscientia», e similmente si ripeteva più avanti. Oltre all'avvertenza di non dare se stessi in pegno per effettuare un riscatto cui non bastasse il denaro contante, senza prima aver interpellato l'Arciconfraternita, si davano altre minori disposizioni circa il riscatto, circa l'alloggio da scegliersi in Algeri ed altre particolarità.

Caratteristica è la raccomandazione di far fare agli schiavi riscattati «voto o giuramento de mano loro de venire a Roma insieme con voi ms. Lodovico a visitare la Chiesia di S. Pietro et di presentale alli piedi de S.B.ne et alla Archiconfraternita del Confalone per rendere gratie del loro rescatto».

Era infatti consuetudine che gli schiavi tornati in patria si recassero in processione di ringraziamento accompagnati dai religiosi o dai membri delle confraternite che ne avevano procurato il riscatto. Si concedeva inoltre facoltà di riscattare i frati cappuccini che eventualmente fossero schiavi in Algeri anche ad un prezzo maggiore di quello stabilito come regola per gli altri schiavi perché così, si diceva, era volere del Papa «et debito della Archiconfraternita per l'obbligo che tiene à detta religione dei capuccini».18 Si davano poi le disposizioni per il viaggio di ritorno di messer Lodovico con il primo gruppo di schiavi redenti e quelle riguardanti l'invio della corrispondenza a Roma e l'amministrazione del denaro in Algeri.19 
La superiorità riconosciuta a fra Pietro si rileva ancora dalla disposizione che nelle lettere inviate a Roma vi fosse sempre la sua firma, oltre quella di un altro membro almeno, e a lui era inoltre affidato il sigillo dell'Arciconfraternta.20

Queste che abbiamo illustrato sono le principali disposizioni ed avvertenze date ai quattro Redentori per l'esecuzione della loro missione. L'Istruzione fu firmata dal Decano e da messer Lodovico, mentre a fra Pietro che era già partito col suo compagno, si richiedeva, secondo l'ultimo paragrafo dell'istruzione stessa una dichiarazione per lettera la quale servisse come accettazione di quanto l'istruzione stabiliva. All'Istruzione segue il testo dei Capitoli stipulati tra il decano di Ales e Lodovico Giumi da una parte e l'Arciconfraternita dall'altra, per cui i due si impegnavano a compiere il viaggio «senza premio alcuno gratis e per l'amor di Dio et per la compassione dei poveri schiavi cristiani tra i quali ms. Lodovico come dice, è stato longo tempo».

Come prescritto nella Istruzione i due frati si erano recati a Lerici e qui attesero gli altri due compagni di viaggio. Tutti insieme esaminarono qual fosse il mezzo migliore di cui servirsi per passare a Genova e, come narra fra Pietro nella lettera scritta da quella città il 13 dicembre21, trovarono una fortunata occasione: il gentiluomo genovese Cesare Pallavicino offrì loro un passaggio per Genova sul suo vascello e, conosciuta la meritoria opera cui si dedicavano, concesse gratis il medesimo vascello, con equipaggio pratico, per condurli sino a Marsiglia. A Genova, ove giunsero il 12 dicembre, trat- tenendovisi quattro giorni, cominciarono ad avere qualche notizia più diretta sul prezzo degli schiavi in Algeri e ne riferirono a Roma per avere dilucidazioni su come regolarsi. Fra Pietro precisò, in risposta alla richiesta avuta, di non poter egli, per la Regola del suo Ordine, sottoscrivere l'istruzione a guisa di contratto, ma replicò che avrebbe pienamente obbedito alle volontà dei Guardiani. Il viaggio per Genova non era stato del tutto agevole ma essi si dichiararono tutti «con bona dispositione del corpo» benché da Pisa li avessero colti le piogge, e raccomandarono di pregare per loro e fra Pietro aggiunse: «Parlando di me cognosco che questo viaggio non era per la mia debolezza, se le orationi non l'avessero aiutata».

Nella lettera successiva del 17 dicembre22 riferivano le notizie avute da un mercante genovese, che aveva risieduto ad Algeri per dieci anni, circa le pratiche per effettuare i riscatti. Vennero così a sapere che i Redentori erano anzitutto obbligati dal Pascià a riscattare alcuni schiavi di proprietà sua a alcuni di tre suoi ufficiali, da essi imposti al prezzo degli schiavi atti al remo, cioè più cari. Il Pascià e gli altri alti ufficiali si disfacevano in tal modo proficuamente di quegli schiavi che, essendo vecchi o malati o per altro motivo, non sarebbero stati facilmente richiesti in riscatto, davano notizia di aver ricevuto il Breve di Gregorio XIII a fra Pietro, il quale aveva subito esteso le facoltà concessegli al padre Decano ed al confratello, e comunicavano infine la partenza per Marsiglia il giorno stesso.

Da Marsiglia scrivevano il 10 gennaio 1585 ragguagliando del viaggio fatto sul vascello del signor Pallavicino.23 Il salvacondotta da Algeri non era giunto ed avrebbero dovuto attenderlo ancora alcuni mesi. Decisero allora, per consiglio del signor Felix, di ottenerne uno dal Governatore della Provenza, presentandogli le lettere avute per lui dal Cardinale Alessandro Farnese. Comunicarono ancora di aver ottenuto una lettera di credilo sulla piazza di Algeri per l'importo di tremila scudi, non recando così il denaro contante con sé e pregarono i Guardiani di ottenere una lettera di raccomandazione del Re di Francia, nulla essendo più giovevole presso il Pascià. Non attendevano che il vento favorevole per partire e nel concludere la loro lettera, considerando le difficoltà che si profilavano nell'impresa iniziata, invocavano l'aiuto divino e le preghiere per ottenerlo.

Dopo dieci giorni ancora attendevano il vento favorevole alla navigazione e nella lettera del 20 gennaio,21 replicate le notizie precedenti, aggiungono d'essere entrati in relazione con il mercante Antonio Lencio «quale è di molla autorità in Barberia et stretto amico del Re di Algieri et è molto affezionato alla religione de padri Cappuccini».25       A lui si rivolsero i nostri Redentori e ne ottennero lettere di raccomandazione diretta al Sovrano d'Algeri e consigli preziosi sul come comportarsi nella città barbaresca. Quanto alla partenza riferivano che tutto era pronto e solo si attendeva un mutar del vento, regnando allora «levanti quali sono contrari alla navigatione». La breve lettera da Marsiglia del 1° febbraio è scritta dal solo fra Pietro: non v'erano novità; attendevano ancora il vento propizio per partire alla volta di Algeri.26

Nella città barbaresca sbarcarono, dopo un felice viaggio, il 20 febbraio. La prima lettera da Algeri, in cui riferivano delle condizioni degli schiavi e dell'udienza avuta dal Pascià, è del 26 febbraio.27 Presentando il salvacondotto e le lettere del Gran Priore di Francia furono ricevuti dal Pascià in udienza pubblica, alla presenza cioè dei consiglieri ed alti ufficiali. Il Pascià si risentì che non gli fossero stati recati doni, come era consuetudine. L'opportunità o meno di recare questi doni era stala accennata nella Istruzione data loro a Roma, ritenendosi preferibile non recar nulla per non dare l'impressione di ricchezza e stimolare in tal modo ancor di più l'avidità dei Barbareschi. La decisione su questo punto era stata rimessa al giudizio di fra Pietro che preferì attenersi al parere dell'Arciconfraternita.

Nella loro lettera i Redentori tratteggiano così il carattere del sovrano mussulmano: «Questo Re è tanto avaro, et tiranno, che si crede costui esser il più crudele che sia stato in questa città a recordi d'huomini. Astutiss.o et cerca cavar danari da tutti non portando rispetto a veruna persona». Le trattative per ottenere dal Pascià la facoltà di esercitare l'attività redentrice si svolsero per mezzo di un interprete.

Il Pascià offerse loro genericamente le stesse condizioni concesse alle altre Redenzioni «et non di più ne di meno». I Redentori abilmente allora dichiararono di accettare le condizioni fatte alla Redenzione di Napoli28 che in confronto a quelle offerte alle Redenzioni

La peste, del cui principio fra Pietro aveva dato notizia nella lettera del 27 aprile si era andata diffondendo facilmente tra gli schiavi che vivevano nei «Bagni» per le condizioni stesse di vita in quei locali.35 Il 22 maggio fra Pietro scriveva al Felix di Marsiglia e ai Guardiani del Gonfalone riferendo che la pestilenza si era da qualche giorno aggravata e si dubitava che durasse, facendo interrompere il traffico con il porto barbaresco.36 La saettina37 del mercante Borgal partiva quel giorno per Marsiglia e sarebbe tornata in Barberia in luglio facendo scalo però in un porto vicino ad Algeri e con il ritorno di essa fra Pietro sperava ricevere il denaro da Roma, essendo già indebitato per i riscatti effettuati a credito. Egli, ormai solo con il confratello, si adoprava per assistere spiritualmente e materialmente gli schiavi, soprattutto gli infermi, raccogliendo elemosine nella città. Due schiavi già riscattati, messer Tittiniano da Fermo ed una donna, erano morti di peste come pure un padre cappuccino schiavo, fra Francesco sardo della provincia di Palermo. Fra Pietro suggeriva poi ai Guardiani dell'Arciconfraternita di ottenere dal Papa il beneficio dei 17.000 scudi, in contanti ed in mercanzia, lasciati dal redentore don Lorenzo da Siena a Biserta e Tunisi, indicando anche la via migliore per trasferirli da Tunisi ad Algeri.38 Fra Pietro aveva anzi inviato a Roma uno schiavo da lui riscattato, messer Francesco, il quale era pratico di Tunisi ed a piena conoscenza della situazione dei beni lasciati da don Lorenzo alla sua morte ed avrebbe quindi potuto utilmente accompagnare a Tunisi un eventuale inviato da Roma. 

Lo spirito di sacrificio del frate cappuccino si mostra mirabilmente nel rifiuto opposto alla proposta di chiedere dal Papa una dispensa alla Regola alla quale egli ed il frate suo compagno erano vincolati, adducendo tra i motivi il non voler offrire occasione di scandalo ai mussulmani; soltanto chiedeva di ottenere l'autorizzazione, attraverso un Motu proprio del Papa, a sottoscrivere contratti, obbligazioni e simili atti, il che era a rigore contro la Regola francescana. Per il resto egli volle restare fedele a tutte le prescrizioni della Regola e con ogni sacrificio della sua persona si prodigò quanto più poteva nell'assistenza materiale e spirituale degli schiavi ed anche dei rinnegati che in gran numero volevano tornare alla fede cristiana conquistati dalla parola persuasiva e dall'esempio edificante del missionario cappuccino. «Molti renegati — scriveva — vogliono tornare alla fede et molti che si volevano far turchi non si fanno; et i renegati ci fanno delle elemosine dimodoche l'attendere alla conversione delle anime è un grand.ma impresa». Riferiva ancora di aver subito degli atti ostili da parte dei mussulmani i quali attribuivano ai riti sacri da lui compiuti la causa della peste ed erano inoltre adirati per l'uso del vino che i cristiani facevano, e che invece è severamente proibibito dal Corano, e per la tolleranza con cui erano tenute delle meretrici.39

Gli algerini si limitarono in fine a proibire la vendita del vino ed a gettare in mare due meretrici, rispettando le immagini sacre e permettendo la celebrazione delle messe. Fra Pietro temeva però che non avendo i loro provvedimenti fatto cessare la peste avrebbero proibito i santi sacrifici «il che se faranno - egli scriveva - spero che i boni christiani non li ubidiranno ma più tosto vorranno morire per volere ubidire a Dio che vivere per voler temere il mondo». Nel concludere la sua missiva fra Pietro sollecitavi i Guardiani dell'Arciconfraternita di indire pubbliche preghiere per loro «poveri christiani d'Algeri acciò il S.re ci dia fortezza di resistere con pazienza et humiltà al furore di questi barbari quali non cercano cosa maggiorai.te che spengere il collo chrisliano». Nelle ultime parole il frate, pregando di scusarlo presso i suoi Superiori, a cui non scriveva per il gran da fare, alludeva ad una sua lettera ad essi diretta in cui era richiesta la soluzione di alcuni «casi».

Mentre i due missionari cappuccini continuavano la loro opera nella città barbaresca, il primo gruppo di schiavi riscattati tornava in patria, accompagnato dal sacerdote Giovanni Sanna e da Lodovico Giumi. Essi annunciavano il loro sbarco a Civitavecchia il 24 maggio, dopo tre settimane di navigazione, e chiedevano all'Arciconfraternità qual via tenere per il ritorno a Roma. Dalla lettera successiva del 27 maggio, apprendiamo che scelsero il viaggio per terra e preannunciarono il loro arrivo per uno dei giorni seguenti.40

Gli schiavi riscattati dall'Arciconfraternita del Gonfalone, si recarono. accompagnati dai Guardiani e con gran concorso di popolo, a render grazie a Dio nella basilica di S. Maria Maggiore e quindi a ricevere la benedizione del Sommo Pontefice. L'elenco degli schiavi redenti fu pubblicato in un manifesto a stampa che veniva affisso alle porte delle chiese per dar notizia dell'awenuto riscatto ed incitare a soccorrere i molti altri fratelli che giacevano in schiavitù.41

I nominativi sono raccolti sotto le iniziali dei nomi propri, disposte in ordine alfabetico, e sono seguiti dalla semplice indicazione del luogo d'origine. I più erano romani, napoletani, calabresi, genovesi e tra tutti vi era un religioso, il fiorentino frate Matteo dell'ordine dei Servi, e quattro donne.42

Fra Pietro che umilmente si era dichiarato indegno ed insufficiente all'opera affidatagli, si prodigò instancabilmente ad essa, senza riguardi per la sua persona. Chiamato la sera del venerdì 31 maggio – come riferisce l'anonima lettera copiata dal p. Mattia da Salò – da Don Diego di Ravaneda, appestato, ebbe contagiato da lui il morbo esiziale. Pur tra gli atroci dolori il frate cappuccino, con grande forza d'animo, si mantenne sereno e confidente nel volere divino fino alla morte avvenuta a mezzogiorno del 6 di giugno.

Nell'Archivio dell'Arciconfraternita del Gonfalone dopo le lettere di fra Pietro e quelle dei Redentori giunti a Civitavecchia, ve ne sono due di fra Filippo, restato solo e smarrito a continuare tra gli schiavi l'encomiabile opera di assistenza e di conforto religioso.

Due giorni dopo la morte di fra Pietro il compagno scriveva ai Guardiani dell'Arciconfraternita dando loro la tristissima notizia: «... come el buon padre fra Pietro, venerdì di sera caschò infermo di peste che fu l'ultimo di maggio, giovedì poi ben a buon ora sei del presente mese di maggio [sic] rese il spirito a Deo».43 Non aggiunge particolari a noi sconosciuti ma conferma il racconto tradizionale, riferendoci inoltre lo svolgimento del funerale. «Fu accompagnato il corpo con la croce avante da me et dal'altro capuccino schiavo con il sig.re Console di Francia col sig.re Borgal nostro mercante, con alcuni gentil'huomini et franchi et schiavi, con tre religiosi che sono restati, et molti schiavi quali tutti hanno pianto la morte del padre amaramente, tutti dico portavano candele accese, et molte torcie presentate al glorioso S. Rocco, fattolo poi mettere in una casa honorata con boniss.a sepoltura, cosa che mai più in questa terra s'è fatta». Fra Filippo non si stanca di lodare le virtù e l'opera svolta dal compagno che lo ha lasciato ed esprime con sincera vivezza di espressioni il suo stato d'animo dopo la perdita subita: «... dunque sendo io restato solo non posso far non rammaricarmi; non mi posso continere, mi aborrisce il manggiare [!], et con tutta la mia solitudine, mi da pena ogni compagnia, et mi par haver piacere nelli sospiri et lagrime, sia dunque laudato il sig.re, io sempre ho desiderato far la volontà di Dio, et de mei prelati et particolarmente in questo viaggio et al presente». Il frate riferisce di aver seguilo il consiglio del medico del Pascià e di altri, di non recarsi a visitare gli schiavi appestati, essendo anch'egli mezzo infetto, e di limitarsi a confessare gli schiavi sani. Egli d'altronde non s'acqueta in questa decisione ricordando le esortazioni di fra Pietro a curare gli appestati, il cui numero era di circa cento. Di fronte alla risolutezza di decisioni e di azione con cui abbiam visto agire fra Pietro, incurante d'ogni pericolo e schivo d'ogni riguardo, le lettere di fra Filippo palesano una esitazione ed un timore umanamente molto comprensibili.

Pur non recandosi tra gli appestati, egli continuò a confessare e ad amministrare i santi sacramenti, dirigendo anche l'assistenza materiale degli infermi. Nella sua seconda lettera, del 30 giugno14 riferiva che ben trecento schiavi erano morii, pur essendosi per essi tentato ogni rimedio, e cinquecento avevano superato il male che ormai tendeva a decrescere, come era solito avvenire in Algeri all'avvicinarsi del solleone. Molti schiavi avevano cooperato con il frate cappuccino nell'assistere i compagni colpiti e fra Filippo sollecitava per essi il riscatto, al ritorno, che si sperava prossimo, dei Redentori. Giunsero in quei giorni ad Algeri - come fra Filippo sempre nella sua lettera riferiva - una cinquantina di schiavi presi nelle galee del Papa. Di essi, che appartenevano al corsaro Murad-rais, alcuni erano soldati, cioè membri effettivi dell'equipaggio, altri avevano ormai compiuto il loro servizio e molti di essi erano malati «per tante fatighe et bastonate che hanno haute». Fra Filippo attendeva il ritorno del Decano e di messer Lodovico e raccomandava ch'essi portassero buona somma di denaro per poter riscattare tutti coloro ai quali era stato promesso.

Quando ormai la peste era quasi scomparsa e si andava pensando ad un nuovo invio di Redentori nella città barbaresca per effettuare un più numeroso riscatto, fra Filippo cadde ammalato e dopo cinque giorni morì il 6 agosto 1585.45 Della sua morte diede notizia ai Guardiani dell'Arciconfraternita romana il vice console di Francia ad Algeri Jacques Bionneau.

Nella lettera del 10 agosto46 il Bionneau narra come otto giorni prima della morte di fra Filippo, l'immagine di S. Rocco aveva «sudato sangue puro et una de la madonna che li era presso latte il quale, con gran R.a fu asciugato da la bona memoria del R.do pre' fra Philippo, con cottone». Sulla natura e significato del fatto qui accennato e degli altri miracolosi fenomeni attribuiti alla immagine di San Rocco che i frati avevano con loro non si può precisare nulla per la brevità ed oscurità delle testimonianze stesse. Il vice console francese ha parole di grande elogio per l'attività svolta dai due frati nell'assistere gli schiavi che egli fa ascendere a trentamila, e prega vivamente i Guardiani del Gonfalone di inviare di nuovo «simili medici spirituali et in maggior numero che sia possibile» affermando che se i denari dell'Arciconfraternita riscatteranno cento schiavi, i padri cappuccini salveranno la maggior parte delle anime «si come si spera che sia stato &mdash; scrive il Bionneau &mdash; fra 600 che ne sono morii in cinque mesi de li quali sono informato che vi erano quelli che havea 30, 40 e 50 anni che non si erano prevaluti de li sacramenti de la penitentia et eucharestia tanto erano refredati in la religione per non havere chi li ammonisca et essorti».

All'inizio della svia lettera il Bionneau così diceva: «Addì 11 di luglio recevi mia cortesissima littera de Vre 111.me Sig.rie delli 3 di giugnio, nel qual tempo essendo già morta la fe. me. del R.do Pre fra Pietro, rispose à essa e del tutto li diedi parlicular raguaglio...». Questo «particular ragguaglio» inviato ai Guardiani del Gonfalone e che non si ritrova tra le carte d'Archivio non potrebbe identificarsi con la relazione anonima, fonte finora delle conoscenze su questa missione? L'autore sarebbe quindi il Bionneau che, data la forma impersonale di <span class="Corpodeltesto3Corsivo">"font-size: 9.0pt;">Ragguaglio conferita alla sua relazione, citava come terza persona se stesso quando elencava, tra i seguaci del funerale di fra Pietro, il console di Francia.

Morto fra Filippo ed andati via col Pascià ormai scaduto di carica, i quattro sacerdoti che egli teneva schiavi, non era restato più .alcuno ad assistere spiritualmente quel gran numero di anime viventi di continuo in grave minaccia per la loro fede. Il Bionneau, a casa del quale avevano alloggiato i padri cappuccini, rinnovava l'offerta di ospitalità per i nuovi Redentori clic l'Arciconfraternita avrebbe inviato e accludeva copia dell'inventario degli oggetti di fra Filippo.

<p class="MsoNormal" style="text-align: justify; text-indent: 0cm; line-height: 10.8pt; mso-line-height-rule: exactly; mso-list: l1 level1 lfo2; tab-stops: 13.3pt; margin: 0cm 1.0pt .0001pt 2.0pt;"><!-- [if !supportLists]-->"font-size: 9.0pt; font-family: 'Century Schoolbook','serif'; mso-fareast-font-family: 'Century Schoolbook'; mso-bidi-font-family: 'Century Schoolbook';">"mso-list: Ignore;">I"font: 7.0pt 'Times New Roman';">&nbsp;&nbsp;&nbsp; due salvacondotti, l'uno del Pascià andato via, l'altro del nuovo eletto, Marni Bassa, sono in mano di Guglielmo Borgal, scriveva il vice-console francese rammaricandosi di ciò, ritenendo che nessun altro che lui avrebbe dovuto esserne il custode, dato il grado e la dignità che aveva. Egli proseguiva accusando il connazionale di essersi comportato male con i frati cappuccini, negando loro il credito e danneggiando così la pia opera. Il motivo per cui il Bionneau tendeva a screditare Guglielmo Borgal presso i Guardiani dell'Arcicon- fraternita era il desiderio di farlo sostituire con un suo raccomandato, messer Bartolomeo Summa. A parere del Bionneau il mutamento del Pascià era favorevole all'opera della Redenzione, essendo Marni Bassà «persona di miglior natura e condilion ch'el passato»17.

L'epidemia della peste s'era ormai estinta, come si prevedeva, all'entrata del solleone e già era ripreso il traffico ed eran giunte da Marsiglia due sacttie'18. Guglielmo Borgal non ignorava di certo l'ostilità che nutriva per lui il vice-console della sua nazione, e nella lettera che scrisse all'Arciconfraternita il 5 settembre giustificò il possesso del salvacondotto dicendo che gli era stalo consegnato da fra Filippo stesso per farlo riconfermare dal nuovo Pascià19. Su costui si esprime anch'egli con ottimismo: «Assan Bassà &egrave; andatto via di qua e in suo luoco &egrave; venutto Mahamet Bassa liuomo molto tratabil e de buon procedere apresso del quale io posso quanto voglio». Non risparmiò il Borgal di gettare qualche sospetto sul Bionneau a proposito di certi denari che fra Filippo aveva in consegna e che non si ritrovarono alla sua morte.

Egli ricordava con ammirazione la figura di fra Pietro e la sua morte «ch'&egrave; stata tanto acerba ed erta a questi poveri schiavi haven- do perso uno così buon padre et consolatore d'aflitti», e dice che non saprebbe descrivere «gli rigretti et pianti che se ne sono fatti et fanno continuamente per esso». Ma non soltanto nella memoria ri"font-size: 9pt;">conoscente dei cristiani era vivo il ricordo del buon padre cappuccino ma egli era ricordato con ammirazione «ancora dagli Turchi che de la vita santita e procedere d'esso non se ne pono saciare de ragionare». Che la santità e la bontà del frate fossero ricordate anche dopo la sua morte e puranco dai mussulmani &egrave; per lui l'encomio e la gloria più grande.

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Con la morte dei due padri cappuccini si concluse questa prima missione inviata dalla confraternita romana in Barberia. Se i 71 schiavi riscattati possono apparire ben poca cosa dinanzi alle migliaia che ne restavano, il bene operato con la parola di conforto e di ammonimento e con l'opera costante di assistenza materiale e religiosa, &egrave; veramente incalcolabile-

La missione di fra Pietro e fra Filippo ebbe l'alto riconoscimento di Sisto V e di essa si fa menzione in alcuni scritti degli anni successivi<a href="#_ftn38 ftn38;_ftnref38"><!-- <span class="Corpodeltesto30">[38]</a>. Il sacrificio dei due padri cappuccini aprì quasi la strada ¦ai quattro confratelli che furono inviati ad Algeri dall'Arciconfra- ternita del Gonfalone l'anno seguente<a href="#_ftn39 ftn39;_ftnref39"><!-- <span class="Corpodeltesto30">[39]</a> ed ai molti francescani che nei secoli seguenti recarono agli schiavi cristiani in Barberia la libertà fisica e la salute spirituale.

<div style="mso-element: footnote-list;"><!-- <br clear="all" /><hr align="left" size="1" width="33%" />

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<p class="MsoNormal" style="margin-right: 1.0pt; text-indent: 19.0pt; tab-stops: 26.65pt;"><a href="#_ftnref1 ftn1;_ftn1"><!-- [1]</a>L'Ordine trinitario fu fondato da S. Giovanni di Matlia e S. Felice di Valois che ne ottennero l'approvazione da Innocenzo III nel 1198. Cf. M. HEIMBUCHER5pt">"font-size: 5.0pt;">, <em>"font-size: 7pt;">Die Orden and Kongregationen der katholischen Kirclie</em><em> II</em>, Paderborn 1933, 448-455. Per l'attività del Riscatto cf. P. 55pt">"font-size: 5.5pt;">DESLANDRES,&nbsp;<em>L'Ordre des Trinitaires pour le rachat des captifs</em>, 2 voll., Parigi 1903. - L'Ordine dei Mercedari fu fondato nel 1218 da S. Pietro Nolasco, con la protezione di Giacomo I d'Aragona, ed approvato nel 1235 da Gregorio IX. Cf. M. "font-size: 9.33333px; text-indent: 25.3333px;">HEIMBUCHER55pt">"font-size: 5.5pt;"><em>op. cit.</em> I, 571-576. Uno sguardo all'opera redentrice dei Mercedari ed una aggiornata bibliografia sono contenuti nel prologo all'edizione della cronaca di Fr. MELCHOR GARC&Iacute;A NAVARRO55pt">"font-size: 5.5pt;">, O. de M.,55pt">"font-size: 5.5pt;"><em>Redenciones de cautivos en Africa (1723-25)</em>, Madrid 1946.

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<p class="MsoNormal" style="margin-right: 1.0pt; text-indent: 19.0pt; tab-stops: 25.9pt;"><a href="#_ftnref2 ftn2;_ftn2"><!-- <b style="mso-bidi-font-weight: normal;">"font-size: 7.0pt; mso-fareast-language: IT; mso-bidi-language: AR-SA; font-style: normal;">[2]</b></a>Sulla Pirateria nel Mediterraneo nella seconda metà del '500 cf. F. BRAUDEL,55ptMaiuscoletto">"font-size: 5.5pt;"><em>Civiltà e imperi del Mediterraneo nell'età di Filippo lI</em>&nbsp;tr. ital. 1953, II, 939-971.

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<p class="MsoNormal" style="text-indent: 19.0pt; tab-stops: 27.4pt; margin: 0cm 1.0pt .0001pt 1.0pt;"><a href="#_ftnref3 ftn3;_ftn3"><!-- [3]</a>&nbsp; Precedente all'opera romana di cui trattiamo era sorta a Napoli nel 1548, con la protezione di Carlo V, una « Casa Santa della Redenzione de' Cattivi », che ricevette privilegi ed indulgenze da vari Pontefici. Cf. <em>Regole ed Istituti dell'antichissima reai casa santa della Redenzione de' Cattivi di questa Città, e Regno di Napoli</em>, Napoli 1670. L'ultima missione inviata da questa Opera in Barberia nel 1647 fu affidata anche a due padri cappuccini, frate Antonio da Guigliano e frate Giulio da Tiano.

<p>4 La confraternita fu istituita tra il 1260 e il 1267, anno in cui ebbe un Breve di riconoscimento da Clemente IV. Durante il Medioevo fu promotrifce di sacre rappresentazioni al Colosseo. La Bolla di Gregorio XIll <em>Christianae nobiscum</em>, del 28 maggio 1581, &egrave; in Mazzo H fasc. 1. Cf. <em>Bull. Rom</em>. VIlI, Augustae Taurinorum 1863, 373-376. Sulla confraternita del Gonfalone cf. B. Piazza, <em>Eusevologio ovvero delle Opere Pie di Roma</em>, Roma 1698, 348-350; <em>Cenni storici della Ven. Arch. del Gonfalone</em>, Roma 1888, premessi all'ed. degli Statuti; L. RUGGERI, <em>L'Archiconfraternita del Gonfalone</em>, Roma 1866, che dedica all'attività del Riscatto una generica trattazione alle pp.348-378.

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<p class="MsoNormal" style="margin-left: 1.0pt; text-indent: 19.0pt; line-height: 8.4pt; mso-line-height-rule: exactly; tab-stops: 27.9pt;"><a href="#_ftnref4 ftn4;_ftn4"><!-- [4]</a>Nel Libro <em>T</em> (serie <em>Diversi</em>) dell'Arch. della Confraternita &egrave; contenuto un sunto storico sugli inizi dell'attività del Riscatto. La confraternità discusse circa l'accettazione dell'incarico datole dal Papa e lo accettò decidendo di tenere una amministrazione separata dell'Opera del Riscatto.

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<p class="MsoNormal" style="margin-left: 2.0pt; text-indent: 18.0pt; line-height: 8.4pt; mso-line-height-rule: exactly; tab-stops: 27.9pt;"><a href="#_ftnref5 ftn5;_ftn5"><!-- [5]</a>&nbsp; Le elemosine erano raccolte per mezzo di cassette poste all'entrala delle Chiese (cf. libro T). Nelle varie diocesi erano inviati dei Commissari del Riscatto per il ritiro delle somme raccolte. (Cf. Ma zzo H n.5, (1.14-25).

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<p class="MsoNormal" style="margin-left: 2.0pt; text-indent: 18.0pt; line-height: 8.4pt; mso-line-height-rule: exactly; tab-stops: 29.1pt;"><a href="#_ftnref6 ftn6;_ftn6"><!-- [6]</a>&nbsp;&nbsp; Cf. Breve di Gregorio XIII del 20 febbraio 1585, pubblicato in un manifesto a stampa (Mazzo H n.16 f.66 e n.17 f.67); Breve di Sisto V del 23 marzo 1586 (Mazzo II n.18 ff.68-89 e n.19 ff.90-95).

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<p class="MsoNormal" style="margin-left: 1.0pt; text-indent: 20.0pt; line-height: 8.4pt; mso-line-height-rule: exactly; tab-stops: 27.65pt;"><a href="#_ftnref7 ftn7;_ftn7"><!-- [7]</a>&nbsp; Per le incursioni dei Barbareschi sulle coste dello Stato pontificio cf. A. Gu- cuelmotti, Storia della Marina dello Stato pontificio, Roma 1886-1887.

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<p class="MsoNormal" style="margin-right: 1.0pt; text-indent: 19.0pt; line-height: 8.4pt; mso-line-height-rule: exactly; tab-stops: 26.9pt;"><a href="#_ftnref8 ftn8;_ftn8"><!-- [8]</a>&nbsp;&nbsp; La confraternità fu istituita tra il 1260 e il 1267, anno in cui ebbe un Breve di riconoscimento da Clemente IV. Durante il Medioevo fu promotriie di sacre rappresentazioni al Colosseo. La Bolla di Gregorio XIII Christianae nobiscum, del 28 maggio 1581, &egrave; in Mazzo li fase. 1. Cf. Bull.Rom. Vili, Augustae Taiuinorum 1863, 373-376. Sulla confraternita del Gonfalone cf. B. 55ptMaiuscoletto">"font-size: 5.5pt;">Piazza, Eusevologio oxwero delle Opere Pie di Roma, Roma 1698, 348-350; Cenni storici della Ven. Arch. del Gonfalone, Roma 1888, premessi all'ed. degli Statuti; L. 55ptMaiuscoletto">"font-size: 5.5pt;">Rugcf.ri, VArchiconfra- ternita del Gonfalone, Roma 1866, che dedica all'attività del Riscatto una generica trattazione alle pp.348-378.

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<p class="MsoNormal" style="text-indent: 19.0pt; line-height: 8.4pt; mso-line-height-rule: exactly; tab-stops: 27.65pt; margin: 0cm 1.0pt .0001pt 1.0pt;"><a href="#_ftnref9 ftn9;_ftn9"><!-- [9]</a>&nbsp; Nel Libro T (serie Diversi) dell'Arch. della Confraternita &egrave; contenuto un sunto storico sugli inizi dell'attività del Riscatto. La confraternità discusse circa l'accettazione dell'incarico datole dal Papa e lo accettò decidendo di tenere una amministrazione separata dcll'Opera del Riscatto.

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<p class="MsoNormal" style="text-indent: 19.0pt; line-height: 8.4pt; mso-line-height-rule: exactly; tab-stops: 26.9pt; margin: 0cm 1.0pt .0001pt 1.0pt;"><a href="#_ftnref10 ftn10;_ftn10"><!-- [10]</a> Le elemosine erano raccolte per mezzo di cassette poste all'entrata delle Chiese (cf. libro T). Nelle varie diocesi erano inviati dei Commissari del Riscatto per il ritiro delle somme raccolte. (Cf. Mazzo H n.5, fi.14-25).

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<p class="MsoNormal" style="text-indent: 19.0pt; line-height: 8.4pt; mso-line-height-rule: exactly; tab-stops: 28.1pt; margin: 0cm 1.0pt .0001pt 1.0pt;"><a href="#_ftnref11 ftn11;_ftn11"><!-- [11]</a> Cf. Breve di Gregorio XIII del 20 febbraio 1585, pubblicato in un manifesto a stampa (Mazzo H n.16 f.66 e n.17 f.67); Breve di Sisto V del 23 marzo 1586 (Mazzo li n.18 ff.68-89 e n.19 ff.90-95).

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<p class="MsoNormal" style="margin-right: 1.0pt; text-indent: 20.0pt; line-height: 8.4pt; mso-line-height-rule: exactly; tab-stops: 26.65pt;"><a href="#_ftnref12 ftn12;_ftn12"><!-- [12]</a> Per le incursioni dei Barbareschi sulle coste dello Stato pontifìcio cf. A. Gu55ptMaiuscoletto">"font-size: 5.5pt;">glielmotti, Storia della Marina dello Stato pontificio, Roma 1886-1887.

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<p class="MsoNormal" style="margin-right: 2.0pt; text-indent: 19.0pt; tab-stops: 26.4pt;"><a href="#_ftnref13 ftn13;_ftn13">55ptMaiuscoletto">"font-size: 5.5pt;"><!-- 55ptMaiuscoletto">"font-size: 5.5pt; font-variant: normal !important; mso-fareast-language: IT; mso-bidi-language: AR-SA;">[13]</a>55ptMaiuscoletto">"font-size: 5.5pt;">&nbsp; Matthias a Salò, O.F.M.Cap.,Historia Capuccina II, Roma 1950,472. Che fra Pietro fosse dei conti Cigala si afferma in: Cristoforo 55ptMaiuscoletto">"font-size: 5.5pt;">Poggiali, Memorie storiche di Piacenza X, Piacenza 1761, 86. La sua appartenenza alla Provincia di Roma e non di Bologna &egrave; stata dimostrata da 55ptMaiuscoletto">"font-size: 5.5pt;">Felice da Marf.to, O.F.M.Cap., I missionari Cappuccini della Provincia Parmense. Note marginali, Modena 1942, 63-65.

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<p style="margin-right: 2.0pt; tab-stops: 29.75pt;"><a href="#_ftnref14 ftn14;_ftn14">27pt"><!-- 27pt">[14]</a>27pt">&nbsp;&nbsp;&nbsp;&nbsp;&nbsp;&nbsp;&nbsp;&nbsp;&nbsp;&nbsp; Cf. 2Maiuscoletto">"font-size: 5.5pt;">[Fredecando da Anversa,20">"font-size: 5.5pt;"> O.F.M.Cap.], 27ptCorsivo">I Frati Minori Cappuccini lungo la Costo africana nel secolo XVI. Una relazione inedita del 1585,27pt"> 20">"font-size: 5.5pt;">in 27ptCorsivo">Anal. O.F.M27pt">. 27ptCorsivo">Cap.27pt"> 40(1924) 252-260. 20">"font-size: 5.5pt;">Adesso si ritrova pubblicata in 2Maiuscoletto">"font-size: 5.5pt;">Matthias a Salò, 27ptCorsivo">op. cit- 27pt">472-477. 20">"font-size: 5.5pt;">Della missione dei due cappuccini si trova menzione nelle varie storie dell'Ordine Cappuccino. 27pt">Cf. 2Maiuscoletto">"font-size: 5.5pt;">Zacharias Boverius, 27ptCorsivo">Annalium27pt"> II, 20">"font-size: 5.5pt;">Lugduni 27pt">1639, 167- 168; 20">"font-size: 5.5pt;">Rocco 2Maiuscoletto">"font-size: 5.5pt;">da CesINALE,20">"font-size: 5.5pt;"> O.F.M.Cap., 27ptCorsivo">Storia delle Missioni dei Cappuccini27pt"> 20">"font-size: 5.5pt;">I, 27pt">Pa20">"font-size: 5.5pt;">rigi 27pt">1867, 414-421; 2Maiuscoletto">"font-size: 5.5pt;">Clemente da Terzorio,20">"font-size: 5.5pt;"> O.F.M.Cap., Le 27ptCorsivo">Missioni dei Minori Cappuccini. Sunto storico27pt"> X, 20">"font-size: 5.5pt;">Roma 27pt">1938, 566-568; 2Maiuscoletto">"font-size: 5.5pt;">Mf.lchior a 27pt">Por», 2Maiuscoletto">"font-size: 5.5pt;">ad ir a,20">"font-size: 5.5pt;"> O.F.M.Cap., 27ptCorsivo">Historia generalis Ordinis Fratrum Minorimi Capuccinorum27pt"> 20">"font-size: 5.5pt;">I, Roma 27pt">1947, 333. 2Maiuscoletto">"font-size: 5.5pt;">Ubald d'Alenqon,20">"font-size: 5.5pt;"> O.F.M.Cap., 27ptCorsivo">Franciscains et Pestif&eacute;r&eacute;s27pt"> 20">"font-size: 5.5pt;">eri 27ptCorsivo">Tunisie,27pt"> 20">"font-size: 5.5pt;">estr. da 27ptCorsivo">Iie- vue de VAnjou,27pt"> 1902, 3-5 20">"font-size: 5.5pt;">parla di questa missione come svoltasi a Tunisi.

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<p class="MsoNormal" style="margin-right: 2.0pt; text-indent: 19.0pt; tab-stops: 29.3pt;"><a href="#_ftnref15 ftn15;_ftn15"><!-- [15]</a>&nbsp;&nbsp; L'Archivio della confraternita fu trasportato all'Archivio Segreto Vaticano per ordine di Pio XI dalla Procura delle Missioni dei Figli del Cuore Immacolato di Maria. Di esso esiste un indice ms., parziale ed incompleto, che non menziona i documenti di cui trattiamo. Cf. Rubricella degli Atti e Documenti della Ven. Archiconfraternità del SS.mo Confalone in Roma, compilata da Giovanni de Re- gis nel 1877. - I documenti che citiamo e quelli per i quali si rinvia al testo pubblicato in appendice si intendono sempre appartenenti al predetto Archivio del Confalone, alle cui segnature ci riferiamo.

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<p class="MsoNormal" style="margin-left: 19.0pt; tab-stops: 29.55pt;"><a href="#_ftnref16 ftn16;_ftn16"><!-- [16]</a>&nbsp;&nbsp; Cf. infra doc. n.2.

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<p class="MsoNormal" style="margin-right: 1.0pt; text-indent: 19.0pt; line-height: 8.4pt; mso-line-height-rule: exactly; tab-stops: 29.5pt;"><a href="#_ftnref17 ftn17;_ftn17"><!-- [17]</a>&nbsp;&nbsp; Henri d'Angoul&egrave;me, figlio illegittimo di Enrico II, Gran Priore di Francia, Capitano Generale delle Galere, Governatore e Ammiraglio dei Mari di Levante, fu governatore della Provenza dal 1579 al 1586, anno in cui morì. Cf. R. 55ptMaiuscoletto">"font-size: 5.5pt;">Busquet, Ilistoire de Marseille, Paris 1945, 217. Nei nostri documenti &egrave; sempre e soltanto citato come Gran Priore.

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<a href="#_ftnref18 ftn18;_ftn18"><!-- [18]</a>&nbsp;&nbsp; Nel testo dell'istruzione (cf. infra doc. n.2) risulta Fabritio Felix e non Ludovico, ma con questo secondo nome il mercante &egrave; indicato fin dalla lettera del 20 gennaio 1585 da Marsiglia (cf. doc. n.6), e così anche nella lettera a lui personalmente diretta da fra Pietro il 22 maggio 1585 (cf. doc. n.14).

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<p class="MsoNormal" style="text-indent: 19.0pt; line-height: 8.4pt; mso-line-height-rule: exactly; tab-stops: 30.0pt;"><a href="#_ftnref19 ftn19;_ftn19">55pt">"font-size: 5.5pt;"><!-- 55pt">"font-size: 5.5pt; mso-fareast-language: IT; mso-bidi-language: AR-SA;">[19]</a>55pt">"font-size: 5.5pt;">&nbsp;&nbsp;&nbsp;&nbsp; Cf. il testo del breve, in Rocco 55pt">"font-size: 5.5pt;">da Cesinale, Storia delle Missioni Cappuccine 65pt">I, Parigi 1867, 504-505 ed in Bull.Cap. 65pt">II, 258: VII, 26S.

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<p class="MsoNormal" style="text-indent: 18.0pt; line-height: 8.4pt; mso-line-height-rule: exactly; tab-stops: 30.05pt; margin: 0cm 1.0pt .0001pt 1.0pt;"><a href="#_ftnref20 ftn20;_ftn20"><!-- [20]</a>&nbsp;&nbsp; Crediamo identificare la detta « patente vulgare » in Mazzo H fase. n.15. (Cf. doc. n.l).

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<p class="MsoNormal" style="text-indent: 19.0pt; line-height: 8.4pt; mso-line-height-rule: exactly; tab-stops: 30.75pt; margin: 0cm 1.0pt .0001pt 1.0pt;"><a href="#_ftnref21 ftn21;_ftn21"><!-- [21]</a>&nbsp;&nbsp; Cf. libro U (serie Diversi). La lista, consegnala ai Redentori il 30 novembre 1584, enumera 175 schiavi dello Stato pontificio e di altre regioni, alcuni dei quali avevano promesso un contributo al prezzo del proprio riscatto. Su alcuni di questi nominativi cf. S. 55ptMaiuscoletto">"font-size: 5.5pt;">Bono, La Pirateria nel Mediterraneo. Romagnoli schiavi dei Barbareschi, estr. da La Pie, 1953 n.9-10, pp.4-5.

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<a href="#_ftnref22 ftn22;_ftn22">30"><!-- 30">"font-size: 6.5pt; mso-fareast-language: IT; mso-bidi-language: AR-SA;">[22]</a>30">&nbsp;&nbsp;&nbsp;&nbsp;&nbsp;&nbsp;&nbsp;&nbsp;&nbsp;&nbsp;&nbsp; Dai nostri documenti risulta che era schiavo ad Algeri in quel tempo un certo frate Francesco sardo della provincia di Palermo. Il frate, non nominato in Antonino 355pt">"font-size: 5.5pt;">da 30">Castf.iaammarf. O.F.M.Cap., 37ptCorsivo">Storia dei Frati Minori Cappuccini della Provincia di Palermo37pt"> 30">II, Palermo 1922, morì per la peste, come scrisse fra Pietro il 22 maggio (cf. 37ptCorsivo">infra37pt"> 30">doc. n.15). Un certo fra Lione trapanese cappuccino &egrave; nominato quale testimone aH'inventario eseguito dopo la morte di fra Filippo (cf. doc. n.19); nella lettera di Jacques Bionneau 37pt">&egrave; 30">detto schiavo di Assan 37pt">Bassa 30">(cf. doc. n.20). Pur avendo la facoltà suddetta i due confratelli cappuccini non furono riscattati, probabilmente perch&eacute; non vollero privare altri di questo beneficio. Su altri frati schiavi cf. Melchior 355pt">"font-size: 5.5pt;">a 30">Pobladura, 37ptCorsivo">Hist. generalis37pt"> 30">I, 332-333.

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<a href="#_ftnref23 ftn23;_ftn23"><!-- [23]</a>&nbsp;&nbsp; Nell'Istruzione si consigliava di inviare le lettere dirette ai Guardiani del- l'Arciconfraternita in plico indirizzato al Card. Alessandro Farnese, protettore della confraternita, o ad altri Cardinali ivi indicati per far sì che giungessero più rapide e sicure. Le lettere da Roma ad Algeri e viceversa impiegarono circa un mese, un mese e mezzo.

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<a href="#_ftnref24 ftn24;_ftn24"><!-- [24]</a>&nbsp;&nbsp; Questo sigillo fu poi ritrovato tra gli oggetti lasciati da fra Filippo alla morte come risulta dall'inventario che se ne fece (cf. infra doc. n.19).

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<p class="MsoNormal" style="margin-left: 19.0pt; tab-stops: 29.8pt;"><a href="#_ftnref25 ftn25;_ftn25"><!-- [25]</a>&nbsp;&nbsp; Cf. infra doc. n.3.

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<p class="MsoNormal" style="margin-left: 19.0pt; tab-stops: 29.8pt;"><a href="#_ftnref26 ftn26;_ftn26"><!-- [26]</a>&nbsp;&nbsp; Cf. doc. n.4.

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<p class="MsoNormal" style="margin-left: 19.0pt; tab-stops: 29.8pt;"><a href="#_ftnref27 ftn27;_ftn27"><!-- [27]</a>&nbsp;&nbsp; Cf. doc. n.5.

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ftn28

<p class="MsoNormal" style="margin-right: 1.0pt; text-indent: 19.0pt; tab-stops: 29.3pt;"><a href="#_ftnref28 ftn28;_ftn28"><!-- [28]</a>&nbsp;&nbsp; La famiglia Lencio o Lenche, originaria della Corsica, si era stabilita a Marsiglia raggiungendovi una ragguardevole posizione. Antonio Lencio fu secondo console di Marsiglia nel 1587 ; il fratello Tommaso lo era stato nel 1565. Essi erano a capo della Compagnia per la pesca del corallo e della Compagnia del Bastione, concessione francese in Barberia. Cf. P. 55ptMaiuscoletto">"font-size: 5.5pt;">Masson, Histoire des &eacute;tablissements et du commerce frangais dans l'Afrique Barbaresque (1560-1793), Parigi 1903, 55pt">"font-size: 5.5pt;">8-14; P. 55ptMaiuscoletto">"font-size: 5.5pt;">Giraud, Les Lenche à Marseille et en Barbarie, in M&eacute;m. de l'inst. hist. de Provence 13(1936) 10-57; 14(1937) 107-139; 15(1938) 53-86.

</div>

ftn29

<p class="MsoNormal" style="margin-left: 19.0pt; tab-stops: 29.8pt;"><a href="#_ftnref29 ftn29;_ftn29"><!-- [29]</a>&nbsp;&nbsp; Cf. infra doc. n.7.

</div>

ftn30

<p class="MsoNormal" style="margin-right: 1.0pt; text-indent: 19.0pt; tab-stops: 30.0pt;"><a href="#_ftnref30 ftn30;_ftn30"><!-- [30]</a>&nbsp;&nbsp; Cf. infra doc. n.8. Era allora Pascià Hassan veneziano, che aveva già governato ad Algeri nel triennio 1577-1580. Cf. 55ptMaiuscoletto">"font-size: 5.5pt;">Dieco de Haedo, Histoire des Rois d'Alger, in Rev. africaine, 25(1881) 26-32.

</div>

ftn31

<p style="margin-left: 19.0pt; tab-stops: 29.8pt;"><a href="#_ftnref31 ftn31;_ftn31"><!-- [31]</a>&nbsp;&nbsp; Sull'Opera della Redenzione di Napoli cf. supra nota 3.

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ftn32

<a href="#_ftnref32 ftn32;_ftn32"><!-- [32]</a>&nbsp;&nbsp; « Bagni » erano detti i locali dove gli schiavi appartenenti al Pascià trascorrevano le notti e le ore e giornate di riposo. Ad Algeri erano dei locali divisi in sale longitudinali, con vari ordini di cuccette sospese, a cui si accedeva con delle scale di corda. In questa città barbaresca vi furono anche dei Bagni appartenenti a quei privati, i grandi capi corsari, che arrivavano a possedere personalmente qualche migliaio di schiavi. I Bagni avevano dei nomi turchi ma più comunemente erano chiamati dal nome del Santo titolare della Cappella annessa al Bagno stesso. Cf. H. D. 55ptMaiuscoletto">"font-size: 5.5pt;">de Grammont, &Eacute;tudes alg&eacute;riennes, 21-23.

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ftn33

<p class="MsoNormal" style="margin-right: 2.0pt; text-indent: 19.0pt; line-height: 8.4pt; mso-line-height-rule: exactly; tab-stops: 29.75pt;"><a href="#_ftnref33 ftn33;_ftn33"><!-- [33]</a>&nbsp;&nbsp; Cf. infra docc. n.14 e n.15. Sulle pestilenze ad Algeri cf. Jean 55ptMaiuscoletto">"font-size: 5.5pt;">Marchika, La Peste en Afrique septentrionale. Histoire de la peste ere Algerie de 1363 à 1830, Alger 1927, che non mi &egrave; stato possibile consultare.

</div>

ftn34

<a href="#_ftnref34 ftn34;_ftn34"><!-- [34]</a>&nbsp;&nbsp; Nella lettera del 26 febbraio (cf. doc. n.8) si riferiva di don Lorenzo Procuratore della Redenzione dti Padri Trinitari, suggerendo di unire formalmente le due Redenzioni per risparmiare nei regali al Sovrano ed in altri aggravii. Nella lettera a cui ci riferiamo, del 22 maggio, fra Pietro diceva: don Lorenzo da Siena « &egrave; stato amazzato come per una mia scrittali per via di Valenza havranno inteso ». Questa altra lettera inviata da fra Pietro non si ritrova tra le carte d'Arc-hivio e forse non fu mai ricevuta. In Mazzo II. fase.13 ff.56-58 si conserva un Inventario delle robbe restale in Tunesi e Biserta che portò D. Lorenzo da Siena. Dalla lettera di fra Filippo dell'8 giugno ne apprendiamo il cognome: Visconte (cf. doc. n.16).

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ftn35

<a href="#_ftnref35 ftn35;_ftn35"><!-- [35]</a>&nbsp;&nbsp; In alcuni Bagni di Algeri vi erano delle taverne, gestite da schiavi che corrispondevano per questa concessione una tassa al governo. Cf. II. 55pt">"font-size: 5.5pt;">D. 55ptMaiuscoletto">"font-size: 5.5pt;">de Gram- 55ptGrassetto">"font-size: 5.5pt;">montGrassetto">, op. cit. 65pt">23-24.

</div>

ftn36

<a href="#_ftnref36 ftn36;_ftn36"><!-- [36]</a>&nbsp;&nbsp; Le due lettere sono collocate al Mazzo G, n.4, ff. 1.15-118.

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ftn37

<a href="#_ftnref37 ftn37;_ftn37"><!-- [37]</a> Cf. doc. n.20.

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ftn38

<a href="#_ftnref38 ftn38;_ftn38"><!-- [38]</a>&nbsp;&nbsp; Parole di elogio espresse da Sisto V nel Breve del 55pt">"font-size: 5.5pt;">23 marzo 55pt">"font-size: 5.5pt;">1586 (Cf. supra nota 55pt">"font-size: 5.5pt;">7). Altra menzione dei due padri cappuccini 55pt">"font-size: 5.5pt;">&egrave; in Fr. Geronimo 55pt">"font-size: 5.5pt;">Graci.ìn de 55ptMaiuscoletto">"font-size: 5.5pt;">la 55pt">"font-size: 5.5pt;">Madre de Dios, Traetetelo de la Redempcion de Captivos..., Roma 55pt">"font-size: 5.5pt;">1597, 57: « ...en Argel estuvieron muclio tiempo dos padres capuchinos, que embio Sixto Quinto, y hizieron increyble fructo... ». Altra ancora in Fr. 55pt">"font-size: 5.5pt;">Alfonso de' Domenici, Trattato delle Miserie che patiscono i fedeli christiani schiavi de' Barbari..., Roma 55pt">"font-size: 5.5pt;">1647, 39: « ...come al tempo della felice memoria di Sisto V in Algeri vi dimorarono due Padri Capuccini, che furono di non poco sollievo à quelle anime, e con la predicazione, e amministrazione de' Sacramenti e col trattar ancora la Redentione di molti... ».

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ftn39

<p class="MsoNormal" style="text-indent: 19.0pt; line-height: 8.4pt; mso-line-height-rule: exactly; tab-stops: 31.95pt; margin: 0cm 1.0pt .0001pt 1.0pt;"><a href="#_ftnref39 ftn39;_ftn39"><!-- [39]</a>&nbsp;&nbsp; Di questa missione fu a capo un altro cappuccino nativo di Piacenza, fra Dionisio, e ne furono membri frate Arcangelo da Rimini, fra Angelo da Forlì e fra Salarione bolognese. Scarsissime le notizie che se ne hanno finora nelle Storie dell'Ordine. Cf. Rocco 55ptMaiuscoletto">"font-size: 5.5pt;">da Cesinale, Storia delle Missioni cappuccine I, 421-422. 427-428. 55ptMaiuscoletto">"font-size: 5.5pt;">Melchior a Pobladura, Hist. grneralis Ordinis I, 333. Anche di questa missione si conserva nell'Archivio del Gonfalone una ricca documentazione, tra ¦cui numerose lettere inviate dai quattro Redentori durante la residenza ad Algeri.

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</div>rio XIII concesse speciali indulgenze, confermate ed accresciute poi da Sisto V11 11;_ref11"><!-- [11]

Lo Stato pontificio, come gli altri Stati italiani, era minacciato dai corsari delle Reggenze barbaresche di Algeri, Tunisi e Tripoli che si spingevano, con le loro leggere ed agili imbarcazioni, fin nei pressi delle coste tirreniche ed adriatiche sbarcandovi talora improvvisamente e traendone schiavi gli abitanti oltre a far bottino di quanto trovavano12 12;_ref12"><!-- [12] Il più potente degli Stati barbareschi era Algeri e quivi erano molto più numerosi che altrove gli schiavi cristiani. Fu pertanto in questa città che la confraternita romana decise nel 1584 di inviare la sua prima missione di Redentori.

Quali membri della missione furono prescelti oltre al sacerdote Giovanni Sanna, decano di Ales, ed al cittadino romano Ludovico Giumi, che era stato schiavo in Algeri, i due padri cappuccini fra Pietro da Piacenza e fra Filippo da Roccaconlrada.

Le notizie biografiche sui due padri sono scarse: di fra Filippo si sa soltanto che era stato «dottore al secolo». Di fra Pietro ecco quanto riferisce VHistoria Capuccina di fra Mattia da Salò: «Era F. Pietro nato di padre assai nobile detto Mr. Ottaviano Baffoli, d'un castello detto Pellegrino nel Piacentino; studiò leggi in Pavia et ivi fu dottorato. Posto poi in habito clericale andò a Roma, ove menò

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<div class="WordSection3">

<p style="line-height: 10.55pt; mso-line-height-rule: exactly; margin: 0cm 1.0pt .0001pt 1.0pt;">vita spirituale sotto la disciplina de Padri detti dell'Oratorio; ma desideroso di andare a maggior perfettione, fecesi Capuccino...»13 13;_ref13"><!-- [13]

<p style="text-indent: 18.0pt; line-height: 10.55pt; mso-line-height-rule: exactly; margin: 0cm 1.0pt .0001pt 1.0pt;">Fonte delle notizie che di questa missione ad Algeri si avevano finora era una relazione di non precisato autore, riprodotta dal P. Mattia da Salò nella sua opera storica e pubblicata separatamente nel 192414 14;_ref14"><!-- [14]

<p style="text-indent: 18.0pt; line-height: 10.55pt; mso-line-height-rule: exactly; margin: 0cm 1.0pt .0001pt 1.0pt;">L'ignoto autore, sulla cui identificazione crediamo di poter proporre, come diremo a suo luogo, una valida ipotesi, riferiva con parole di fervida ammirazione l'opera svolta dai due religiosi fino alla morte, seguita per il contagio della peste, contratto nel curare gli schiavi ammalati. Sulle ultime ore di fra Pietro ed il suo eroico atteggiamento dinanzi alla morte egli riferiva con larghezza di particolari come di persona che sia stata personalmente presente.

<p style="text-indent: 18.0pt; line-height: 10.55pt; mso-line-height-rule: exactly; margin: 0cm 1.0pt .0001pt 1.0pt;">Le ricerche compiute nell'Archivio dell'Arciconfraternita del Gonfalone, ci hanno fatto ritrovare una ricca documentazione relativa a questa missione in Algeri. Dai documenti rinvenuti che adesso pubblichiamo si ricava una più ampia conoscenza dell'attività svolta dai padri cappuccini e di tutta l'organizzazione e lo svolgimento di questa missione15 15;_ref15"><!-- [15]

<p style="text-indent: 18.0pt; line-height: 10.55pt; mso-line-height-rule: exactly; margin: 0cm 1.0pt .0001pt 1.0pt;">Le direttive generali e le minute prescrizioni per l'attuazione della missione sono contenute nella lunga Instruttione diretta ai quattro Redentori16 16;_ref16"><!-- [16] Fin dalle prime righe, ed in seguito in più punti<sub>r</sub> appare chiara la superiorità riconosciuta a fra Pietro, alle cui decisioni dovevano rimettersi in ogni contestazione e dubbio gli altri membri. Il laico messer Lodovico Giumi era consegnatario del danaro calcolato bastante per il viaggio sino a Marsiglia, porto d'imbarco per Algeri. Nella città francese avrebbero trovato altra somma accreditata presso un Banco. Il decano di Ales compiva tutta la missione a sue spese, pure era egualmente pregato di controllare i conti che dovevano essere tenuti continuamente in regola.

<p class="MsoNormal" style="margin-left: 1.0pt; text-align: justify; text-indent: 18.0pt; line-height: 10.55pt; mso-line-height-rule: exactly; mso-list: l0 level1 lfo1; tab-stops: 10.1pt;"><!-- [if !supportLists]-->"font-size: 9.0pt; font-family: 'Century Schoolbook','serif'; mso-fareast-font-family: 'Century Schoolbook'; mso-bidi-font-family: 'Century Schoolbook';">"mso-list: Ignore;">I"font: 7.0pt 'Times New Roman';">&nbsp;&nbsp;&nbsp;&nbsp;&nbsp; padri cappuccini si erano già messi in viaggio quando il testo dell'istruzione fu consegnato agli altri due membri. I due religiosi dovevano attendere i compagni a Livorno o a Lerici, per imbarcarsi poi insieme alla volta di Genova e successivamente di Marsiglia. A Genova si sarebbero informati delle possibilità di trasferire ad Algeri il denaro necessario per il riscatto, per confrontare poi queste condizioni con quelle offerte dai mercanti di Marsiglia. Una prova dei disagi che si supponeva comportasse il viaggio &egrave; data dalla previsione, fatta nell'istruzione, dell'eventuale malattia e perfino della morte di qualcuno dei membri, in relazione alla quale si davano le disposizioni cui attenersi. Ai Redentori erano affidate delle lettere di presentazione dirette al Governatore della Provenza17 17;_ref17"><!-- [17]</a> e ad altri influenti personaggi da cui si sperava avrebbero ricevuto protezione ed aiuto.

A Marsiglia, presso il mercante Ludovico Felix18 18;_ref18"><!-- [18]</a>'1, avrebbero trovato il salvacondotto per entrare nella città barbaresca. Se non fosse stato pronto avrebbero cercato di ottenerlo quanto prima, giovandosi dell'aiuto del Gran Priore e del mercante Felix. Per quanto riguardava il trasferimento del denaro ad Algeri si consigliava di portarlo in sacchetti assicurati, lasciando però ad essi di decidere se fosse questo il mezzo migliore ovvero il trasferimento per lettera di credito sulla piazza di arrivo.

<span class="Corpodeltesto3105pt">"font-size: 10.5pt;">Il Breve Cum Algerium di Gregorio <span class="Corpodeltesto3105pt">"font-size: 10.5pt;">XIII (5 die. 1584) diretto a fra Pietro19 19;_ref19"><!-- [19]</a>, con cui era concessa al frate cappuccino la facoltà di assolvere gli schiavi «a quibusvis peccatis» anche riservati alla Sede Apostolica, si consigliava di lasciarlo nel convento dei Cappuccini di Marsiglia, insieme con la Patente data loro dall'Arciconfraternita e sottoscritta dai Cardinali e Guardiani mentre avrebbero recato seco quella «vulgare», sottoscritta soltanto dai quattro Guardiani allora in carica, lutti patrizi romani : Gerolamo d'Avila, Paolo Mattei, Carlo de' Massimi ed Ulisse Lancerini20 20;_ref20"><!-- [20] Riguardo ai primi atti da compiersi ad Algeri erano dati loro molti consigli di prudenza e di accortezza, ispirati dalla diffidenza che suscitavano i mussulmani.

Quanto agli schiavi da riscattare dovevano essere prescelti anzi- tutti quelli indicati nella lista ad essi consegnata21 21;_ref21"><!-- [21]</a>, di alcuni dei quali il prezzo di riscatto era stato pagato da parenti od amici. Degli altri essi dovevano assumere più precise informazioni, riscattando per quella prima volta i meno costosi, per poterne liberare un mag-

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<div class="WordSection4">

<p class="MsoNormal" style="line-height: 10.55pt; mso-line-height-rule: exactly; margin: 0cm 1.0pt .0001pt 1.0pt;">gior numero, «et l'altri - prosegue l'istruzione &mdash; consolerete con darli speranza per la seconda volta et che fratanto habbino patientia». Anche su questo punto, la designazione degli schiavi da riscattare tra quelli in lista, si ordinava espressamente al Decano di Ales ed a messer Lodovico di «condescendere et obedire all'opinione di fra Pietro il quale debbia fare detto compartimento de schiavi standocene noi su la sua conscientia», e similmente si ripeteva più avanti. Oltre all'avvertenza di non dare se stessi in pegno per effettuare un riscatto cui non bastasse il denaro contante, senza prima aver interpellato l'Arciconfraternita, si davano altre minori disposizioni circa il riscatto, circa l'alloggio da scegliersi in Algeri ed altre particolarità.

<p style="text-indent: 19.0pt; line-height: 10.55pt; mso-line-height-rule: exactly; margin: 0cm 1.0pt .0001pt 1.0pt;">Caratteristica &egrave; la raccomandazione di far fare agli schiavi riscattati «voto o giuramento de mano loro de venire a Roma insieme con voi ms. Lodovico a visitare la Chiesia di S. Pietro et di presentale alli piedi de S.B.ne et alla Archiconfraternita del Confalone per rendere gratie del loro rescatto».

<p style="text-indent: 19.0pt; line-height: 10.55pt; mso-line-height-rule: exactly; margin: 0cm 1.0pt .0001pt 1.0pt;">Era infatti consuetudine che gli schiavi tornati in patria si recassero in processione di ringraziamento accompagnati dai religiosi

<p style="line-height: 10.55pt; mso-line-height-rule: exactly; tab-stops: 11.1pt; margin: 0cm 1.0pt .0001pt 1.0pt;">o&nbsp;&nbsp; dai membri delle confraternite che ne avevano procurato il riscatto. Si concedeva inoltre facoltà di riscattare i frati cappuccini che eventualmente fossero schiavi in Algeri anche ad un prezzo maggiore di quello stabilito come regola per gli altri schiavi perch&eacute; così, si diceva, era volere del Papa «et debito della Archiconfraternita per l'obbligo che tiene à detta religione dei capuccini»22 22;_ref22"><!-- [22] Si davano poi le disposizioni per il viaggio di ritorno di messer Lodovico con il primo gruppo di schiavi redenti e quelle riguardanti l'invio della corrispondenza a Roma e l'amministrazione del denaro in Algeri23 23;_ref23"><!-- [23] La superiorità riconosciuta a fra Pietro si rileva ancora dalla disposizione che nelle lettere inviate a Roma vi fosse sempre la sua firma, oltre quella di un altro membro almeno, e a lui era inoltre affidato il sigillo deH'Arciconfraternila24 24;_ref24"><!-- [24]

<p style="text-indent: 19.0pt; line-height: 10.55pt; mso-line-height-rule: exactly; margin: 0cm 1.0pt .0001pt 1.0pt;">Queste che abbiamo illustrato sono le principali disposizioni cd avvertenze date ai quattro Redentori per l'esecuzione della loro missione. L'Istruzione fu firmata dal Decano e da messer Lodovico, mentre a fra Pietro che era già partito col suo compagno, si richiedeva, secondo l'ultimo paragrafo dell'istruzione stessa una dichiarazione

<p><br style="page-break-before: always; mso-break-type: section-break;" clear="all" />

<div class="WordSection5">

<p class="MsoNormal" style="text-indent: 19.0pt; line-height: 10.55pt; mso-line-height-rule: exactly; margin: 0cm 1.0pt .0001pt 1.0pt;">per lettera la quale servisse come accettazione di quanto l'istruzione stabiliva. All'Istruzione segue il testo dei Capitoli stipulati tra il decano di Ales e Lodovico Giumi da ima parte e l'Arciconfraternita dall'altra, per cui i due si impegnavano a compiere il viaggio «senza premio alcuno gratis e per l'amor di Dio et per la compassione dei poveri schiavi cristiani tra i quali ms. Lodovico come dice, &egrave; stato- longo tempo».

<p style="text-indent: 18.0pt; margin: 0cm 2.0pt .0001pt 1.0pt;">Come prescritto nella Istruzione i due frati si erano recati a Lerici e qui attesero gli altri due compagni di viaggio. Tutti insieme esaminarono qual fosse il mezzo migliore di cui servirsi per passare a Genova e, come narra fra Pietro nella lettera scritta da quella città il 13 dicembre25 25;_ref25"><!-- [25]</a>, trovarono ima fortunata occasione: il gentiluomo genovese Cesare Pallavicino offrì loro un passaggio per Genova sul suo vascello e, conosciuta la meritoria opera cui si dedicavano, concesse gratis il medesimo vascello, con equipaggio pratico, per condurli sino a Marsiglia. A Genova, ove giunsero il 12 dicembre, trat- tenendovisi quattro giorni, cominciarono ad avere qualche notizia più diretta sul prezzo degli schiavi in Algeri e ne riferirono a Roma per avere dilucidazioni su come regolarsi. Fra Pietro precisò, in risposta alla richiesta avuta, di non poter egli, per la Regola del suo Ordine, sottoscrivere l'istruzione a guisa di contratto, ma replicò che avrebbe pienamente obbedito alle volontà dei Guardiani. Il viaggio per Genova non era stato del tutto agevole ma essi si dichiararono tutti «con bona dispositione del corpo» bench&eacute; da Pisa li avessero colti le piogge, e raccomandarono di pregare per loro e fra Pietro aggiunse: «Parlando di me cognosco che questo viaggio non era per la mia debolezza, se le orationi non l'avessero aiutata».

<p style="text-indent: 18.0pt; margin: 0cm 2.0pt .0001pt 1.0pt;">Nella lettera successiva del 17 dicembre26 26;_ref26"><!-- [26]</a> riferivano le notizie avute da un mercante genovese, che aveva risieduto ad Algeri per dieci anni, circa le pratiche per effettuare i riscatti. Vennero così a sapere che i Redentori erano anzitutto obbligati dal Pascià a riscattare alcuni schiavi di proprietà sua a alcimi di tre suoi ufficiali, da essi imposti al prezzo degli schiavi atti al remo, cio&egrave; più cari. Il Pascià e gli altri alti ufficiali si disfacevano in tal modo proficuamente di quegli schiavi che, essendo vecchi o malati o per altro motivo, non sarebbero stati facilmente richiesti in riscatto, davano notizia di aver ricevuto il Breve di Gregorio XIII a fra Pietro, il quale aveva subito esteso le facoltà concessegli al padre Decano ed al confratello, e comunicavano infine la partenza per Marsiglia il giorno stesso.

<p style="text-indent: 18.0pt; margin: 0cm 2.0pt .0001pt 1.0pt;">Da Marsiglia scrivevano il 10 gennaio 1585 ragguagliando del viaggio fatto sul vascello del signor Pallavicino27 27;_ref27"><!-- [27] Il salvacondotta da Algeri non era giunto ed avrebbero dovuto attenderlo ancora alcuni mesi. Decisero allora, per consiglio del signor Felix, di ottenerne uno dal Governatore della Provenza, presentandogli le lettere avute per lui dal Cardinale Alessandro Farnese. Comunicarono ancora di aver ottenuto una lettera di credilo sulla piazza di Algeri per l'importo di tremila scudi, non recando così il denaro contante con s&eacute; e pregarono i Guardiani di ottenere una lettera di raccomandazione del Re di Francia, nulla essendo più giovevole presso il Pascià. Non

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<div class="WordSection6">

<p style="margin: 0cm 1.0pt .0001pt 1.0pt;">attendevano che il vento favorevole per partire e nel concludere la loro lettera, considerando le difficoltà che si profilavano nell'impresa iniziata, invocavano l'aiuto divino e le preghiere per ottenerlo.

Dopo dieci giorni ancora attendevano il vento favorevole alla navigazione e nella lettera del 20 gennaio21, replicate le notizie precedenti, aggiimgono d'essere entrati in relazione con il mercante Antonio Lencio «quale &egrave; di molla autorità in Barberia et stretto amico del Re di Algieri et &egrave; molto affezionato alla religione de padri Cappuccini»28 28;_ref28"><!-- [28] A lui si rivolsero i nostri Redentori e ne ottennero lettere di raccomandazione diretta al Sovrano d'Algeri e consigli preziosi sul come comportarsi nella città barbaresca. Quanto alla partenza riferivano che tutto era pronto e solo si attendeva un mutar del vento, regnando allora «levanti quali sono contrari alla na- vigatione». La breve lettera da Marsiglia del 1&deg; febbraio &egrave; scritta dal solo fra Pietro: non v'erano novità; attendevano ancora il vento propizio per partire alla volta di Algeri29 29;_ref29"><!-- [29]

Nella città barbaresca sbarcarono, dopo mi felice viaggio, il 20 febbraio. La prima lettera da Algeri, in cui riferivano delle condizioni degli schiavi e dell'udienza avuta dal Pascià, &egrave; del 26 febbraio30 30;_ref30"><!-- [30] Presentando il salvacondotto e le lettere del Gran Priore di Francia furono ricevuti dal Pascià in udienza pubblica, alla presenza cio&egrave; dei consiglieri ed alti ufficiali. Il Pascià si risentì che non gli fossero stati recati doni, come era consuetudine. L'opportunità o meno di recare questi doni era stala accennata nella Istruzione data loro a Roma, ritenendosi preferibile non recar nulla per non dare l'impressione di ricchezza e stimolare in tal modo ancor di più l'avidità dei Barbareschi. La decisione su questo punto era stata rimessa al giudizio di fra Pietro che preferì attenersi al parere del- l'Arciconfraternita.

Nella loro lettera i Redentori tratteggiano così il carattere del sovrano mussulmano: «Questo Re &egrave; tanto avaro, et tiranno, che si crede costui esser il più crudele che sia stato in questa città a recordi d'huomini. Astuliss.o et cerca cavar danari da tutti non portando rispetto a veruna persona». Le trattative per ottenere dal Pascià la facoltà di esercitare l'attività redentrice si svolsero per mezzo di un interprete.

<p style="text-indent: 18.0pt; tab-stops: 31.5pt; margin: 0cm 1.0pt .0001pt 1.0pt;">Il&nbsp;&nbsp; Pascià offerse loro genericamente le stesse condizioni concesse alle altre Redenzioni «et non di più ne di meno». I Redentori abilmente allora dichiararono di accettare le condizioni fatte alla Redenzione di Napoli31 31;_ref31"><!-- [31]</a> che in confronto a quelle offerte alle Redenzioni

<p><br style="page-break-before: always; mso-break-type: section-break;" clear="all" />

<div class="WordSection7">

La peste, del cui principio fra Pietro aveva dato notizia nella lettera del 27 aprile si era andata diffondendo facilmente tra gli schiavi che vivevano nei «Bagni» per le condizioni stesse di vita in quei locali32 32;_ref32"><!-- [32] Il 22 maggio fra Pietro scriveva al Felix di Marsiglia e ai Guardiani del Gonfalone riferendo che la pestilenza si era da qualche giorno aggravata e si dubitava che durasse, facendo interrompere il traffico con il porto barbaresco33 33;_ref33"><!-- [33] La saettina57 del mercante Borgal partiva quel giorno per Marsiglia e sarebbe tornata in Barberia in luglio facendo scalo però in un porto vicino ad Algeri e con il ritorno di essa fra Pietro sperava ricevere il denaro da Roma, essendo già indebitato per i riscatti effettuati a credito. Egli, ormai solo con il confratello, si adoprava per assistere spiritualmente e materialmente- gli schiavi, soprattutto gli infermi, raccogliendo elemosine nella città. Due schiavi già riscattati, messer Tittiniano da Fermo ed una donna,, erano morti di peste come pure un padre cappuccino schiavo, fra Francesco sardo della provincia di Palermo. Fra Pietro suggeriva poi ai Guardiani dell'Arciconfraternita di ottenere dal Papa il beneficio dei 17.000 scudi, in contanti ed in mercanzia, lasciati dal redentore don Lorenzo da Siena a Biserta e Tunisi, indicando anche la via migliore per trasferirli da Tunisi ad Algeri34 34;_ref34"><!-- [34] Fra Pietro aveva anzi inviato a Roma imo schiavo da lui riscattato, messer Francesco, il quale era pratico di Tunisi ed a piena conoscenza della situazione dei beni lasciati da don Lorenzo alla sua morte ed avrebbe quindi potuto utilmente accompagnare a Tunisi un eventuale inviato da Roma.

<p style="margin-left: 1.0pt; text-indent: 18.0pt;">Lo spirito di sacrificio del frate cappuccino si mostra mirabil-

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<div class="WordSection8">

<p style="margin: 0cm 1.0pt .0001pt 2.0pt;">mente nel rifiuto opposto alla proposta di chiedere dal Papa una dispensa alla Regola alla quale egli ed il frate suo compagno erano vincolati, adducendo tra i motivi il non voler offrire occasione di scandalo ai mussulmani; soltanto chiedeva di ottenere l'autorizzazione, attraverso un Motu proprio del Papa, a sottoscrivere contratti, obbligazioni e simili atti, il che era a rigore contro la Regola francescana. Per il resto egli volle restare fedele a tutte le prescrizioni della Regola e con ogni sacrificio della sua persona si prodigò quanto più poteva nell'assistenza materiale e spirituale degli schiavi ed anche dei rinnegati che in gran numero volevano tornare alla fede cristiana conquistati dalla parola persuasiva e dall'esempio edificante del missionario cappuccino. «Molti renegati &mdash; scriveva &mdash; vogliono tornare alla fede et molti che si volevano far turchi non si fanno; et i renegati ci fanno delle elemosine dimodoch&eacute; l'attendere alla conversione delle anime &egrave; un grand.ma impresa». Riferiva ancora di aver subito degli atti ostili da parte dei mussulmani i quali attribuivano ai riti sacri da lui compiuti la causa della peste ed erano inoltre adirati per l'uso del vino che i cristiani facevano, e che invece &egrave; severamente proibi Lo dal Corano, e per la tolleranza con cui erano tenute delle meretrici35 35;_ref35"><!-- [35]

Gli algerini si limitarono in fine a proibire la vendita del vino ed a gettare in mare due meretrici, rispettando le immagini sacre e permettendo la celebrazione delle messe. Fra Pietro temeva però che non avendo i loro provvedimenti fatto cessare la peste avrebbero proibito i santi sacrifici «il che se faranno &mdash; egli scriveva &mdash; spero che i boni christiani non li ubidiranno ma più tosto vorranno morire per volere ubidire a Dio che vivere per voler temere il mondo». Nel concludere la sua missiva fra Pietro sollecitavi i Guardiani dell'Arcicon- fraternita di indire pubbliche preghiere per loro «poveri christiani d'Algeri acciò il S.re ci dia fortezza di resistere con pazienza et liumiltà al furore di questi barbari quali non cercano cosa maggiorai.te che spengere il collo chrisliano». Nelle ultime parole il frate, pregando di scusarlo presso i suoi Superiori, a cui non scriveva per il gran da fare, alludeva ad una sua lettera ad essi diretta in cui era richiesta la soluzione 31 alcuni «casi».

Mentre i due missionari cappuccini continuavano la loro opera nella città barbaresca, il primo gruppo di schiavi riscattati tornava in patria, accompagnato dal sacerdote Giovanni Sanna e da Lodovico Giumi. Essi annunciavano il loro sbarco a Civitavecchia il 24 maggio, dopo tre settimane di navigazione, e chiedevano all'Arciconfraternità qual via tenere per il ritorno a Roma. Dalla lettera successiva del 27 maggio, apprendiamo che scelsero il viaggio per terra e preannunciarono il loro arrivo per uno dei giorni seguenti36 36;_ref36"><!-- [36]

Gli schiavi riscattati dall'Arciconfraternita del Gonfalone, si recarono. accompagnati dai Guardiani e con gran concorso di popolo, a render grazie a Dio nella basilica di S. Maria Maggiore e quindi a ricevere la benedizione del Sommo Pontefice. L'elenco degli schiavi redenti fu pubblicato in un manifesto a stampa che veniva affisso

<p><br style="page-break-before: always; mso-break-type: section-break;" clear="all" />

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alle porte delle chiese per dar notizia dell'awenuto riscatto ed incitare a soccorrere i molti altri fratelli che giacevano in schiavitù*11.

I nominativi sono raccolti sotto le iniziali dei nomi propri, disposte in ordine alfabetico, e sono seguiti dalla semplice indicazione del luogo d'origine. I più erano romani, napoletani, calabresi, genovesi e tra tutti vi era mi religioso, il fiorentino frate Matteo dell'ordine dei Servi, e quattro donne'12.

Fra Pietro che umilmente si era dichiarato indegno ed insufficiente all'opera affidatagli, si prodigò instancabilmente ad essa, senza riguardi per la sua persona. Chiamato la sera del venerdì 31 maggio - come riferisce l'anonima lettera copiata dal p. Mattia da Salò &mdash; da Don Diego di Ravaneda, appestato, ebbe contagiato da lui il morbo esiziale. Pur tra gli atroci dolori il frate cappuccino, con grande forza d'animo, si mantenne sereno e confidente nel volere divino fino alla morte avvenuta a mezzogiorno del 6 di giugno.

Nell'Archivio dell'Arciconfraternita del Gonfalone dopo le lettere di fra Pietro e quelle dei Redentori giunti a Civitavecchia, ve ne sono due di fra Filippo, restato solo e smarrito a continuare tra gli schiavi l'encomiabile opera di assistenza e di conforto religioso.

Due giorni dopo la morte di fra Pietro il compagno scriveva ai Guardiani dell'Arciconfraternita dando loro la tristissima notizia: «... come el buon padre fra Pietro, venerdì di sera caschò infermo di peste che fu l'ultimo di maggio, giovedì poi ben a buon ora sei del presente mese di maggio [sic] rese il spirito a Deo»'13. Non aggiunge particolari a noi sconosciuti ina conferma il racconto tradizionale, riferendoci inoltre lo svolgimento del funerale. «Fu accompagnato il corpo con la croce avantc da me et dal'altro capuccino schiavo con il sig.re Console di Francia col sig.re Borgal nostro mercante, con alcuni gentil'huomini et franchi et schiavi, con tre religiosi che sono restati, et molti schiavi quali tutti hanno pianto la morte del padre amaramente, tutti dico portavano candele accese, et molte torcie presentate al glorioso S. Rocco, fattolo poi mettere in ima casa honorata con boniss.a sepoltura, cosa che mai più in questa terra e'&egrave; fatta». Fra Filippo non si stanca di lodare le virtù e l'opera svolta dal compagno che lo ha lasciato ed esprime con sincera vivezza di espressioni il suo stato d'animo dopo la perdita subita: «... dunque sendo io restato solo non posso far non rammaricarmi; non mi posso continere, mi aborrisce il manggiare [!], et con tutta la mia solitudine, mi da pena ogni compagnia, et mi par haver piacere nelli sospiri et lagrime, sia dunque laudato il sig.re, io sempre ho desiderato far la volontà di Dio, et de mei prelati et particolarmente in questo viaggio et al presente». Il frate riferisce di aver seguilo il consiglio del medico del Pascià e di altri, di non recarsi a visitare gli schiavi appestati, essendo anch'egli mezzo infetto, e di limitarsi a confessare gli schiavi sani. Egli d'altronde non s'acqueta in questa decisione ricordando le esortazioni di fra Pietro a curare gli appestati, il cui numero era di circa cento. Di fronte alla risolutezza di decisioni e di azione con cui abbiam visto agire fra Pietro, incurante d'ogni pericolo e schivo d'ogni riguardo, le lettere di fra Filipj o palesano una esitazione ed un timore umanamente molto comprensibili.

<p style="text-indent: 18.0pt; margin: 0cm 2.0pt .0001pt 3.0pt;">Pur non recandosi tra gli appestati, egli continuò a confessare e ad amministrare i santi sacramenti, dirigendo anche l'assistenza materiale degli infermi. Nella sua seconda lettera, del 30 giugno14 riferiva che ben trecento schiavi erano morii, pur essendosi per essi tentato ogni rimedio, e cinquecento avevano superato il male che ormai tendeva a decrescere, come era solito avvenire in Algeri all'av- vicinarsi del solleone. Molti schiavi avevano cooperato con il frate cappuccino nell'assistere i compagni colpiti e fra Filippo sollecitava per essi il riscatto, al ritorno, che si sperava prossimo, dei Redentori. Giunsero in quei giorni ad Algeri &mdash; come fra Filippo sempre nella sua lettera riferiva - ima cinquantina di schiavi presi nelle galee del Papa. Di essi, che appartenevano al corsaro Murad-rais, alcuni erano soldati, cio&egrave; membri effettivi dell'equipaggio, altri avevano ormai compiuto il loro servizio e molti di essi erano malati «per tante fatighe et bastonate che hanno haute». Fra Filippo attendeva il ritorno del Decano e di messer Lodovico e raccomandava ch'essi portassero buona somma di denaro per poter riscattare tutti coloro ai quali era stato promesso.

<p style="text-indent: 18.0pt; margin: 0cm 2.0pt .0001pt 3.0pt;">Quando ormai la peste era quasi scomparsa e si andava pensando ad uu nuovo invio di Redentori nella città barbaresca per effettuare un più numeroso riscatto, fra Filippo cadde ammalato e dopo cinque giorni morì il 6 agosto 1585'15. Della sua morte diede notizia ai Guardiani dell'Arciconfraternita romana il vice console di Francia ad Algeri Jacques Bionneau.

<p class="MsoNormal" style="text-indent: 18.0pt; margin: 0cm 2.0pt .0001pt 3.0pt;">Nella lettera del 10 agosto37 37;_ref37"><!-- [37]</a> il Bionneau narra come olio giorni prima della morte di fra Filippo, l'immagine di S. Rocco aveva «sudato sangue puro et una de la madonna che li era presso latte il quale, con gran R.a fu asciugalo da la bona memoria del li.do pre' fra Phi- lippo, con cottone». Sulla natura e significato del fatto qui accennato e degli altri miracolosi fenomeni attribuiti alla immagine di San Rocco che i frati avevano con loro non si può precisare nulla per la brevità ed oscurità delle testimonianze stesse. Il vice console francese ha parole di grande elogio per l'attività svolta dai due frati nell'assistere gli schiavi che egli fa ascendere a trentamila, e prega vivamente i Guardiani del Gonfalone di inviare di nuovo «simili medici spirituali et in maggior numero che sia possibile» affermando che se i denari dell'Arciconfraternita riscatteranno cento schiavi, i padri cappuccini salveranno la maggior parte delle anime «si come si spera che sia stato &mdash; scrive il Bionneau &mdash; fra 600 che ne sono morii in cinque mesi de li quali sono informato che vi erano quelli che havea 30, 40 e 50 anni che non si erano prevaluti de li sacramenti de la penitentia et eucharestia tanto erano refredati in la religione per non havere chi li ammonisca et essorti».

All'inizio della svia lettera il Bionneau così diceva: «Addì 11 di luglio recevi mia cortesissima littera de Vre 111.me Sig.rie delli 3 di giugnio, nel qual tempo essendo già morta la fe. me. del R.do Pre fra Pietro, rispose à essa e del tutto li diedi parlicular raguaglio...». Questo «particular ragguaglio» inviato ai Guardiani del Gonfalone e che non si ritrova tra le carte d'Archivio non potrebbe identificarsi con la relazione anonima, fonte finora delle conoscenze su questa missione? L'autore sarebbe quindi il Bionneau che, data la forma impersonale di Ragguaglio conferita alla sua relazione, citava come terza persona se stesso quando elencava, tra i seguaci del funerale di fra Pietro, il console di Francia.

Morto fra Filippo ed andati via col Pascià ormai scaduto di carica, i quattro sacerdoti che egli teneva schiavi, non era restato più .alcuno ad assistere spiritualmente quel gran numero di anime viventi di continuo in grave minaccia per la loro fede. Il Bionneau, a casa del quale avevano alloggiato i padri cappuccini, rinnovava l'offerta di ospitalità per i nuovi Redentori clic l'Arciconfraternita avrebbe inviato e accludeva copia dell'inventario degli oggetti di fra Filippo.

<p class="MsoNormal" style="text-align: justify; text-indent: 0cm; line-height: 10.8pt; mso-line-height-rule: exactly; mso-list: l1 level1 lfo2; tab-stops: 13.3pt; margin: 0cm 1.0pt .0001pt 2.0pt;"><!-- [if !supportLists]-->"font-size: 9.0pt; font-family: 'Century Schoolbook','serif'; mso-fareast-font-family: 'Century Schoolbook'; mso-bidi-font-family: 'Century Schoolbook';">"mso-list: Ignore;">I"font: 7.0pt 'Times New Roman';">&nbsp;&nbsp;&nbsp; due salvacondotti, l'uno del Pascià andato via, l'altro del nuovo eletto, Marni Bassa, sono in mano di Guglielmo Borgal, scriveva il vice-console francese rammaricandosi di ciò, ritenendo che nessun altro che lui avrebbe dovuto esserne il custode, dato il grado e la dignità che aveva. Egli proseguiva accusando il connazionale di essersi comportato male con i frati cappuccini, negando loro il credito e danneggiando così la pia opera. Il motivo per cui il Bionneau tendeva a screditare Guglielmo Borgal presso i Guardiani dell'Arcicon- fraternita era il desiderio di farlo sostituire con un suo raccomandato, messer Bartolomeo Summa. A parere del Bionneau il mutamento del Pascià era favorevole all'opera della Redenzione, essendo Marni Bassà «persona di miglior natura e condilion ch'el passato»17.

L'epidemia della peste s'era ormai estinta, come si prevedeva, all'entrata del solleone e già era ripreso il traffico ed eran giunte da Marsiglia due sacttie'18. Guglielmo Borgal non ignorava di certo l'ostilità che nutriva per lui il vice-console della sua nazione, e nella lettera che scrisse all'Arciconfraternita il 5 settembre giustificò il possesso del salvacondotto dicendo che gli era stalo consegnato da fra Filippo stesso per farlo riconfermare dal nuovo Pascià19. Su costui si esprime anch'egli con ottimismo: «Assan Bassà &egrave; andatto via di qua e in suo luoco &egrave; venutto Mahamet Bassa liuomo molto tratabil e de buon procedere apresso del quale io posso quanto voglio». Non risparmiò il Borgal di gettare qualche sospetto sul Bionneau a proposito di certi denari che fra Filippo aveva in consegna e che non si ritrovarono alla sua morte.

Egli ricordava con ammirazione la figura di fra Pietro e la sua morte «ch'&egrave; stata tanto acerba ed erta a questi poveri schiavi haven- do perso uno così buon padre et consolatore d'aflitti», e dice che non saprebbe descrivere «gli rigretti et pianti che se ne sono fatti et fanno continuamente per esso». Ma non soltanto nella memoria riconoscente dei cristiani era vivo il ricordo del buon padre cappuccino ma egli era ricordato con ammirazione «ancora dagli Turchi che de la vita santita e procedere d'esso non se ne pono saciare de ragionare». Che la santità e la bontà del frate fossero ricordate anche dopo la sua morte e puranco dai mussulmani &egrave; per lui l'encomio e la gloria più grande.

Con la morte dei due padri cappuccini si concluse questa prima missione inviata dalla confraternita romana in Barberia. Se i 71 schiavi riscattati possono apparire ben poca cosa dinanzi alle migliaia che ne restavano, il bene operato con la parola di conforto e di ammonimento e con l'opera costante di assistenza materiale e religiosa, &egrave; veramente incalcolabile-

La missione di fra Pietro e fra Filippo ebbe l'alto riconoscimento di Sisto V e di essa si fa menzione in alcuni scritti degli anni successivi38 38;_ref38"><!-- [38] Il sacrificio dei due padri cappuccini aprì quasi la strada ¦ai quattro confratelli che furono inviati ad Algeri dall'Arciconfra- ternita del Gonfalone l'anno seguente39 39;_ref39"><!-- [39]</a> ed ai molti francescani che nei secoli seguenti recarono agli schiavi cristiani in Barberia la libertà fisica e la salute spirituale.

<p class="MsoNormal" style="margin-right: 1.0pt; text-indent: 19.0pt; tab-stops: 26.65pt;">ref1 1;_1"><!-- [1]</a>L'Ordine trinitario fu fondato da S. Giovanni di Matlia e S. Felice di Valois che ne ottennero l'approvazione da Innocenzo III nel 1198. Cf. M. HEIMBUCHER5pt">"font-size: 5.0pt;">, <em>"font-size: 7pt;">Die Orden and Kongregationen der katholischen Kirclie</em><em> II</em>, Paderborn 1933, 448-455. Per l'attività del Riscatto cf. P. 55pt">"font-size: 5.5pt;">DESLANDRES,&nbsp;<em>L'Ordre des Trinitaires pour le rachat des captifs</em>, 2 voll., Parigi 1903. - L'Ordine dei Mercedari fu fondato nel 1218 da S. Pietro Nolasco, con la protezione di Giacomo I d'Aragona, ed approvato nel 1235 da Gregorio IX. Cf. M. "font-size: 9.33333px; text-indent: 25.3333px;">HEIMBUCHER55pt">"font-size: 5.5pt;"><em>op. cit.</em> I, 571-576. Uno sguardo all'opera redentrice dei Mercedari ed una aggiornata bibliografia sono contenuti nel prologo all'edizione della cronaca di Fr. MELCHOR GARC&Iacute;A NAVARRO55pt">"font-size: 5.5pt;">, O. de M.,55pt">"font-size: 5.5pt;"><em>Redenciones de cautivos en Africa (1723-25)</em>, Madrid 1946.

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<p class="MsoNormal" style="margin-right: 1.0pt; text-indent: 19.0pt; tab-stops: 25.9pt;">ref2 2;_2"><!-- <b style="mso-bidi-font-weight: normal;">"font-size: 7.0pt; mso-fareast-language: IT; mso-bidi-language: AR-SA; font-style: normal;">[2]</b></a>Sulla Pirateria nel Mediterraneo nella seconda metà del '500 cf. F. BRAUDEL,55ptMaiuscoletto">"font-size: 5.5pt;"><em>Civiltà e imperi del Mediterraneo nell'età di Filippo lI</em>&nbsp;tr. ital. 1953, II, 939-971.

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<p class="MsoNormal" style="text-indent: 19.0pt; tab-stops: 27.4pt; margin: 0cm 1.0pt .0001pt 1.0pt;">ref3 3;_3"><!-- [3]</a>&nbsp; Precedente all'opera romana di cui trattiamo era sorta a Napoli nel 1548, con la protezione di Carlo V, una « Casa Santa della Redenzione de' Cattivi », che ricevette privilegi ed indulgenze da vari Pontefici. Cf. <em>Regole ed Istituti dell'antichissima reai casa santa della Redenzione de' Cattivi di questa Città, e Regno di Napoli</em>, Napoli 1670. L'ultima missione inviata da questa Opera in Barberia nel 1647 fu affidata anche a due padri cappuccini, frate Antonio da Guigliano e frate Giulio da Tiano.

<p>4 La confraternita fu istituita tra il 1260 e il 1267, anno in cui ebbe un Breve di riconoscimento da Clemente IV. Durante il Medioevo fu promotrifce di sacre rappresentazioni al Colosseo. La Bolla di Gregorio XIll <em>Christianae nobiscum</em>, del 28 maggio 1581, &egrave; in Mazzo H fasc. 1. Cf. <em>Bull. Rom</em>. VIlI, Augustae Taurinorum 1863, 373-376. Sulla confraternita del Gonfalone cf. B. Piazza, <em>Eusevologio ovvero delle Opere Pie di Roma</em>, Roma 1698, 348-350; <em>Cenni storici della Ven. Arch. del Gonfalone</em>, Roma 1888, premessi all'ed. degli Statuti; L. RUGGERI, <em>L'Archiconfraternita del Gonfalone</em>, Roma 1866, che dedica all'attività del Riscatto una generica trattazione alle pp.348-378.

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<p class="MsoNormal" style="margin-left: 1.0pt; text-indent: 19.0pt; line-height: 8.4pt; mso-line-height-rule: exactly; tab-stops: 27.9pt;">ref4 4;_4"><!-- [4]</a>Nel Libro <em>T</em> (serie <em>Diversi</em>) dell'Arch. della Confraternita &egrave; contenuto un sunto storico sugli inizi dell'attività del Riscatto. La confraternità discusse circa l'accettazione dell'incarico datole dal Papa e lo accettò decidendo di tenere una amministrazione separata dell'Opera del Riscatto.

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<p class="MsoNormal" style="margin-left: 2.0pt; text-indent: 18.0pt; line-height: 8.4pt; mso-line-height-rule: exactly; tab-stops: 27.9pt;">ref5 5;_5"><!-- [5]</a>&nbsp; Le elemosine erano raccolte per mezzo di cassette poste all'entrala delle Chiese (cf. libro T). Nelle varie diocesi erano inviati dei Commissari del Riscatto per il ritiro delle somme raccolte. (Cf. Ma zzo H n.5, (1.14-25).

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<p class="MsoNormal" style="margin-left: 2.0pt; text-indent: 18.0pt; line-height: 8.4pt; mso-line-height-rule: exactly; tab-stops: 29.1pt;">ref6 6;_6"><!-- [6]</a>&nbsp;&nbsp; Cf. Breve di Gregorio XIII del 20 febbraio 1585, pubblicato in un manifesto a stampa (Mazzo H n.16 f.66 e n.17 f.67); Breve di Sisto V del 23 marzo 1586 (Mazzo II n.18 ff.68-89 e n.19 ff.90-95).

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<p class="MsoNormal" style="margin-left: 1.0pt; text-indent: 20.0pt; line-height: 8.4pt; mso-line-height-rule: exactly; tab-stops: 27.65pt;">ref7 7;_7"><!-- [7]</a>&nbsp; Per le incursioni dei Barbareschi sulle coste dello Stato pontificio cf. A. Gu- cuelmotti, Storia della Marina dello Stato pontificio, Roma 1886-1887.

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<p class="MsoNormal" style="margin-right: 1.0pt; text-indent: 19.0pt; line-height: 8.4pt; mso-line-height-rule: exactly; tab-stops: 26.9pt;">ref8 8;_8"><!-- [8]</a>&nbsp;&nbsp; La confraternità fu istituita tra il 1260 e il 1267, anno in cui ebbe un Breve di riconoscimento da Clemente IV. Durante il Medioevo fu promotriie di sacre rappresentazioni al Colosseo. La Bolla di Gregorio XIII Christianae nobiscum, del 28 maggio 1581, &egrave; in Mazzo li fase. 1. Cf. Bull.Rom. Vili, Augustae Taiuinorum 1863, 373-376. Sulla confraternita del Gonfalone cf. B. 55ptMaiuscoletto">"font-size: 5.5pt;">Piazza, Eusevologio oxwero delle Opere Pie di Roma, Roma 1698, 348-350; Cenni storici della Ven. Arch. del Gonfalone, Roma 1888, premessi all'ed. degli Statuti; L. 55ptMaiuscoletto">"font-size: 5.5pt;">Rugcf.ri, VArchiconfra- ternita del Gonfalone, Roma 1866, che dedica all'attività del Riscatto una generica trattazione alle pp.348-378.

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<p class="MsoNormal" style="text-indent: 19.0pt; line-height: 8.4pt; mso-line-height-rule: exactly; tab-stops: 27.65pt; margin: 0cm 1.0pt .0001pt 1.0pt;">ref9 9;_9"><!-- [9]</a>&nbsp; Nel Libro T (serie Diversi) dell'Arch. della Confraternita &egrave; contenuto un sunto storico sugli inizi dell'attività del Riscatto. La confraternità discusse circa l'accettazione dell'incarico datole dal Papa e lo accettò decidendo di tenere una amministrazione separata dcll'Opera del Riscatto.

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<p class="MsoNormal" style="text-indent: 19.0pt; line-height: 8.4pt; mso-line-height-rule: exactly; tab-stops: 26.9pt; margin: 0cm 1.0pt .0001pt 1.0pt;">ref10 10;_10"><!-- [10]</a> Le elemosine erano raccolte per mezzo di cassette poste all'entrata delle Chiese (cf. libro T). Nelle varie diocesi erano inviati dei Commissari del Riscatto per il ritiro delle somme raccolte. (Cf. Mazzo H n.5, fi.14-25).

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<p class="MsoNormal" style="text-indent: 19.0pt; line-height: 8.4pt; mso-line-height-rule: exactly; tab-stops: 28.1pt; margin: 0cm 1.0pt .0001pt 1.0pt;">ref11 11;_11"><!-- [11]</a> Cf. Breve di Gregorio XIII del 20 febbraio 1585, pubblicato in un manifesto a stampa (Mazzo H n.16 f.66 e n.17 f.67); Breve di Sisto V del 23 marzo 1586 (Mazzo li n.18 ff.68-89 e n.19 ff.90-95).

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<p style="margin-right: 1.0pt; text-indent: 20.0pt; line-height: 8.4pt; mso-line-height-rule: exactly; tab-stops: 26.65pt;">ref12 12;_12"><!-- [12]</a> Per le incursioni dei Barbareschi sulle coste dello Stato pontifìcio cf. A. Gu55ptMaiuscoletto">"font-size: 5.5pt;">glielmotti, Storia della Marina dello Stato pontificio, Roma 1886-1887.

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<p class="MsoNormal" style="margin-right: 2.0pt; text-indent: 19.0pt; tab-stops: 26.4pt;">ref13 13;_13">55ptMaiuscoletto">"font-size: 5.5pt;"><!-- 55ptMaiuscoletto">"font-size: 5.5pt; font-variant: normal !important; mso-fareast-language: IT; mso-bidi-language: AR-SA;">[13]</a>55ptMaiuscoletto">"font-size: 5.5pt;">&nbsp; Matthias a Salò, O.F.M.Cap.,Historia Capuccina II, Roma 1950,472. Che fra Pietro fosse dei conti Cigala si afferma in: Cristoforo 55ptMaiuscoletto">"font-size: 5.5pt;">Poggiali, Memorie storiche di Piacenza X, Piacenza 1761, 86. La sua appartenenza alla Provincia di Roma e non di Bologna &egrave; stata dimostrata da 55ptMaiuscoletto">"font-size: 5.5pt;">Felice da Marf.to, O.F.M.Cap., I missionari Cappuccini della Provincia Parmense. Note marginali, Modena 1942, 63-65.

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<p style="margin-right: 2.0pt; tab-stops: 29.75pt;">ref14 14;_14">27pt"><!-- 27pt">[14]</a>27pt">&nbsp;&nbsp;&nbsp;&nbsp;&nbsp;&nbsp;&nbsp;&nbsp;&nbsp;&nbsp; Cf. 2Maiuscoletto">"font-size: 5.5pt;">[Fredecando da Anversa,20">"font-size: 5.5pt;"> O.F.M.Cap.], 27ptCorsivo">I Frati Minori Cappuccini lungo la Costo africana nel secolo XVI. Una relazione inedita del 1585,27pt"> 20">"font-size: 5.5pt;">in 27ptCorsivo">Anal. O.F.M27pt">. 27ptCorsivo">Cap.27pt"> 40(1924) 252-260. 20">"font-size: 5.5pt;">Adesso si ritrova pubblicata in 2Maiuscoletto">"font-size: 5.5pt;">Matthias a Salò, 27ptCorsivo">op. cit- 27pt">472-477. 20">"font-size: 5.5pt;">Della missione dei due cappuccini si trova menzione nelle varie storie dell'Ordine Cappuccino. 27pt">Cf. 2Maiuscoletto">"font-size: 5.5pt;">Zacharias Boverius, 27ptCorsivo">Annalium27pt"> II, 20">"font-size: 5.5pt;">Lugduni 27pt">1639, 167- 168; 20">"font-size: 5.5pt;">Rocco 2Maiuscoletto">"font-size: 5.5pt;">da CesINALE,20">"font-size: 5.5pt;"> O.F.M.Cap., 27ptCorsivo">Storia delle Missioni dei Cappuccini27pt"> 20">"font-size: 5.5pt;">I, 27pt">Pa20">"font-size: 5.5pt;">rigi 27pt">1867, 414-421; 2Maiuscoletto">"font-size: 5.5pt;">Clemente da Terzorio,20">"font-size: 5.5pt;"> O.F.M.Cap., Le 27ptCorsivo">Missioni dei Minori Cappuccini. Sunto storico27pt"> X, 20">"font-size: 5.5pt;">Roma 27pt">1938, 566-568; 2Maiuscoletto">"font-size: 5.5pt;">Mf.lchior a 27pt">Por», 2Maiuscoletto">"font-size: 5.5pt;">ad ir a,20">"font-size: 5.5pt;"> O.F.M.Cap., 27ptCorsivo">Historia generalis Ordinis Fratrum Minorimi Capuccinorum27pt"> 20">"font-size: 5.5pt;">I, Roma 27pt">1947, 333. 2Maiuscoletto">"font-size: 5.5pt;">Ubald d'Alenqon,20">"font-size: 5.5pt;"> O.F.M.Cap., 27ptCorsivo">Franciscains et Pestif&eacute;r&eacute;s27pt"> 20">"font-size: 5.5pt;">eri 27ptCorsivo">Tunisie,27pt"> 20">"font-size: 5.5pt;">estr. da 27ptCorsivo">Iie- vue de VAnjou,27pt"> 1902, 3-5 20">"font-size: 5.5pt;">parla di questa missione come svoltasi a Tunisi.

15

<p class="MsoNormal" style="margin-right: 2.0pt; text-indent: 19.0pt; tab-stops: 29.3pt;">ref15 15;_15"><!-- [15]</a>&nbsp;&nbsp; L'Archivio della confraternita fu trasportato all'Archivio Segreto Vaticano per ordine di Pio XI dalla Procura delle Missioni dei Figli del Cuore Immacolato di Maria. Di esso esiste un indice ms., parziale ed incompleto, che non menziona i documenti di cui trattiamo. Cf. Rubricella degli Atti e Documenti della Ven. Archiconfraternità del SS.mo Confalone in Roma, compilata da Giovanni de Re- gis nel 1877. - I documenti che citiamo e quelli per i quali si rinvia al testo pubblicato in appendice si intendono sempre appartenenti al predetto Archivio del Confalone, alle cui segnature ci riferiamo.

16

<p class="MsoNormal" style="margin-left: 19.0pt; tab-stops: 29.55pt;">ref16 16;_16"><!-- [16]</a>&nbsp;&nbsp; Cf. infra doc. n.2.

17

<p class="MsoNormal" style="margin-right: 1.0pt; text-indent: 19.0pt; line-height: 8.4pt; mso-line-height-rule: exactly; tab-stops: 29.5pt;">ref17 17;_17"><!-- [17]</a>&nbsp;&nbsp; Henri d'Angoul&egrave;me, figlio illegittimo di Enrico II, Gran Priore di Francia, Capitano Generale delle Galere, Governatore e Ammiraglio dei Mari di Levante, fu governatore della Provenza dal 1579 al 1586, anno in cui morì. Cf. R. 55ptMaiuscoletto">"font-size: 5.5pt;">Busquet, Ilistoire de Marseille, Paris 1945, 217. Nei nostri documenti &egrave; sempre e soltanto citato come Gran Priore.

18

ref18 18;_18"><!-- [18]</a>&nbsp;&nbsp; Nel testo dell'istruzione (cf. infra doc. n.2) risulta Fabritio Felix e non Ludovico, ma con questo secondo nome il mercante &egrave; indicato fin dalla lettera del 20 gennaio 1585 da Marsiglia (cf. doc. n.6), e così anche nella lettera a lui personalmente diretta da fra Pietro il 22 maggio 1585 (cf. doc. n.14).

19

<p class="MsoNormal" style="text-indent: 19.0pt; line-height: 8.4pt; mso-line-height-rule: exactly; tab-stops: 30.0pt;">ref19 19;_19">55pt">"font-size: 5.5pt;"><!-- 55pt">"font-size: 5.5pt; mso-fareast-language: IT; mso-bidi-language: AR-SA;">[19]</a>55pt">"font-size: 5.5pt;">&nbsp;&nbsp;&nbsp;&nbsp; Cf. il testo del breve, in Rocco 55pt">"font-size: 5.5pt;">da Cesinale, Storia delle Missioni Cappuccine 65pt">I, Parigi 1867, 504-505 ed in Bull.Cap. 65pt">II, 258: VII, 26S.

20

<p class="MsoNormal" style="text-indent: 18.0pt; line-height: 8.4pt; mso-line-height-rule: exactly; tab-stops: 30.05pt; margin: 0cm 1.0pt .0001pt 1.0pt;">ref20 20;_20"><!-- [20]</a>&nbsp;&nbsp; Crediamo identificare la detta « patente vulgare » in Mazzo H fase. n.15. (Cf. doc. n.l).

21

<p class="MsoNormal" style="text-indent: 19.0pt; line-height: 8.4pt; mso-line-height-rule: exactly; tab-stops: 30.75pt; margin: 0cm 1.0pt .0001pt 1.0pt;">ref21 21;_21"><!-- [21]</a>&nbsp;&nbsp; Cf. libro U (serie Diversi). La lista, consegnala ai Redentori il 30 novembre 1584, enumera 175 schiavi dello Stato pontificio e di altre regioni, alcuni dei quali avevano promesso un contributo al prezzo del proprio riscatto. Su alcuni di questi nominativi cf. S. 55ptMaiuscoletto">"font-size: 5.5pt;">Bono, La Pirateria nel Mediterraneo. Romagnoli schiavi dei Barbareschi, estr. da La Pie, 1953 n.9-10, pp.4-5.

22

ref22 22;_22">30"><!-- 30">"font-size: 6.5pt; mso-fareast-language: IT; mso-bidi-language: AR-SA;">[22]</a>30">&nbsp;&nbsp;&nbsp;&nbsp;&nbsp;&nbsp;&nbsp;&nbsp;&nbsp;&nbsp;&nbsp; Dai nostri documenti risulta che era schiavo ad Algeri in quel tempo un certo frate Francesco sardo della provincia di Palermo. Il frate, non nominato in Antonino 355pt">"font-size: 5.5pt;">da 30">Castf.iaammarf. O.F.M.Cap., 37ptCorsivo">Storia dei Frati Minori Cappuccini della Provincia di Palermo37pt"> 30">II, Palermo 1922, morì per la peste, come scrisse fra Pietro il 22 maggio (cf. 37ptCorsivo">infra37pt"> 30">doc. n.15). Un certo fra Lione trapanese cappuccino &egrave; nominato quale testimone aH'inventario eseguito dopo la morte di fra Filippo (cf. doc. n.19); nella lettera di Jacques Bionneau 37pt">&egrave; 30">detto schiavo di Assan 37pt">Bassa 30">(cf. doc. n.20). Pur avendo la facoltà suddetta i due confratelli cappuccini non furono riscattati, probabilmente perch&eacute; non vollero privare altri di questo beneficio. Su altri frati schiavi cf. Melchior 355pt">"font-size: 5.5pt;">a 30">Pobladura, 37ptCorsivo">Hist. generalis37pt"> 30">I, 332-333.

23

ref23 23;_23"><!-- [23]</a>&nbsp;&nbsp; Nell'Istruzione si consigliava di inviare le lettere dirette ai Guardiani del- l'Arciconfraternita in plico indirizzato al Card. Alessandro Farnese, protettore della confraternita, o ad altri Cardinali ivi indicati per far sì che giungessero più rapide e sicure. Le lettere da Roma ad Algeri e viceversa impiegarono circa un mese, un mese e mezzo.

24

ref24 24;_24"><!-- [24]</a>&nbsp;&nbsp; Questo sigillo fu poi ritrovato tra gli oggetti lasciati da fra Filippo alla morte come risulta dall'inventario che se ne fece (cf. infra doc. n.19).

25

<p class="MsoNormal" style="margin-left: 19.0pt; tab-stops: 29.8pt;">ref25 25;_25"><!-- [25]</a>&nbsp;&nbsp; Cf. infra doc. n.3.

26

<p class="MsoNormal" style="margin-left: 19.0pt; tab-stops: 29.8pt;">ref26 26;_26"><!-- [26]</a>&nbsp;&nbsp; Cf. doc. n.4.

27

<p class="MsoNormal" style="margin-left: 19.0pt; tab-stops: 29.8pt;">ref27 27;_27"><!-- [27]</a>&nbsp;&nbsp; Cf. doc. n.5.

28

<p class="MsoNormal" style="margin-right: 1.0pt; text-indent: 19.0pt; tab-stops: 29.3pt;">ref28 28;_28"><!-- [28]</a>&nbsp;&nbsp; La famiglia Lencio o Lenche, originaria della Corsica, si era stabilita a Marsiglia raggiungendovi una ragguardevole posizione. Antonio Lencio fu secondo console di Marsiglia nel 1587 ; il fratello Tommaso lo era stato nel 1565. Essi erano a capo della Compagnia per la pesca del corallo e della Compagnia del Bastione, concessione francese in Barberia. Cf. P. 55ptMaiuscoletto">"font-size: 5.5pt;">Masson, Histoire des &eacute;tablissements et du commerce frangais dans l'Afrique Barbaresque (1560-1793), Parigi 1903, 55pt">"font-size: 5.5pt;">8-14; P. 55ptMaiuscoletto">"font-size: 5.5pt;">Giraud, Les Lenche à Marseille et en Barbarie, in M&eacute;m. de l'inst. hist. de Provence 13(1936) 10-57; 14(1937) 107-139; 15(1938) 53-86.

29

<p class="MsoNormal" style="margin-left: 19.0pt; tab-stops: 29.8pt;">ref29 29;_29"><!-- [29]</a>&nbsp;&nbsp; Cf. infra doc. n.7.

30

<p class="MsoNormal" style="margin-right: 1.0pt; text-indent: 19.0pt; tab-stops: 30.0pt;">ref30 30;_30"><!-- [30]</a>&nbsp;&nbsp; Cf. infra doc. n.8. Era allora Pascià Hassan veneziano, che aveva già governato ad Algeri nel triennio 1577-1580. Cf. 55ptMaiuscoletto">"font-size: 5.5pt;">Dieco de Haedo, Histoire des Rois d'Alger, in Rev. africaine, 25(1881) 26-32.

31

<p class="MsoNormal" style="margin-left: 19.0pt; tab-stops: 29.8pt;">ref31 31;_31"><!-- [31]</a>&nbsp;&nbsp; Sull'Opera della Redenzione di Napoli cf. supra nota 3.

32

ref32 32;_32"><!-- [32]</a>&nbsp;&nbsp; « Bagni » erano detti i locali dove gli schiavi appartenenti al Pascià trascorrevano le notti e le ore e giornate di riposo. Ad Algeri erano dei locali divisi in sale longitudinali, con vari ordini di cuccette sospese, a cui si accedeva con delle scale di corda. In questa città barbaresca vi furono anche dei Bagni appartenenti a quei privati, i grandi capi corsari, che arrivavano a possedere personalmente qualche migliaio di schiavi. I Bagni avevano dei nomi turchi ma più comunemente erano chiamati dal nome del Santo titolare della Cappella annessa al Bagno stesso. Cf. H. D. 55ptMaiuscoletto">"font-size: 5.5pt;">de Grammont, &Eacute;tudes alg&eacute;riennes, 21-23.

33

<p class="MsoNormal" style="margin-right: 2.0pt; text-indent: 19.0pt; line-height: 8.4pt; mso-line-height-rule: exactly; tab-stops: 29.75pt;">ref33 33;_33"><!-- [33]</a>&nbsp;&nbsp; Cf. infra docc. n.14 e n.15. Sulle pestilenze ad Algeri cf. Jean 55ptMaiuscoletto">"font-size: 5.5pt;">Marchika, La Peste en Afrique septentrionale. Histoire de la peste ere Algerie de 1363 à 1830, Alger 1927, che non mi &egrave; stato possibile consultare.

34

ref34 34;_34"><!-- [34]</a>&nbsp;&nbsp; Nella lettera del 26 febbraio (cf. doc. n.8) si riferiva di don Lorenzo Procuratore della Redenzione dti Padri Trinitari, suggerendo di unire formalmente le due Redenzioni per risparmiare nei regali al Sovrano ed in altri aggravii. Nella lettera a cui ci riferiamo, del 22 maggio, fra Pietro diceva: don Lorenzo da Siena « &egrave; stato amazzato come per una mia scrittali per via di Valenza havranno inteso ». Questa altra lettera inviata da fra Pietro non si ritrova tra le carte d'Arc-hivio e forse non fu mai ricevuta. In Mazzo II. fase.13 ff.56-58 si conserva un Inventario delle robbe restale in Tunesi e Biserta che portò D. Lorenzo da Siena. Dalla lettera di fra Filippo dell'8 giugno ne apprendiamo il cognome: Visconte (cf. doc. n.16).

35

ref35 35;_35"><!-- [35]</a>&nbsp;&nbsp; In alcuni Bagni di Algeri vi erano delle taverne, gestite da schiavi che corrispondevano per questa concessione una tassa al governo. Cf. II. 55pt">"font-size: 5.5pt;">D. 55ptMaiuscoletto">"font-size: 5.5pt;">de Gram- 55ptGrassetto">"font-size: 5.5pt;">montGrassetto">, op. cit. 65pt">23-24.

ref36 36;_36"><!-- [36]</a>&nbsp;&nbsp; Le due lettere sono collocate al Mazzo G, n.4, ff. 1.15-118.

37

ref37 37;_37"><!-- [37]</a> Cf. doc. n.20.

38

ref38 38;_38"><!-- [38]</a>&nbsp;&nbsp; Parole di elogio espresse da Sisto V nel Breve del 55pt">"font-size: 5.5pt;">23 marzo 55pt">"font-size: 5.5pt;">1586 (Cf. supra nota 55pt">"font-size: 5.5pt;">7). Altra menzione dei due padri cappuccini 55pt">"font-size: 5.5pt;">&egrave; in Fr. Geronimo 55pt">"font-size: 5.5pt;">Graci.ìn de 55ptMaiuscoletto">"font-size: 5.5pt;">la 55pt">"font-size: 5.5pt;">Madre de Dios, Traetetelo de la Redempcion de Captivos..., Roma 55pt">"font-size: 5.5pt;">1597, 57: « ...en Argel estuvieron muclio tiempo dos padres capuchinos, que embio Sixto Quinto, y hizieron increyble fructo... ». Altra ancora in Fr. 55pt">"font-size: 5.5pt;">Alfonso de' Domenici, Trattato delle Miserie che patiscono i fedeli christiani schiavi de' Barbari..., Roma 55pt">"font-size: 5.5pt;">1647, 39: « ...come al tempo della felice memoria di Sisto V in Algeri vi dimorarono due Padri Capuccini, che furono di non poco sollievo à quelle anime, e con la predicazione, e amministrazione de' Sacramenti e col trattar ancora la Redentione di molti... ».

ref39 39;_39"><!-- [39]</a>&nbsp;&nbsp; Di questa missione fu a capo un altro cappuccino nativo di Piacenza, fra Dionisio, e ne furono membri frate Arcangelo da Rimini, fra Angelo da Forlì e fra Salarione bolognese. Scarsissime le notizie che se ne hanno finora nelle Storie dell'Ordine. Cf. Rocco 55ptMaiuscoletto">"font-size: 5.5pt;">da Cesinale, Storia delle Missioni cappuccine I, 421-422. 427-428. 55ptMaiuscoletto">"font-size: 5.5pt;">Melchior a Pobladura, Hist. grneralis Ordinis I, 333. Anche di questa missione si conserva nell'Archivio del Gonfalone una ricca documentazione, tra ¦cui numerose lettere inviate dai quattro Redentori durante la residenza ad Algeri.

In occasione del 490° anniversario della nascita di Monsignor Giovanni Sanna Porcu (1529 - 1607)., il Comune di Santu Lussurgiu, suo paese natale, col patroicinio della Diocesi di Alghero Bosa, in collaborazione con l'Archeoclub d'Italia onlus della  Regione Sardegna e la Parrocchia S. Pietro Apostolo di Santu Lussurgiu,organizza le celebrazioni del suo illustre concittadino  Domenica, 24 novembre 2019, secondo il programma che segue:

 

schiavi

II Convegno di Studi
Il VESCOVO LUSSURGESE GIOVANNI SANNA PORCU
promotore di cultura, redentore di schiavi e vescovo (1529 - 1607)

Domenica, 24 novembre 2019
Fondazione hymnos

 

Ore 9,30: Saluti

Diego Loi Sindaco di Santu Lussurgiui
Autorità presenti

Ore 10,00 Interventii

Giampaolo Mele Università Sassari
Coordinatore

Alessandra Pasolini - Università di Cagliari
Mons. Giovanni Sanna fondatore del Noviziato gesuitico di Cagliari

Giuseppe Mele - Università di Sassari
Corsari barbareschi, sistemi di difesa e schiavitù nella Sardegna spagnola

Stefania Cespi Segreteria Nazionale Archeoclub Celebrazioni Sistine
L'Archiconfraternita del Gonfalone e l'opera di redenzione degli schiavi. La riforma operata da Sisto V nel 1588, anno terzo del pontificato 

Umberto Guerra Consigliere Nazionale Archeoclub  Regione Sardegna
                             Coordinatore Nazionale Archeoclub Celebrazioni Sistine
Mons. Giovanni Sanna filantropo e mecenatei della cultura in Sardegna e nell'opera di redenzione degli schiavi cristiani sardi.

Ore 13,00 Pausa Aperitivo buffet 

 

epigrafe sannaOre 16,30 Santa Messa
accompagnata da Su Concordu de Santa Rughe di Santu Lussurgiu e Castelsardo (Chiesa Santa Maria degli Angeli)
Ore 12,30 Inaugurazione ufficiale
Piazza Mons. Giovanni Sanna Porcu (1529 – 1607)
Promotore di cultura Redentore di schiavi e Vescovo.

Le celebrazioni proseguiranno nel corso del 2019 in vari comuni della Sardegna dove Mons. Giovanni Sanna operò più proficuamente, per confluire nel programma nazionale delle Celebrazioni Sistine del 2021-22 sulle quali mi premurerò in tempo utile d’informarvi.

Umberto Guerra
Coordinatore generale Archeoclub d’Italia onlus per le Celebrazioni Sistine

conferenza

Di seguito è riportata la bibliografia essenziale per approfondire la conoscenza del vescovo lussurgese.

A B C D E F G H I L M N O P Q R S T  U   V   Z   

 

A

  • AMAT DI SAN FILIPPO P., Della schiavitù e del servaggio in Sardegna. Indagini e studi, Torino 1894, pp. 16 s.;
  • AMAT DI SAN FILIPPO P., Indagini e studi sulla storia economica della Sardegna, Torino 1902, pp. 131 s.;

B

  • BONO S., I corsari barbareschi, Torino 1964;
  • BONO S., La missione dei cappuccini ad Algeri per il riscatto degli schiavi cristiani nel 1585, estratto da «Collectanea Franciscana», Roma 1955, pp. 24. ss
  • BRAUDEL F., Civiltà e imperi del Mediterraneo nell'età di Filippo II, Torino 1953, p. 161;
  • E. BUSSI, Per la storia dei rapporti colle reggenze barbaresche, Padova 1952 

C

  • CHERCHI-PABA Felice, Santulussurgiu e S.Leonardo di Settefuentes, "Quaderni Storici e Turistici di Arborea" N. 2, Cagliari, Tip. P. Valdès, 1958, pp. 17, 18.
  • COSTA Enrico, Archivio pittorico della Città di Sassari, a cura di E. Espa, Editrice Chiarella.

D

E

  • EUBEL C., Hierarchia catholica medii et recentioris aevi, III, Muenster 1923 (rist. Padova 1960), p. 107; P. B. GAMS, Series episcoporum ecclesiae catholicae, Regensburg 1873 (rist. Graz 1957), p. 833

F

G

  • GARAMPI G., Saggi di osservazione sul valore delle antiche monete pontificie, Roma 1776, pp. 60 ss.

H

I

L

  • LUNADORO G., Relatione della Corte di Roma, e de' riti da osservarsi in essa, e de' suoi Magistrati, e officij, con la loro distinta giurisdittione, Venezia 1664, pp. 178 ss
  • LUXORO E, Tabarca e i Tabarchini. Cronaca e storia della colonizzazione di Carlo- forte, Cagliari 1977

M

  • MANCA Ciro,  Un decano d'Ales redentore di schiavi cristiani in Barberia suil finire del Cinquecento. In: Diocesi di Ales - Usellus - Terralba. Aspetti e valori, Editrice Sarda Fossataro, Cagliari, pp. 287 - 301. Molto interessante la poderosa bibliografia ivi contenuta e che di seguito si riporta:

    (1) Sulla costituzione dell'«opera del riscatto de' schiavi» in seno alla Compagnia del Gonfalone di Roma si veda la bolla di Gregorio XIII Christianae nobiscum del 28 maggio 1581, riprodotta in appendice agli Statuti della venerabile Archiconfraternita del Gonfalone, Roma 1825, pp. 146-153. Sull'organizzazione delle prime missioni di riscatto del Gonfalone in Barberia, alle quali ci riferiamo, una documentazione copiosa è conservata nello ARCHIVIO SEGRETO VATICANO, Fondo del Gonfalone (abbreviato in ASV, Gonf.), Istromenti Libro 5°, Libri Diversi T, U, V, Y, Mazzi G, H.

    (2) Sulla figura di Giovanni Sanna, nato a Santu Lussurgiu nella diocesi di Bosa, decano del capitolo cattedrale d'Ales e dal 1586 vescovo d'Ampurias, si trovano brevi o brevissimi cenni in C. EUBEL, Hierarchia catholica medii et recentioris aevi, III, Muenster 1923 (rist. Padova 1960), p. 107; P. B. GAMS, Series episcoporum ecclesiae catholicae, Regensburg 1873 (rist. Graz 1957), p. 833; P. MARTINI, Storia ecclesiastica di Sardegna, III, Cagliari 1841, p. 351; S. PINTUS, Vescovi di Pausania, Civita, Ampurias, in «Archivio storico sardo», IV (1908), p. 110. In quest'ultimo repertorio si riferisce, senza commento, che il Sanna «diede opera alla redenzione degli schiavi sardi».

    (3) Documenti originali ed autografi di Giovanni Sanna, relativi alle sue missioni ad Algeri, sono numerosi tra le carte della Compagnia del Gonfalone (ASV, Gonf., Istromenti Libro 5°, fasc. 23, ff. 1-4v; Libri Diversi U, ff. 48v, 99, 99v, 101v, 103v-104v; Libri Diversi V, passim; Libri Diversi Y, ff. 2-4v, 5v, 6, 8-9v, 25, 25v, 46v, 47, 58, 58v, 59v-60v; Mazzo G, ff. 14-30, 38, 92-100, 104-105, 110, 114-119v, 123-126, 139-149v, 152-161v, 163-168, 171-172v, 175-183, 189-201, 243-245, 252, 265-268v, 281, 394, 407, 446457, 461-512v; Mazzo H, ff. 65, 65v, 97, 99, 99v, 132, 132v, 148, 148v, 151, 152v, 584-594v).

    (4) Sulla corsa barbaresca si veda l'esauriente trattazione di S. BONO, I corsari barbareschi, Torino 1964; sulla connessa schiavitù cristiana, la recente sintesi di C. MANCA, Problemi aperti sul commercio e sul riscatto degli schiavi cristiani nel Mediterraneo dopo Lepanto, estratto da «Africa», Roma 1974, nonché la bibliografia ivi citata.

    5 Cfr. P. AMAT DI SAN FILIPPO, Della schiavitù e del servaggio in Sardegna. Indagini e studi, Torino 1894, pp. 16 s.; ID., Indagini e studi sulla storia economica della Sardegna, Torino 1902, pp. 131 s.; S. BONO, I corsari barbareschi, cit., pp. 167 ss.; F. BRAUDEL, Civiltà e imperi del Mediterraneo nell'età di Filippo II, Torino 1953, p. 161; P. MARTINI, Storia delle invasioni degli Arabi e delle piraterie dei Barbareschi in Sardegna, Cagliari 1861, passim; E. SARRABLO AGUARELES, Cerdeña y el peligro turco en et Mediterráneo durante el siglo XVI, in «Actas del VI Congresso de Historia de la Corona de Aragón», Madrid 1959, pp. 934 ss.; G. SORGIA, Il Parlamento del Viceré Fernandez de Heredia (1553-1554), Milano 1963, pp. 28 ss.; ID., La politica nord-africana di Carlo V, Padova 1963, pp. 21 s.

    (6) Cfr. per tutti L. PINELLI, Un corsaro sardo re di Algeri, Sassari 1972.

    (7) ASV, Gonf., Libri Diversi U, ff. 100, 101v, 103v, 105v; Libri diversi V, ff. 4v, 13, 13v; Mazzo G, ff. 221, 290, 504; Mazzo H, f. 54.

    (8) Nelle istruzioni impartite dalla Compagnia del Gonfalone ai redentori della prima missione, datate 30 novembre 1584, è scritto testualmente: «... tutta quella reverentia et obedientia che dovevi alli frati la portarete al detto sr. Decano il quale per la dignità sacerdotale et età conviene che da noi in detto loco de superiorità sia posto» (ASV, Gonf., Mazzo H, f. 591v).

    (9) ASV, Gonf., Libri Diversi Y, ff. 5v, 8-9v, 25; Mazzo G, ff. 24, 25, 29; Mazzo H, ff. 65v, 99, 584, 592v, 594.

    (10) ASV, Gonf., Mazzo G, ff. 18, 93, 94v, 97v, 98v, 100, 116, 117, 446.

    (11) ASV, Gonf., Libri Diversi Y, f. 60.

    (12) ASV, Gonf., Libri Diversi Y, ff. 99, 99v, 101 v, 103v, 104v; Mazzo G, ff. 139, 141v, 142, 144, 147v, 149v, 153v, 156v, 158v, 161, 165, 167, 179, 181, 183, 189, 195, 199v, 243, 252, 265, 268, 449, 452, 501; Mazzo H, ff. 148v, 151.

    (13) ASV, Gonf., Mazzo G, ff. 161, 161v, 171. Nel repertorio dei vescovi sardi curato dall'EUBEL, loc. cit., si legge che Giovanni Sanna, praesbiter diocesis Arboren., venne formalmente eletto vescovo d'Ampurias il 26 novembre 1586, succedendo a Miquel Rubió, praesentatus a caesare. Quest'ultima circostanza significa che il Sanna, in quell'autunno del 1586, era giunto a Roma già designato all'ufficio dal suo re, Filippo II, e quindi giustifica che ancora prima dell'investitura pontificia egli fosse comunemente qualificato vescovo d'Ampurias. Sulla prassi dell'elezione cfr. G. LUNADORO, Relatione della Corte di Roma, e de' riti da osservarsi in essa, e de' suoi Magistrati, e officij, con la loro distinta giurisdittione, Venezia 1664, pp. 178 ss.

    (14) ASV, Gonf., Libri Diversi Y, ff. 58, 60v; Mazzo G, ff. 21, 22, 146, 394, 456, 461-512.

    (15) ASV, Gonf., Libri Diversi Y, ff. 46v, 47.

    (16) ASV, Gonf., Libri Diversi V, ff. 1-15; Libri Diversi Y, ff. 58, 60v; Mazzo G, ff. 21, 22, 23, 100, 394, 407, 446, 456, 461-512.

    (17) ASV, Gonf., Mazzo B, ff. 96, 106v, 139, 163.

    (18) ASV, Gonf., Libri Diversi Y, ff. 5v, 6; Mazzo H, ff. 584-594v.

    (19) ASV, Gonf., Mazzo G, ff. 92-93, 96-97v, 104-105, 131. Documenti già utilizzati da S. BONO, La missione dei cappuccini ad Algeri per il riscatto degli schiavi cristiani nel 1585, estratto da «Collectanea Franciscana», Roma 1955, pp. 24. ss.

    (20) ASV, Gonf., Mazzo G, ff. 104-105. Cfr. S. BONO, La missione dei cappuccini, cit., pp. 30 s.

    (21) ASV, Gonf., Libri Diversi U, ff. 2, 5v, 10, 11, 15, 17v, 18v, 21v, 30, 38, 39v-45v, 46v-50v, 55; Libri Diversi Y, ff. 7-25v, 26v; Mazzo G, ff. 30, 114, 289-346, 350, 351v, 446-451v, 454-457v; Mazzo H, ff. 63-102.

    (22) ASV, Gonf., Libri Diversi U, ff. 15, 48v, 49. Si tenga presente che gli scudi d'oro in oro, in cui vengono espressi i prezzi di riscatto, sono quelli coniati a Roma, sul modello degli scudi francesi e spagnoli, al titolo di 22 carati ed al taglio di 102 pezzi per libbra di 339 grammi, contenenti perciò circa 3 grammi d'oro fino (cfr. G. GARAMPI, Saggi di osservazione sul valore delle antiche monete pontificie, Roma 1776, pp. 60 ss.).

    (23) ASV, Gonf., Mazzo G, f. 114.

    (24) C. MANCA, op. cit., p. 17.

    (25) ASV, Gonf., Mazzo G, ff. 96v, 104, 104v. Cfr. S. BONO, La missione dei cappuccini, cit., pp. 27, 30.

    (26) ASV, Gonf., Mazzo G, ff. 92, 97v; Mazzo H, ff. 584v, 589.

    (27) ASV, Gonf., Mazzo G, ff. 92v, 106, 114, 117.

    (28) ASV, Gonf. Mazzo G. f. 106v.

    (29) ASV, Gonf., Mazzo G, ff. 112, 114.

    (30) ASV, Gonf., Libri Diversi V, f. 3; Mazzo G, ff. 30, 114-115v, 119, 119v, 123-124. I Cappuccini rimasti ad Algeri, tra la fine della primavera e l'inizio dell'estate di quel 1585, portarono assiduamente soccorso a molte centinaia di schiavi, venendone alla fine irrimediabilmente contagiati. Il padre Pietro da Piacenza morì il 6 di giugno; il padre Filippo da Rocca Contrada, il 6 d'agosto, esattamente due mesi più tardi (ibidem, Mazzo G, ff. 119, 125, 127; Mazzo H, f. 99).

    (31) ASV, Gonf., Mazzo G, f. 106.

    (32) ASV, Gonf., Mazzo G, f. 116.

    (33) ASV, Gonf., Mazzo G, f. 117.

    (34) ASV, Gonf., Istromenti Libro 5', fase. 23, ff. 14v; Mazzo G, ff. 161, 268, 281.

    (35) ASV, Gonf., Mazzo G, f. 139.

    (36) ASV, Gonf., Mazzo G, f. 139v.

    (37) ASV, Gonf., Mazzo G., f. 142.

    (38) ASV, Gonf., Libri Diversi U, ff. 5v, 6, 7, 9v, 13, 18v, 19v, 25v, 29, 39v, 52, 53v, 56, 59v, 62, 66, 78v, 86v, 87, 90, 90v, 92v, 99-107, 108-110, 111v-115, 116-120, 121-122, 149-153V, 154-166v; Libri Diversi V, ff. 2v, 3v-8, 10, 13, 13v; Libri Diversi Y, ff. 26, 28, 39, 39v, 47v, 49v, 51-55, 58-60v; Mazzo G, ff. 123, 142-149v, 154, 160v, 163v, 167v, 173, 177, 191v, 192, 199, 212, 215, 240v, 243v, 244, 252, 252v, 271, 281, 283, 367, 367v, 376, 376v, 385, 394-405v, 461-512v; Mazzo H, ff. 54-55v, 102.

    (39) ASV, Gonf., Mazzo H, ff. 148, 148v.

    (40) ASV, Gonf., Libri Diversi U, ff. 99, 99v, 101 v, 103v-104v, 116v, 117, 121 v, 149, 150, 151v, 161, 163v, 164v.

    (41) ASV, Gonf., Libri Diversi V, ff. 4v, 7-8, 10, 13.

    (42) ASV, Gonf., Mazzo G, ff. 199v, 265, 268.

    (43) ASV, Gonf., Mazzo G, ff. 152, 154-156v, 163-164v.

    (44) ASV, Gonf., Mazzo G, ff. 171, 179, 181v; Mazzo H, f. 27.

    (45) ASV, Gonf., Mazzo G, ff. 167-170v, 175-183, 187-188v, 191-192v, 199-201, 212-214v, 219-228v, 233-276v. I padri Dionigi da Piacenza ed Arcangelo da Rimini, ultimi redentori del Gonfalone, lasciarono Algeri due anni e mezzo più tardi, dopo avere superato aspri contrasti tanto col governo locale quanto coi guardiani della Compagnia romana, approdando finalmente a Portofino il 26 ottobre 1589 ( ibidem, ff. 281, 281v.).

    (46) ASV, Gonf., Mazzo G, ff. 161, 161-v.

    (47) ASV, Gonf., Mazzo G, ff. 142-143v, 146-149v, 191-192v, 199-201.

    (48) ASV, Gonf., Mazzo G, f. 149.

    (49) ASV, Gonf., Mazzo G, f. 199.

    (50) ASV, Gonf., Mazzo G, ff. 189, 189v.

    (51) Supra, nota 42. L'intenzionalità di questa omissione fu peraltro esclusa dai redentori, rimasti ad Algeri; i quali, pur lamentandosene perché costretti a pagare in vece del Sanna, ne invocavano ancora la buona fede nel luglio del 1589, scrivendo testualmente al Gonfalone: «Al sicuro neccessario pagare cento cinquanta scuti delli debiti di Monsig.re di Ampurias come compagno nostro allegando tutti questi che gli hanno dato per noi cioè credendo dargli all'elemosina e questo basta in queste parti per lor iustificatione anco solo dicendo che era nostro compagno alli oblighi dil quale basta per essere tenuti oltre che quando anco non si fosse forcciato crediamo saria meglio pagarli per essere poi da esso rimborsati che lasciare tanti gridi per Algeri de christiani et turchi dil nome della Compagnia del Confalone sopra a che se sfogaria ogni cosa sì che per non perdere quello che con tanti sudori e travagli e spese si è sostentato saria men male il sodisfare a questa soma ... è ben vero che anco siamo certi che in questo non vi colpa Monsignore per malitia se non forse per qualche mancamento di memoria e che gli ordini dati da lui non sono stati intesi o esequiti secondo l'intenzione sua... (ASV, Gonf., Mazzo G, f. 268).

    (52) Supra, nota 2. Stando alla sommaria biografia data dal PINTUS, loc. cit., Gio. Sanna si sarebbe segnalato, durante i vent'anni del suo vescovato, per la virtù personale, la magnificenza e la generosità nelle opere pubbliche. In particolare, all'iniziativa del vescovo si attribuisce l'erezione della cattedrale di Castelsardo nonché la fondazione di due case gesuitiche, a Cagliari e Sassari, alla quale fondazione egli contribuì con 8.000 ducati e 25.000 scudi sardi. 

  • MANCA C., Problemi aperti sul commercio e sul riscatto degli schiavi cristiani nel Mediterraneo dopo Lepanto, estratto da «Africa», Roma 1974
  • MANCA C., Il modello di sviluppo eco­nomico delle città marittime barbaresche dopo Lepanto, Napoli 1982
  • MARONGIU A., Nozze proibi­te, comunione di beni e consuetudine canonica (a proposito di un documento del 1568), «Ephemerides iuris canonici» III (1947), n. 4 e «Studi sardi», Vili (1948)
  • MARTINI P., Storia ecclesiastica di Sardegna, III, Cagliari 1841, p. 351;
  • MARTINI P., Storia delle invasioni degli Arabi e delle piraterie dei Barbareschi in Sardegna, Cagliari 1861;
  • MONTI A., La Compagnia di Gesù nel territorio della Provincia Torinese, Vol. II, Stabilimento tipografico M Ghirardi, Chieri 1915, pp.321 ss.;

N

O

P

  • PINELLI L., Un corsaro sardo re di Algeri, Sassari 1972;
  • PINTUS S., Vescovi di Pausania, Civita, Ampurias, in «Archivio storico sardo», IV (1908), p. 110.

Q

R

S

  • SARRABLO AGUARELES E., Cerdeña y el peligro turco en et Mediterráneo durante el siglo XVI, in «Actas del VI Congresso de Historia de la Corona de Aragón», Madrid 1959, pp. 934 ss.;
  • SORGIA G., Il Parlamento del Viceré Fernandez de Heredia (1553-1554), Milano 1963, pp. 28 ss.;
  • SORGIA G., La politica nord-africana di Carlo V, Padova 1963, pp. 21 s.
  • G. SORGIA, Due lettere inedite sulla condizione del clero e dei fedeli in Sardegna nella prima metà del secolo XVI, ASS, XXIX (1963)
  • SPANO G., Guida della città di Cagliari, 1861, p. 146;

T

  • P. TOLA, Dizionario biografico degli uo­mini illustri di Sardegna, III, Torino 1838
  • Turtas, Raimondo (1988) La Riforma tridentina nelle diocesi di Ampurias e Civita: dalle relazioni «ad limina» dei vescovi Giovanni Sanna, Filippo de Marymon e Giacomo Passamar (1586-1622). In: Studi in onore di Pietro Meloni,Sassari, Edizioni Gallizzi. p. 233-259.
  • TURTAS R, Note sui rapporti tra i vescovi di Alghero e il patronato regio nel secolo XVII, in L’Alguer, la Catalunya, la Mediterrània (Giornate di studio, Alghero, 30 ottobre - 2 no­vembre 1985)
  • TURTAS R, Erezione, traslazione e unione di diocesi in Sardegna durante il re­gno di Ferdinando II d‘Aragona (1479-1516), VII Convegno di Storia della Chiesa: Ve­scovi e diocesi in Italia dal XIV alla metà del XVI secolo (Brescia, 21-25 sett. 1987)

U

V

F.A. DE VICO, Historia generai de la Isla y Reyno de Sar­dem, Barcellona 1639

Z

  • ZUCCA UMBERTO, 

 

 

epigrafe porcu 1935Honori et memoriaJoannis Sanna Antistitis Ampuriensis domo S. Luxorio Leonardi Porcu et Gratiae Sanna fìlii  a qua cognomen duxit - Iunior iuris pontificii civilisque consultor - Sacris addictus doctrina et virtute prestans - in canonicorum Alensium collegium ultro cooptatus - dignitate decanus - urgente Christi caritate Algerium aliasque africas oras identidem appellebat - miseros captivos tum sardos, tum hispanos - ab immani captivitate redempturus - Episcopus, hac in aede consecratus - totus fuit in levandis suorum ovium necessitatibus - eximia liberalitate clarus - pontem super flumen Coghinas struendum templum maximum Castri Aragonensis erigendum curavit - hanc S. Petri aedem pretiosa supellectili auxit - Societatis Iesu studiosissimus ut confoveret in Dei gloria provehenda inventa pietate et bonis artibus imbuenda - XXXM num. Scut.1 domui patrum professorum Sassaritanae - VIIIM asceterio tironum jusperitorum calaritano aedificandis attribuit - utriusque operis fundatoris nomine honestatus - pius obiit anno MDCVII Ne tanti viri obliteretur memoria - Can. Liberatus Angelus Porcu b.m. suo civi et sanguine propinquo t.p. an. MCMXXXV

TRADUZIONE ITALIANA DI ALFREDO ANNIBALI - ARCHEOCLUB COMUNANZA (AP).

Giovanni Sanna Prelato ampuriense, (sua casa) nato a Santu Lussurgiu figlio di Leonardo Porcu e Grazia Sanna di cui porta il cognome.  Giovane consulente di diritto Pontificio e Civile - Sacre ordinazioni, Distinto per dottrine e virtù in seguito aggregato al collegio dei canonici di Ales Decano per dignità, sulla spinta della carità di Cristo si recava in Algeria di quando in quando ed in altri lidi africani. Per redimere (liberare) i miseri prigionieri sia sardi che spagnoli dalla brutale prigionia. In questa sede, consacrato Vescovo, si dedicò totalmente ad alleviare (rimediare) le necessità delle sue pecore (fedeli). Famoso per l’egregia generosità, si prese cura di un ponte da costruire sopra il fiume Coghinas e di erigere il grande tempio del Castello Aragonese (Castelsardo) – arricchì questa casa di S. Pietro di suppellettili di grande pregio.  – Studioso della Compagnia del Gesù, contribuì a portare avanti la gloria di Dio da infondere con una riscoperta pietà e con opere buone. - Assegnò trentamila scudi1 ai Padri professori della Sede sassarese e  Ottomila alla Sede cagliaritana dei novizi giureconsulti, per l’edificazione delle rispettive  abitazioni. Onorato dal nome di fondatore dell’una e dell’atra Opera, piamente morì nell’anno 1607. Affinchè non venga dimenticata la memoria di un così grande uomo, il Canonico Liberato Angelo Porcu b.m. (bono modo) pose (la lapide) al suo cittadino e consanguineo. Anno 1935.

____________

1 In effetti gli scudi erogati da Mons. Giovanni Sanna - Porcu furono 24000, cfr, Raimondo Turtas , La Casa dell'Università,Op. cit., p. 70 , nota 137, il quale, citando il FG., 205/1590, busta 3, doc. 173 dell'Archivium Historicum Societatis Iesu, precisa che la somma effettivamente donata da Mons. Sanna fu di 24000 scudi e non 25000, come indicata l'epigrafista.

Monsignor Don Giovanni Sanna-Porcu è importante non solo per la storia di Santu Lussurgiu, che gli ha dato i natali, e per la Sardegna, dove fu Decano della Diocesi di Ales, redentore di schiavi e, successivamente, Vescovo di Ampurias e Civita, ma per l'intera Chiesa di Roma, lasciando ripetute testimonianze di carità cristiana, di buon senso e di altissima diplomazia nella politica estera mediorientale di fine Rinascimento. Testimonianze che meritano senz'altro ulteriori indagini e approfondimenti, ma che già di per sé costituiscono  un unicum di straordinaria attualità e importanza, soprattutto in relazione al contesto storico,  nel quale Monsignor Giovanni Sanna operò più efficacemente, e  che si colloca tra la fine del ‘500 e il 1607, anno della sua morte.

Sulla sua opera di redentore di schiavi è stato scritto molto nel corso dei secolin: se ne trova memoria copiosa e, in gran parte inedita, nei suoi stessi manoscritti, nelle relazioni delle Visite ad limina e nelle carte sparse dell'Archivio dell'Archiconfraternita del Gonfalone di Roma.

A più riprese e in tempi più recenti Mons. Giovanni Sanna è stato anche oggetto di studio da parte degli storici sardinn, ma sempre, purtroppo, in una visione 'isolana' della figura e dell'opera del grande prelato. Ampliare il campo della ricerca: soprattutto in riferimento ai rapporti che intrattenne con l'Arciconfraternita di Roma e il ruolo di primo piano che ebbe durante i pontificati di Gregorio XIII (prima missione del 1584 ad Algeri) e di Sisto V che lo nominò vescovo su proposta del Re di Spagna (seconda missione ad Algeri del 1587), ma anche sui trattati e salvacondotti stabiliti col Gran Sultano di Costantinopoli e Assan Bassà, Governatore di Algeri, potranno rivelare aspetti inimmaginabili della sua vita e dei rapporti della Chiesa di Roma e l'impero turco.   .
Attraverso l’abile Mons. Fabio Biondi, Patriarca di Gerusalemme, anch’egli montaltese come il Pontefice, Mons. Giovanni Sanna fu a capo di due importanti missioni diplomatiche ad Algeri e negli Stati Islamici del nord Africa e, forse, anche presso il Gran Sultano di Costantinopoli, missioni promosse, la prima da Gregorio XIII (1584) e poi dallo stesso Sisto V, attraverso la riformata Arciconfraternita del Gonfalone di Roma.

Sarà lo stesso Pontefice a ricevere mons. Giovanni Sanna e gli schiavi riscattati al rientro dalla sua seconda missione ad Algeri. 
Le missioni di Mons. Sanna, infatti, ebbero grande successo. Per molti schiavi cristiani della Sardegna fu lo stesso Giovanni Sanna a provvedere personalmente al pagamento del riscatto, forse anche attraverso le Compagnie del Gonfalone di Santu Lussurgiu e di Cuglieri di cui vi è traccia.

Anche se mancano al momento i documenti che lo provino, non è escluso che furono gli stessi Mons. Giovanni Sanna di Santu Lussurgiu e il montaltese Fabio Biondi a condurre le trattative col Sultano di Costantinopoli per l’acquisto e la traslazione del Santo Sepolcro di Cristo, che Papa Sisto V avrebbe voluto collocare a Montalto, sua città e Patria carissima.

Questo si racconta nelle cronache del tempo [1]. Un’ipotesi affascinante e suggestiva, ancora tutta da verificare!


[1] Concattedrale S. Maria Assunta di Montalto delle Marche, Cartiglio del 1590: Sisto V Pontefice Romano, fondò questo Tempio per trasferirvi il Sepolcro di Cristo.

Si va dicendo, che ‘l Pontefice ha un pensiero gloriosissimo di volere, cioè redimere di mano del Turco il Santo Sepolcro et servirsi in questo traffico delli più omnipotenti mezzi, senza riguardo di qual si voglia somma di danari, che la Porta di Costantinopoli adimandi, et di quali si voglia eccessiva spesa, che ci vada per havere quel felicissimo sasso, che fu arca del nostro Redentore”.
Avviso del 18 febbraio 1587, Urb. 1055, p. 56, Biblioteca Vaticana (Cfr.: L. Von Pastor, Storia dei Papi, Vol. X, p. 394, Roma, 1928.)

Di seguito le annotazioni (1754) sulla Cripta di Montalto del gentiluomo Pietro Andrea Galli: Il sotterraneo di detta nuova Chiesa per il disegno, grandezza ed architettura è uno delli più belli, e maestosi vasi, che possa mai vedersi, formando una Croce alla greca, ma incontra parimente la disgrazia di rimanersene alla rustica, e senza verun ornamento.
Nel braccio di sinistra, in alto, sopra al luogo in cui era situato il gruppo della deposizione di Giorgio Paci (oggi sistemato nel braccio centrale), si legge l’iscrizione: “Pro Dominici Sepulchri Transuectione Sixtux V Rom.Pont. Hocce Templum a fondamenta erexit. An. MDXC”.

Osservava ancora Pietro Andrea Galli:

Si ha per tradizione, che Sisto avesse pensiero d’ivi collocare il Santo Sepolcro di Gesù Cristo, ed in tal guisa a rendere Montalto una Città assai popolata, e di gran concorso. Se ciò sia vero, non possiamo con certezza affermarlo, solo ne acceniiamo la voce precorsa, qualunque ella sia.

MONS. GIOVANNI SANNA

La grandezza della figura di Mons. Giovanni Sanna Porcu di Santu Lussurgiu (1529 - 1607), la sua vita esemplare, il suo generoso apostolato nella diocesi di Ampurias e Civita, le opere pubbliche realizzate a sue spese in Sardegna, gli incarichi svolti per la l'Arciconfraternita del Gonfalone di Roma e la sua opera di redenzione e riscatto degli schiavi cristiani, le missioni diplomatiche eseguite in nome dello Stato pontificio presso gli Stati islamici, sono tutte circostanze che meritano, senz'altro, di essere indagate e meglio approfondite, soprattutto in relazione al contesto storico nel quale Monsignor Giovanni Sanna operò più efficacemente, e  che si colloca tra la fine del ‘500 e il 1607, anno della sua morte.

Sulla sua opera di redentore di schiavi è stato scritto molto nel corso dei secoli: se ne trova memoria copiosa e, in gran parte, inedita nei suoi stessi manoscritti, nelle relazioni delle Visite ad limina e nelle carte sparse dell'Archivio dell'Archiconfraternita del Gonfalone di Roma.

più riprese e in tempi più recenti Mons. Giovanni Sanna è stato anche oggetto di studio da parte degli storici sardi, ma sempre, purtroppo, in una visione 'isolana' della figura e dell'opera del grande prelato.

Nessuna attenzione, invece, gli è stata riservata dai suoi concittadini, gli abitanti di Santu Lussurgiu, città dove nacque nel 1529, da Don Leonardo Porcu e Donna Grazia Sanna. 

Ad onor del vero, nel 1999, era stato organizzato un Convegno di studi  dalla locale Pro Loco, alla cui iniziativa avrebbero dovuto seguire altre occasioni d'incontro ed approfondimento, ma non è andata secondo gli auspici.            

É questa la triste sorte che la storia riserva ingiustamente ad alcuni personaggi che per il loro ingegno, le opere, l'esempio e l'insegnamento che ci hanno lasciato meriterebbero un posto ben maggiore nel novero dei grandi!

Monsignor Don Giovanni Sanna-Porcu è importante non solo per la storia di Santu Lussurgiu, che gli ha dato i natali, e per la Sardegna, dove fu Decano della Diocesi di Ales, redentore di schiavi e, successivamente, Vescovo di Ampurias e Civita, ma per l'intera Chiesa di Roma e per aver lasciato un segno importante nella politica estera mediorientale di fine Rinascimento.

Sicuramente Mons. Sanna ebbe un ruolo importantissimo durante il pontificato di papa Sisto V (1585-1590). Attraverso l’abile Mons. Fabio Biondi, Patriarca di Gerusalemme, anch’egli montaltese come il Pontefice, Mons. Giovanni Sanna fu a capo di due importanti missioni diplomatiche presso gli Stati Islamici del nord Africa e, forse, anche presso il Gran Sultano di Costantinopoli, missioni promosse, la prima da Gregorio XIII e poi dallo stesso Sisto V, attraverso la riformata Arciconfraternita del Gonfalone di Roma.

Sarà lo stesso Pontefice a ricevere mons. Giovanni Sanna e gli schiavi riscattati al rientro dalla sua prima missione ad Algeri. Le missioni di Mons. Sanna, presso le reggenze islamiche di Algeri e Tunisi, per la liberazione di centinaia di schiavi cristiani, ebbero, infatti, grande successo. Per molti schiavi cristiani della Sardegna fu lo stesso Giovanni Sanna a provvedere personalmente al pagamento del riscatto, forse anche attraverso la sua Compagnia del Gonfalone di Santu Lussurgiu

Anche se mancano al momento i documenti che lo provino, non è escluso che furono gli stessi Mons. Giovanni Sanna di Santu Lussurgiu e il montaltese Fabio Biondi a condurre le trattative col Sultano di Costantinopoli per l’acquisto e la traslazione del Santo Sepolcro di Cristo, che Papa Sisto V avrebbe voluto collocare a Montalto, sua città e Patria carissima.

Questo si racconta nelle cronache del tempo[1]. Un’ipotesi affascinante e suggestiva, tutta da verificare!



[1] Concattedrale S. Maria Assunta di Montalto delle Marche, Cartiglio del 1590

Sisto V Pontefice Romano, fondò questo Tempio per trasferirvi il Sepolcro di Cristo.

Si va dicendo, che ‘l Pontefice ha un pensiero gloriosissimo di volere, cioè redimere di mano del Turco il Santo Sepolcro et servirsi in questo traffico delli più omnipotenti mezzi, senza riguardo di qual si voglia somma di danari, che la Porta di Costantinopoli adimandi, et di quali si voglia eccessiva spesa, che ci vada per havere quel felicissimo sasso, che fu arca del nostro Redentore”.

Avviso del 18 febbraio 1587, Urb. 1055, p. 56, Biblioteca Vaticana (Cfr.: L. Von Pastor, Storia dei Papi, Vol. X, p. 394, Roma, 1928.)

Le annotazioni (1754) sulla Cripta del gentiluomo di Montalto Pietro Andrea Galli

Il sotterraneo di detta nuova Chiesa per il disegno, grandezza ed architettura è uno delli più belli, e maestosi vasi, che possa mai vedersi, formando una Croce alla greca, ma incontra parimente la disgrazia di rimanersene alla rustica, e senza verun ornamento.

Nel braccio di sinistra, in alto, sopra al luogo in cui era situato il gruppo della deposizione di Giorgio Paci (oggi sistemato nel braccio centrale), si legge l’iscrizione:

“Pro Dominici Sepulchri Transuectione Sixtux V Rom.Pont. Hocce Templum a fondamenta erexit. An. MDXC”.

Osservava ancora Pietro Andrea Galli:

Si ha per tradizione, che Sisto avesse pensiero d’ivi collocare il Santo Sepolcro di Gesù Cristo, ed in tal guisaa rendere Montalto una Città assai popolata, e di gran concorso. Se ciò sia vero, non possiamo con certezza affermarlo, solo ne acceniiamo la voce precorsa, qualunque ella sia.

nvece, ben poca attenzione è stata riservata a questo illustre prelato dai suoi concittadini, gli abitanti di Santu Lussurgiu, villaggio del Montiferru dove nacque nel 1529, da Don Leonardo Porcu e Donna Grazia Sanna.

Neppure una piazza, una via, un vico, un qualsiasi luogo pubblico intitolato alla sua memoria. 

 che già di per sé basterebbero ad annoverare Mons. Giovanni Sanna tra i più grandi personaggi della storia della Sardegna e della chiesa di Roma.

É questa la triste sorte che la storia riserva ingiustamente ad alcuni personaggi che per il loro ingegno, le opere, l'esempio e l'insegnamento che ci hanno lasciato meriterebbero un posto ben maggiore nel novero dei grandi! 

 

Espansionismo turco sul finire del secolo XVI

La difesa delle coste italiane ed europee dall’espansionismo turco e l'opera di redenzione degli schiavi furono alcune delle priorità a cui Sisto V dovette far fronte  nell'immediatezza della sua acclamazione al soglio pontificio (24 aprile 1585).

Si trattava di una piaga antica ereditata in toto dai suoi predecessori che la sua urgente drammaticità spinse il nuovo Pontefice ad intervenire. Lo fece con la consueta determinazione, prudenza, ampiezza di mezzi finanziari e lungimiranza per risolvere alla radice il problema.
Sul finire del XVI secolo, scemati gli entusiasmi per la vittoria di Lepanto (1571) la minaccia dei turchi sulle coste italiane aveva ripreso vigore; essa era sistematica, devastante, di portata tale da minacciare da vicino gli Stati italiani ed europei, un po' come avviene oggi da parte del terrorismo dell'Isis.

Vere e proprie battaglie navali si combattevano nel Mediterraneo, con grande dispiego di flotte europee e mussulmane come nella battaglia di Lepanto del 1571, oppure abbordaggi sistematici di convogli mercantili da parte di navi corsare, o ancora incursioni lungo le coste del Mediterraneo e nei villaggi dell’entroterra col grido di terrore "Mamma li Turchi" gridato  a squarciagola dalle fanciulle all'apparire delle imbarcazioni barbaresche e rimasto ancora nella memoria collettiva. Questa era la situazione difficilissima che il nuovo pontefice si trovò ad affrontare.
Da una parte il banditismo interno  allo Stato Pontificio che imperversava e ormai totalmente fuori controllo, dall'altra la continua minaccia turca che rendeva difficilissimi i commerci e la sicurezza delle popolazioni. L’impero turco, come aveva fatto nel passato, alla fine del XVI secolo aveva intensificato la pressione verso l’Europa, elevando a sistema economico il sequestro di persona per arricchire le reggenze barbaresche di Algeri, Tunisi e Tripoli che erano le principali città che praticavano questa forma economica di sequestro, nell'attesa del riscatto; e se il riscatto non veniva, era sempre l'acquisizione di mano d’opera gratuita che poteva essere rivenduta e se non era rivenduta poteva essere chiaramente  fatta lavorare gratuitamente a beneficio di chi aveva sequestrato.

L’Italia per la sua posizione geografica di tale situazione subiva le maggiori conseguenze perché costituiva il primo baluardo difensivo. La minaccia sulle coste della nostra penisola era praticamente quotidiana, dalle coste laziali a quelle adriatiche, dalla Sicilia al Regno di Napoli, alla Puglia (Bari), per non parlare poi della Sardegna crocevia del Mediterraneo.

Cronaca di un’incursione

L’episodio ci consente di conoscere la misera condizione degli abitanti delle campagne romane e al tempo stesso di valutare le spese ingenti che la Compagnia del Gonfalone era costretta a sostenere per il loro riscatto.

L’assalto dei pirati barbareschi avvenne nella campagna romana e precisamente nel Castello di Pratica il 19 maggio 1588. In una delle solite giornate in cui gli abitanti erano occupati nelle loro attività, ci fu l’improvviso approdo nella spiaggia poco distante di un manipolo di pirati turchi. I pacifici castellani, presi di sorpresa, sprovvisti di alcun sistema di difesa e men che meno di armi, furono tutti legati e fatti salire sulle imbarcazioni e portati ad Algeri.. Dai documenti del periodo leggiamo che vennero resi schiavi 39 uomini, 28 donne ed oltre trentacinque non residenti [2]

Tra questi vi erano anche alcuni religiosi i quali, rimarginate le ferite, inviarono una relazione dei fatti al  Pontefice  accompagnandola con una supplica pietosa tale da commuovere  Sisto V il quale decise di intervenire.

Il pontefice ordinò quindi alla confraternita del Gonfalone, d’inviare quanto prima una missione a Tripoli e Algeri per riscattare gli schiavi cristiani ivi prigionieri, stanziando a tal fine alcune migliaia di scudi oltre a quelli che la stessa Confraternita aveva raccolto attraverso le elemosine.

Non solo, ma al padre Cappuccino a capo della missione, Sisto V promise ulteriori risorse di denaro e ampie facoltà spirituali e indulgenze per portare a termine l’impresa nel modo migliore. I Redentori, giunti sul posto, si resero conto che il numero di schiavi da riscattare era molto superiore al previsto, tra essi vi erano anche giovinetti, donne e fanciulle, che sotto continue minacce e tormenti dei loro aguzzini rischiavano di rinnegare la fede cristiana. 

Il padre Cappuccino non aveva con sé tutto il denaro necessario al loro riscatto, ma essendo esso riconosciuto come uomo fervente e sincero di spirito, propose al Vice Re il riscatto anche di questi ultimi sulla parola, con un impegno di 15 mila scudi che il Papa Sisto V prontamente gli avrebbe inviato.

Il Vice Re, alla semplice promessa fatta in nome di Sisto, acconsentì alla liberazione anche di questi ultimi. Infatti, Sisto V ordinò che dalla propria borsa fosse prontamente prelevata e pagata la somma promessa dal Cappuccino.

Il Cappuccino restò in Barberia forse in pegno della parola data, ma duecento schiavi cristiani riscattati poterono partire alla volta di Roma dove giunsero il 12 Marzo 1586, ricevuti dai fratelli del Gonfalone e dal popolo festante. Restarono alcuni giorni “spesati” dal Pontefice, e la Domenica di Passione furono condotti a Santa Maria Maggiore per venerare l’immagine della Beata Vergine appartenente alla Confraternita del Gonfalone e dove,  baciati il piede al Papa furono licenziati dopo un buon pranzo offerto dal Pontefice unitamente ad un sussidio congruo per ciascuno degli schiavi per tornare al rispettivo paese dal quale alcuni di loro mancavano da quarant’anni[4].

Beatissimo Padre Nostro. Cre­diamo nui gioveni di drento il serraglio del ti­ranno ré che V. B. abia inteso parte delle no­stre miserie dove al presente se ritroviamo e perché ne pare intendere che V. B. mandi lemosina no abiamo voluto manchare di narrarlene anche al presente parte essendo a qua drento otto cristiani giovanetti di prima età sen­za puotere ritenere speranza da nessuno se no in lo signore idio e in V. B. e alcuni senza pa­dre e madre e essere privi di ogni bene e ogni giorno de contino esere aspramente tormentati di bastonate per no volere acconsentire di rinnegare la nostra santa fede e per volere stare e morire in quella: a tal che V. B. può consi­derare la miseria nostra infinitissima e noi non avendo altro padre che V. B. e no abiamo vo­luto mancare che suplicare a V. B. che ne abia misericordia in seccorerne di alcuna elemosina con la quale puotessimo schapulare di no esere morti sotto il bastone o vero rinegare la nostra santa fede cosa che piuttosto si elegeriamo mile suorti di morte che preferire un punto di falsi turchi. Essendo nui in questa maledetta e ne­fanda casa rinchiusi senza puotere vedere nesuno se no turchi che in tutte le vie che questi perfidi ne vedeno non manchano gietar biestime e male parole donarne schiaffi chi calci chi tirarne pietre chi chiamarni cani e di molte altre suorti di ingiurie che ogni giorno suoliono dire. Ma noi niente de mancho no manchiamo di sopportare pazientemente per amor de idio e supporteremo di qua per avanti. E ancora facendo questi perfidi e falsi che per forza di bastone ne voliono fare guastare li nostri digiuni e man­giare il venerdì e il sabato carne (Avviso a chi tocca) e di altre infinitissime pene e perseguzioni che ogni volta ne fanno patire. E per non esere tropo fastidiosi lo lasceremo ma preghiamo V. B. che ne abia misericordia e che non ne voglia abandonare e cavarne da questa infetissima casa ripiena di tutte le iniquità che trovar se puosono. E di nuovo suplichiamo a V. B. che per la salvazione dele anime nostre che ne voglia mandare alcune grazie e indulgenzie per la salvazione dele anime nostre che sono accechate e sommerse in questo arcipelagho di pecchati che se per sorte noi perdiamo il corpo che al mancho le anime si puosano salvare. No voriamo mai cessare di narare a V. B. le perseguzioni nostre ma basterà questa che V. B. arà inteso che noi tutti per mezzo di questa suplicha umilmente ginochiati a piedi di sua B. dimandiamo la sua santa benedizione pregando sempre mai la santità sua e la esaltazione dela nostra santa gesia catolicha. Si sottoscriveremo tutti di sua mano.
Di casa del tiranno Ré di Algeri a di 25 aprile 1585.
Di V. B. Affmi Ser­vi di S. Madre Cesia Poveri schiavi Raffaello di Marcho Paresi Baguseo — Zannettino e Leonardino fratelli Montaldi Genovesi - Francesco Martino di Alasio Genovese — Bartolomeo do Foncequa Portughese — Juan Lopez spagnolo  Onorato Buonfiglio de Niza — Paulo Demontalvo spagnolo. —

A questo proposito, il sacerdote Luigi Ruggeri ci ricorda: “Rammentando, nondimeno, lo stesso Papa l’indefessa applica­zione, che si praticava da essa Archiconfraternita in detto riscatto, e il danaro che per detta causa avea profuso providamente nel riscatto di duecento schiavi ritenuti in Algeri, e in altri luo­ghi di Barbaria ; quali portatisi tutti unitamente in Roma furono a’ piedi del Papa in tempo che Egli solennemente celebrava (ai 15 di Agosto1587) nella Basilica di S. Maria Maggiore; a segnò (in compenso dei proventi di dataria) all’Archiconfraternita scudi 2000, da esiggersi annualmente dalla gabella sopra il bollo delle carte da giuocare, che in quel tempo stava affittata per scudi 7000: de'quali ne a già preventivamente assegnata la rata di scudi 4000 a favore, dell’Ospedale di S. Sisto[8].

La flotta navale di papa Sisto V

Pirati e corsari

Già dall’Alto Medio Evo si presentava la necessità di salvaguardare i litorali dello Stato della Chiesa esposti agli attacchi dei predoni come, del resto, buona parte degli altri stati rivieraschi. Molto più indietro nel tempo, le incursioni piratesche interessavano le popolazioni che vivevano nelle coste, anche dai tempi di Omero, se consideriamo il suo eroe Ulisse un predone del mare.  Del resto, anche l’impero Romano ha conosciuto la lotta contro i pirati provenienti dalla penisola balcanica.p>

Una breve nota è necessaria per chiarire la differenza tra pirata e corsaro. Il corsaro in caso di controversie internazionali, riceve dal Governo la patente di corsa e, battendo bandiera nazionale, si attiva per azioni di disturbo e attacco alle imbarcazioni nemiche. Mancando invece ogni qual si voglia autorizzazione, mancando anche uno stato di guerra, chi attua azioni di predazione, è chiamato pirata.

Tra i pirati che maggiormente hanno imperversato sulle coste e contro le navi italiane ricordiamo i Saraceni ed i Barberi, insediati nel Mediterraneo occidentale, ed i Turchi, in quello orientale. Prima di entrare nella fattispecie dell’attività predatoria nel periodo di Sisto V, partiamo dall’assunto che dal VIII secolo d.C., la spinta espansionistica dei popoli  islamici hanno fatto si che i papi che si sono susseguiti abbiano dovuto attivarsi e creare le forze pontificie di mare.

Quando c’è la consapevolezza che il Mare Mediterraneo rischi di diventare “un mare turco”, la Spagna di Carlo V e di Filippo II, si impegna per terra e per mare contro questa minaccia.

 Tra successi e sconfitte, le navi della Lega Santa riportano la vittoria a Lepanto nel 1571. Dopo quella giornata, indubbiamente gloriosa, brillanti successi vengono conseguiti anche in altre circostanze, ma la supremazia mediterranea è una questione che in quei secoli non sfugge dalle mani degli Spagnoli e dei Turchi e, nei successivi, degl’Inglesi, degli Olandesi e dei Francesi.

Sisto V

Accingendoci a parlare di Sisto v, citiamo una frase dello scrittore Guglielmotti che ci attestano con quanta serietà e responsabilità papa Sisto attendesse alle sorti della marina pontificia.“Forse taluno, leggendo le tante applicazioni di Papa Sisto alla marina, sarà tentato di pensare che egli non attendesse ad altro; o che di soverchio abbondi il discorso mio. Né il primo, né il secondo, signori miei. Né egli mancava. Né io esagero”[26].Non gli sarebbero certo mancati i fondi per un’azione del genere: più di 4 milioni di scudi erano custoditi in Castel S. Angelo per tale scopo.

galeraIn breve tempo, il numero delle galere costruite da 10 passa a 22. Nel 1588 Sisto V fa coniare una medaglia per ricordare l’entrata in servizio delle prime cinque galere.

Di tutte le galere ricordiamo la capitana San Bonaventura, costruita a Roma nello scalo della Marmorata, già sede di una fiorente attività navale ai tempi dei romani. Il varo dell’unità è previsto per il 2 aprile 1588 ma, benedetta e battezzata quel mattino, al pomeriggio la galera deviando la corsa sulla destra, abbatte la travatura del molo riportando danni. Il Guglielmotti commenta: “Cinque morti, molti contusi, tutti spaventati. Più d’ogni altro afflitto Papa Sisto si chiuse in camera silenzioso ed inquieto, senza dare udienza a niuno per tre giorni”[28].

Una missione di successo si ebbe anche con il nuovo comandante Grimaldi; la squadra nelle vicinanze del golfo di La Spezia sorprende tre galere barbaresche, le cattura e le conduce a Genova, dove viene accolta con grande onore. La notizia dell’impresa giunge a Roma quando le condizioni di salute del papa sono peggiorate. Egli stesso vuole comunicare il successo ai cardinali il 13 agosto. Il 27 di quel mese Sisto V muore.

L’azione del papa Sisto contro il brigantaggio di mare, ha presentato le stesse difficoltà iniziali della lotta contro quello di terra. Buono fu il risultato delle attività svolte in campo navale da questo pontefice, cui dobbiamo riconoscere l’appellativo di sommo.  I principi che ispirarono l’azione di papa Peretti furono innovativi e riformatori ma anche rispettosi delle tradizioni; quindi la costituzione della squadra permanente della Marina Romana discende dall’inquadramento che egli aveva dato all’amministrazione temporale dello stato.

La flotta di Sisto sopravviverà vent’anni al suo fondatore, prima di subire cambiamenti tali che, pur non cancellando di fatto la marina pontificia, ne stravolgono il concetto informatore.

Affermiamo senza dubbio, che Sisto V, pur senza ottenere fantastici successi, consegue sul mare risultati sicuramente positivi e ciò grazie ai criteri pragmatici con cui affronta il problema della difesa del traffico e delle coste.

Criteri che troviamo alla base di tutte le sue iniziative e decisioni nei vari campi del potere temporale[30] Ed ancora, un Avviso del 18 febbraio 1587, riportava: “Si va dicendo, che ‘l Pontefice ha un pensiero gloriosissimo di volere, cioè redimere di mano del Turco il Santo Sepolcro et servirsi in questo traffico delli più omnipotenti mezzi, senza riguardo di qual si voglia somma di danari, che la Porta di Costantinopoli adimandi, et di quali si voglia eccessiva spesa, che ci vada per havere quel felicissimo sasso, che fu arca del nostro Redentore[32]

Queste parole che ci danno un indovinato commento sugli avvenimenti posteriori a Lepanto,  spiegherebbero come il papa   dovesse contentarsi di singole imprese. Assieme a questo, tornarono in campo nell'animo suo gli antichi ideali di una guerra contro i barbari dell'Africa del nord.

Progetti di simil natura non giunsero però graditi a Filippo II. Di fronte alla grande ten­sione con l'Inghilterra, questi non voleva farsi trascinare ad altre imprese, e credeva di dover mantenere relazioni amiche­voli anche con la Turchia[34].Ma non si fermò qui, sognò anche la conquista dell’Egitto e ne parlò all’ambasciatore di Venezia [36] e gli mostrò un disegno del santuario dove intendeva collocarlo ma osservando che, in verità, egli non intendeva acquistare ma non voleva che si divulgasse l’informazione che egli volesse invece con­quistare il Santo Sepolcro con la forza, “Ai nostri tempi - egli aggiunse - ciò è impossibile; e temeremmo di commettere un peccato, qualora noi volessimo portare a Roma il Sepolcro, poiché fu volontà del Signore di nascere in Bethlem ».

Chiaramente, il papa si mostrava preoccupato per l’incolumità dei pellegrini troppo spesso vessati dai Turchi, e asserisce che il re di Spagna possiede i mezzi necessari per raggiungere lo scopo, ma, asserisce sconsolato,  non ne ha l’intenzione.

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[2] Scrive il Tempesti, che questi furono “trinciati” a furia di sciabolate, ma non in modo che le ferite non risultassero mortali, ma tali da restare perennemente nel loro corpo.

[4] Archivio del Gonfalone Mazzo G. n° 1

[6] Archivio dell’Archiconfraternita del Gonfalone, Statuto, p. 161, par. 6.

[8] ASV, Arciconfraternita del Gonfalone, libri diversi Y. ff. 5v. e 6 ; mazzo H, ff. 584-594v.; cfr. Ciro Manca, Un Decano d’Ales redentore di schiavi cristiani in Barberia sul finire del Cinquecento, in: Diocesi di Ales - Usellus - Terralba. Aspetti e valori, Editrice Sarda Fossataro, Cagliari, p. 290.

[10] ASV, Gonf., Mazzo G, ff. 112, 114.

[12] ASV, Archiconfraternita del Gonfalone, mazzo G. f. 116.

[14] ASV, Archiconfraternita del Gonfalone, Istrumenti Libro 5, fasc. 23, ff. 1-4v.; mazzo g. ff.  161,268, 281.mazzo G. f. 117.

[16] ASV, Archiconfraternita del Gonfalone, mazzo G. f. 139 v.

[18] ASV, Archiconfraternita del Gonfalone, Mazzo G, ff. 167-170v, 175-183, 187-188v, 191-192v, 199-201, 212-214v, 219-228v, 233-276v. L. Ruggeri, Op. cit,I padri Dionigi da Piacenza ed Arcangelo da Rimini, ultimi redentori del Gonfalone, lasciarono Algeri due anni e mezzo più tardi, dopo avere superato aspri contrasti tanto col governo locale quanto coi guardiani della Compagnia romana, approdando finalmente a Portofino il 26 ottobre 1589 ( ibidem, ff. 281, 281v.).

[20] ASV, Archiconfraternita del Gonfalone, Mazzo G, ff. 142-143v, 146-149v, 191-192v, 199-201.

[22] ASV, Archiconfraternita del Gonfalone, Mazzo G, ff. 189, 189v.

[24] ) Ciro Manca, Op. cit., p. 301: “Stando alla sommaria biografia data dal PINTUS, loc. cit., Giovanni Sanna si sarebbe segnalato, durante i vent'anni del suo vescovato, per la virtù personale, la magnificenza e la generosità nelle opere pubbliche. In particolare, all'iniziativa del vescovo si attribuisce l'erezione della cattedrale di Castelsardo nonché la fondazione di due case gesuitiche, a Cagliari e Sassari, alla quale fondazione egli contribuì con 8.000 ducati e 25.000 scudi sardi.

[26] A. GUGLIELMOTTI, La squadra permanente …, cit., pp. 26-27. Una conferma indiretta del programma sistino viene fornita da quanto riportato in F. PISTOLESI, Sixtus Quintus Album, Roma 1921, pp. 29-30: “Il Pontefice avrebbe voluto una crociata contro i Turchi e vagheggiò spesso dei colpi di mano contro di loro; ma la realtà della situazione lo richiamava all’Europa, dove occorreva lottare contro l’eresia invadente e salvare, se ancora possibile, il regno d’Inghilterra.”

[28] A. GUGLIELMOTTI, op. cit., pp 55-56. Il fatto di Gaeta rientra tra i purtroppo tanto frequenti episodi d’intolleranza esasperata nel pretendere il rispetto delle precedenze e degli onori, per cui vedasi anche M. NANI MOCENIGO, Storia della Marina Veneziana da Lepanto alla caduta della Repubblica, Ufficio storico della R. Marina Roma 1935, pp. 79-83.

[30] Pietro Andrea Galli, Notizie intorno alla vera origine, patria, nascita del Sommo Pontefice Sisto V (…),  In Ripatransone per Giuseppe Valenti Stamp. Vescovile e C. con licenza dé Superiori. MDCCLIV, p. 120.

[32] BROWN, Cal. of State Papers Venet. 1581-91 p. 265 in: LUDOVICO Barone VON PASTOR,Storia dei Papi…p. 393.

[34] Cfr. PRIULI p. 317 e De HÜBNER II, 475 s.

[36] Vedi la Relazione di Gritti del 20 agosto 1588 presso HÜBNER I, 389 s. Secondo la * Relazione di Gritti del 13 giugno 1588, il papa parlava allora d'un viaggio a Loreto e Padova «et soggiunse che vorria far anco un altro  viaggio al santissimo sepolcro » (Archivio di Stato in Venezia). Allora Sisto V inviò dei sussidi ai Francescani in Gerusalemme; v. ARTAUD DE MONTOR, Hist.   des  Souv. Pontifes IV, Parigi 1847, 478.

Vedi nell'Appendice  Nr. 44 la * Relazione di Brumani del 27 agosto 1588, Archivio Gonzaga in Mantova.

[37] Vedi la Relazione di Gritti del 20 agosto 1588 presso HÜBNER I, 389 s. Secondo la * Relazione di Gritti del 13 giugno 1588, il papa parlava allora d'un viaggio a Loreto e Padova «et soggiunse che vorria far anco un altro  viaggio al santissimo sepolcro » (Archivio di Stato in Venezia). Allora Sisto V inviò dei sussidi ai Francescani in Gerusalemme; v. ARTAUD DE MONTOR, Hist.   des  Souv. Pontifes IV, Parigi 1847, 478.

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SOMMARIO

Premessa

CAPITOLO

Espansionismo turco………………………………………………………………………….….

Cronaca di un’incursione………………………………………………………………………...

Condizione degli schiavi…………………………………………………………………………

L’opera di redenzione e L’Archiconfraternita del Gonfalone……………………………………

Mons. Giovanni Sanna di Santu Lussurgiu………………………………………………………

Prima missione ad AlgeriGli schiavi ricevuti da Sisto V…………………………………….…..

Seconda missione ad Algeri………………………………………………………………………

CAPITOLO II

La flotta navale di papa Sisto V

Sisto V il Gran Sultano e il sepolcro di Cristo……………………………………………………

Progetto di Sisto V per una nuova crociata……………………………………………………….

Provo piacere a essere qui di persona piuttosto che in via telematica com’è avvenuto per le precedenti edizioni de Il Papa ‘nSisto. Una manifestazione che ha preso il via nel 2010, in un momento particolarmente triste e difficile della mia vita per la perdita di mia moglie.

Per me che l’ho seguita dalla Sardegna si è trattata di una vera e propria terapia a distanza, sollecitatami dalle cure amorevoli e dalla vicinanza degli amici il dott. Aniello Gatta di Rocca d’Evandro e il prof. Claudio Lubrano presidente della pro loco di Sant’Agata, che mi hanno rivolto in questi anni e che ancora oggi ringrazio di cuore.

Provo anche tanta soddisfazione non solo perché è sempre una piacevole visitare e trattenersi nella bella cittadina di Sant’Agata de’ Goti, ma anche perché l’appuntamento annuale con Il Papa ‘nSisto nel corso di questi anni si è imposto all’attenzione del mondo accademico e dei cultori delle cose sistine in una dimensione nazionale, e se vi sarà la costanza di proseguire questo cammino anche negli anni a venire, si potrà giungere ad un dimensione  internazionale, dal momento che è lo stesso personaggio che ce lo impone.

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La politica estera di Sisto V verso il nord Africa e il Medioriente, sul finire del secolo XVI.

La mia trattazione verterà sulle difficili relazioni che il nostro grande pontefice si trovò ad affrontare nell’immediatezza della sua acclamazione al soglio di Pietro. Paleremo di rapporti annosi e particolarmente difficili tra l’Occidente cristiano e l’Oriente mussulmano, tra Roma e Costantinopoli l’attuale Istambul.

schiavi da sistoV

IL VESCOVO LUSSURGESE GIOVANNI SANNA PORCU, QUESTO ILLUSTRE SCONOSCIUTO (1529-1607)

La grandezza della figura e l'opera di Mons. Giovanni Sanna-Porcu di Santu Lussurgiu (1529 - 1607) è straordinaria, ma purtroppo per la Sardegna e non solo per essa, ancora poco conosciuta.

La sua vita esemplare, il generoso apostolato nella diocesi di Ampurias Civita dove provvide all'edificazione della cattedrale di Castel Aragonese, oggi Castelsardo (SS), le opere pubbliche e artistiche realizzate in Sardegna col suo determinante contributo, la fondazione delle case del noviziato gesuitico di Cagliari e Sassari e Busachi, i ricchi arredi sacri donati alla parrocchiale di Santu Lussurgiu sono opere tutte acclarate dalla storia. Ma ancora più importanti sono le sue missioni diplomatiche condotte ad Algeri durante i pontificati di Gregorio XIII e Sisto V con l'Archiconfraternita del Gonfalone, che consentirono a centinaia di schiavi cristiani in mano dei turchi di rientrare in patria, e tra questi numerosi sardi riscattati a sue spese,

Leggi tutto: Il vescovo sardo Giovanni Sanna - Porcu, questo illustre e benemerito sconosciuto.

Sulle tracce di Mons. Giovanni Sanna-Porcu di Santu Lussurgiu

A distanza di quasi cinque secoli, ripercorrere i luoghi e ricercare le tracce del passaggio terreno, e le opere materiali e spirituali, lasciateci da un grande diplomatico quale fu il Vescovo Giovanni Sanna-Porcu di Santu Lussurgiu (1529-1607), anche se impresa non semplice risulterà fondamentale e straordinariamente illuminante per comprendere anche i tempi difficili che viviamo, soprattutto in riferimento al rapporto tra Occidente e Oriente, tra cristiani e mussulmani, fortemente incrinato, oggi come ieri. 

Di questo grande prelato ben poco è stato scritto, nonostante i suoi indubbi meriti e la disponibilità di numerose fonti manoscritte inedite che lo riguardano; ma non è certo questa la sede per approfondire la parte storiografica del personaggio.  In questo scritto, invece, ci soffermeremo con più dovizia di particolari sulle località della Sardegna nelle quali egli ha vissuto e operato più proficuamente, con l'auspicio di estendere le ricerche anche oltre confine.

1. Santu Lussurgiu, paese natale.

porcu mia foto

Santu Lussurgiu conserva poche tracce dell' illustre concittadino.
Egli nacque nel 1529 da Don Leonardo Porcu e Donna Grazia Sanna. 
A Santu Lussurgiu, come nel resto della Sardegna, i cognomi Porcu (o francesizzato Porcù) e Sanna (zanna) sono assai diffusi e ciò  non ha consentito, sinora, la ricostruzione di una linea genealogica coerente e diretta.
Segnaliamo però una lettera autografa inviata da Chieri (TO) il 25.1.1935 al vescovo della Diocesi di Bosa Nicolò Frazioli scritta dal canonico Liberatangelo Porcu,  nato a Santu Lussurgiuche il 23 febbraio 1873 da Pietro Paolo e Maria Francesca Sechi. 
La lettera è molto interessante perché oltre l'iscrizione in memoria di Mons. Giovanni Sanna-Porcu che propone di apporre all’ingresso della Chiesa Parrocchiale di Santu Lussurgiu, egli si dichiara   "civi et sanguine propinquo" del grande prelato.

Azzardiamo quindi l'ipotesi - assolutamente non confortata da documenti - che la casa paterna di Mons. Giovanni Sanna - Porcu possa individuarsi in quella appartenuta, in tempi più recenti, a Donna Caterina Porcu, recentemente ristrutturata per ospitare la sede della Fondazione Hymnos (8 dicembre 2014).
Vale la pena soffermarsi e visitare l'edificio che è inserito nello splendido scenario del centro storico di Santu Lussurgiu e che ci permette di fare la conoscenza di Giacomo Baroffio, affabile direttore scientifico della Biblioteca e del Centro ricerche Hymnos, la rete territoriale che si occupa principalmente di creare un sistema integrato di relazioni tra le comunità che hanno mantenuto vive le tradizioni dei canti liturgici e paraliturgici e più in generale alla polivocalità. 
Nell'edificio ha sede anche la Biblioteca Hymnos, che conta circa 12000 volumi e numerose opere pregiate di etnomusicologia riguardanti principalmente l'ebraismo, la storia della Chiesa e delle comunità cristiane in Europa, la storia della liturgia e della sua musica, le fonti manoscritte liturgiche prodotte e/o utilizzate in Italia, la storia della musica e del teatro medievale.

2. La chiesa di Santa Croce

DSC02920Altre due tracce riguardano Mons. Sanna-Porcu nel suo paese natale.

Una la troviamo nella chiesetta di Santa Croce, la più antica di Santu Lussurgiu. 
Sopra all'attuale ingresso, infatti, vi è ancora lo stemma araldico dell'Archiconfraternita del Gonfalone, per la quale Mons. Giovanni Sanna-Porcu condusse a termine con successo due missioni ad Algeri: una disposta da Papa Gregorio XIII nel 1584, l'altra nel 1587 voluta da Papa Sisto V. In antrambe Mons. Sanna riscattò numerosi schiavi cristiani, molti dei quali a sue spese.

La seconda traccia è l'epigrafe che riporta il suo nome e che in origine era collocata nella predetta chiesa di S. Croce e sussessivamente traslata nella parrocchiale di Santu Lussurgiu dedicata a San Pietro apostolo.

 

epigrafe sanna

 

Nell'epigrafe riportata a fianco si legge che nella Chiesa di S. Croce di Santulussurgiu, il vescovo Joanne Sanna domo Luxorien il 24 febbraio del 1593 consacrava Don Antonio Atzori, Vescovo di Bosa. Assistenti, Mons. Don Andrea Baccalar  Vescovo di Alghero e Mons. Fra Clemente, Carmelitano da Valenza, Vescovo di Ales,

Anche il Fara venne consacrato Vescovo di Bosa,  da Mons.  Don  Giovanni Sanna nel Duomo di San Nicolò di Sassari, ufficiante l'Arcivescovo Don Alfonso De Lorca.

 

 

 

 

Piazza Mons. Giovanni Sanna Porcu

Piazza Mons. Giovanni Sanna-Porcu
Un'altra traccia che è recentissima, ma molto importante e significativa, è quella che l'Amministrazione comunale, guidata dal sindaco Emilio Chessa, alla scadenza del proprio mandato, ha voluto lasciare di sé intitolando la piazza principale di Santu Lussurgiu all'illustre e benemerito concittadino Mons. Don Giovanni Sanna Porcu (Delibera del Comune di Santu Lussurgiu n. 33 del 22 aprile 2015). 
La precedente denominazione era quella di «piazza Mercato»: un significato sicuramente meno certo e rilevante dal punto di vista storico (la presenza del mercato è documentata solo a partire dal secolo scorso). 
La piazza è situata nel centro storico cittadino, vicinissima alla chiesetta Santa Croce, antica sede dell'Archiconfraternita del Gonfalone; è adiacente all' ex Convento dei Frati Minori Osservanti, edificato nel 1478 unitamente alla chiesa coeva di Santa Maria degli Angeli. Infine, il grado che Mons. Giovanni Sanna-Porcu ebbe nella gerarchia ecclesiastica di fine Cinquecento ed i suoi grandi meriti nella diplomazia mediorientale della Chiesa di Roma durante i pontificati di Gregorio XIII (1584) e di Papa Sisto V (1587), aggiungono grande valore evocativo a questa parte del paese, che è il nucleo più antico del centro storico cittadino, rendendola omogenea e attinente nel significato spirituale e architettonico degli edifici e luoghi di culto che v'insistono. 

Decano di Ales

chiesa s pietro ales

Mons. Giovanni Sanna-Porcu diviene decano della chiesa usellense presso la Cattedrale di Ales tra il 1577 e il 1586, prima di essere nominato vescovo di Ampurias e Civita.

Qui svolse il ministero di arciprete, avendo in carico anche la parrocchia di Sardara.

Ales è una ridente cittadina che sorge alle pendici del Monte Arci nella Marmilla, di cui è il centro più importante. Sede vescovile dal 1182, nella parte alta del centro abitato sorge il Palazzo Vescovile, il Seminario, l'oratorio della Madonna del Rosario e la cattedrale di San Pietro. 

La Cattedrale è un tipico esempio di stile barocco sardo, eretta nel XVII sec. su disegno del genovese Domenico Spotorno, sulle rovine della precedente chiesa del XII secolo. La facciata è racchiusa tra due torri campanarie, coperte da cupole in ceramica. 

L'interno, a una navata, è ricca di stucchi e marmi con interessanti seggi lignei seicenteschi nel coro. La sagrestia dei canonici, arredata con pregevoli mobili intagliati, conserva un crocifisso ligneo dipinto del XIV sec. e pregevoli paramenti.

Accanto alla cattedrale di San Pietro sorge l'Archivio Storico della Curia e il Museo di Arte Sacra che custodisce un prezioso e ricco corredo liturgico costituito da paramenti e arredi sacri in argento, da dipinti a tempera e olio e un prezioso reliquiario a tempietto di stile tardo gotico. 

Tra le cose irrinunciabili da visitare la casa natale del pensatore e politico sardo più illustre del Novecento, Antonio Gramsci, a cui è stata dedicata anche la piazza progettata e realizzata dallo scultore Gio Pomodoro.

 

 Vescovo di Ampurias e Civita

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Mons. Giovanni Sanna-Porcu, dopo le missioni di redenzione degli schiavi in Algeria, viene nominato vescovo di Ampurias e Civita da Papa Sisto V nel 1586. Qui mantenne il ministero episcopale fino alla morte nel 1607, amministrando con particolare cura le istanze sociali e i bisogni spirituali dei fedeli della diocesi, seguendo i dettami del Concilio di Trento.

Castelsardo è un antico borgo medioevale tra i più belli e suggestivi della Sardegna. Conserva ancora intatto il nucleo abitato attorno al Castello medioevale, fatto erigere dal nobile casato genovese dei Doria. Pregevole la concattedrale intitolata a Sant'Antonio, voluta da Mons. Sanna, costruita sull'impianto della precedente chiesa romanica. La chiesa sorge sulle fortificazioni di Castelsardo ed è affiancata da un'imponente torre campanaria, realizzata in blocchi di trachite, coperta da una cupola in maiolica. L'interno, a una navata, conserva arredi lignei del Seicento-Settecento e la pala d'altare del Maestro di Castelsardo che raffigura San Michele Arcangelo e la Trinità. 
Il Castello medioevale si erge a dominare il nucleo antico del borgo, e dalla sua sommità si abbraccia un panorama mozzafiato dal golfo dell'Asinara alle coste galluresi, e nelle giornate favorevoli sono visibili i monti della Corsica. Il recente restauro ha ripristinato antichi ambienti medioevali, la torre e le stanze con volte a crociera che oggi ospitano un museo dell'artigianato sardo.

Cagliari e Sassari, fondazione delle case del noviziato gesuitico

stemma sanna s.michele ca

Cagliari
Così scriveva nel 1915 il p. Alessandro MONTI1 a proposito delle donazioni che Mons. Giovanni Sanna - Porcu, fece per la fondazione e il mantenimento delle Case del noviziato gesuitico di Cagliari e Sassari: « È proprio da deplorare che dell'una e dell'altra fondazione non si abbia che la pura e semplice notizia, fornitaci dal Vico, il quale, quanto al noviziato [di Cagliari ndr.], scrisse "Perfezionò l'opera nel 1595 [...] dotandola di L. 20000, che oggi gode". E aggiungeva: « Nella tavoletta 2  [...] che pendeva nella sacrestia di S. Michele e conteneva i nomi dei benefattori del Noviziato, quello di Mons. Sanna figura appunto per il primo, ed esso solo porta la qualifica di fondatore ».3

 

 

pianta gesuiti ssSassari

Mons. Sanna poco dopo si fece pure fondatore a Sassari della Casa Professa di Gesù Maria.

Il citato p. Alessandro MONTI riferisce che: « ospitando nel nuovo edifizio, come soleva, forse in occasione di esercizi, spirituali, Mons. Giovanni Sanna, Vescovo di Ampurias, affezionatissimo alla Compagnia, e ragionando di essa fabbrica col P. Provinciale Fernando Ponce di Leon, l’ esimio prelato si offrì a dare, per ultimarla, 25000 scudi4, a patto che se ne facesse Casa Professa ed egli ne fosse riconosciuto come fondatore. Così narra le cose il succitato Vico, aggiungendo che il P. Generàle Claudio Aquaviva, cui la, cosa fu rappresentata, accettò il genere e le condizioni di quella fondazione.. Il certo si è che a Sassari sorse questa Casa Professiti, che si chiamò di Gesù Maria, dal titolare della sua splendida chiesa ».

 

1 MONTI A., La Compagnia di Gesù...op. cit, 321, 322.
2 ARCHIVIO DI STATO TORINO, 1. c. Cat. 14, M, 4, doc. O.
3 Vedi in Appendice 1
4 Per l'entita della somma donata, Raimondo Turtas , Op. cit., p. 70 , nota 137, (citando il FG., 205/1590, busta 3, doc. 173 dell'Archivium Historicum Societatis Iesu), precisa che la somma effettivamente donata da Mons. Sanna fu di 24000 scudi e non 25000 come indicata da p. A. Monti. 

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Stemma araldico di Mons. Giovanni Sanna Porcu di Santu Lussurrgiu (1529 - 1607) su legno d'acero (opera di Giomaria Cambera). 

 

 

 

 

vasetti oli sacri sanna

 

Originale del Vasetto degli olii sacri appartenuto a  mons. Giovanni Sanna Porcu e conservato presso la Sacrestia di Castelsardo. Nel coperchio è riportato lo stemma araldico del grande prelato (foto eseguita per gentile concessione del Parroco della cattedrale di Castelsardo). 

 

 

stemma sannaMons. Giovanni Sanna - Porcu di Santu Lussurgiu (ricostruzione digitale).

Scudo ancile, all'albero attraversato da un cinghiale passante. Ornamenti esteriori di vescovo.
(Blasonatura di Mauro Valerio Capecci).

 

 

 

 

stemma sanna1Disegno di Francesco Pintus
Stemma araldico di Mons. Giovanni Sanna di Santu Lussurgiu, Redentore di schiavi, Decano del Capitolo di Ales e dal 1586 Vescovo di Ampurias e Civita. Stemma recuperato graficamente dal disegno di Enrico Costa e riproposto in occasione del I Convegno di studi svoltosi a Santu Lussugiu il 18.12.1999 su La figura e le opere di un vescovo lussurgese nel Rinascimento italiano, Santu Lussurgiu.

 

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Disegno di Enrico Costa con annotazione autografa dell'autore: Stemma araldico di Gio. Sanna?' presente sulla porta della Chiesa di S. Caterina in Sassari.
In: Enrico Costa, Archivio pittorico della Città di Sassari, a cura di E. Espa, Editrice Chiarella. 

 

 

 

 

 

P10100061999 (18 DICEMBRE) Presso l’auditorium degli Istituti Superiori “Carta Meloni”, organizzato dalla Pro Loco di Santu Lussurgiu, si tiene il 1° Convegno di Studi su Mons. Don Giovanni Sanna Porcu. La figura e le opere di un vescovo lussurgese nel Rinascimento Italiano. Relatori: Angelo Rundine (Corsari, barbareschi, schiavi e rinnegati in Sardegna nei secoli XV e XVI), Umberto Zucca (Il prete lussurgese Giovanni Sanna Porcu una delle figure di “redentori” e missionari ad Algeri nel ventennio 1584 —1603), Raimondo Turtas (L’attività religiosa e sociale di Mons. Don. Giovanni Sanna Porcu nella Diocesi di Ampurias e Civita), Umberto Guerra, coordinatore dei lavori

 

 

 

 

 

 

locandina fronte

Monsignor Don Giovanni Sanna-Porcu è importante non solo per la storia di Santu Lussurili, ma per l'intera storia della Sardegna in quanto Decano di Ales, Vescovo di Ampurias e Civita e capo delegazione di numerose missioni promosse dalla Compagnia del Gonfalone di Roma nelle reggenze barbaresche del nord Africa per la liberazione degli schiavi, per molti dei quali fu lo stesso prelato a provvedere personalmente al pagamento del riscatto.

Monsignor Sanna-Porcu, poi, oltre ad essere protagonista, unitamente al Papa Sisto V, del rinnovamento della Chiesa italiana nel XVI secolo, si adoperò per la Sardegna con straordinari interventi molti dei quali a sue spese, realizzando tra l'altro duomo di Castelsardo, un ponte sul fiume Cogninas, contribuendo generosamente alla edificazione di due case del noviziato gesuitico (Sassari e Cagliari) e dotando di ricchi arredi sacri la Comunità religiosa di Santu Lussurgiu.
Nell'ambito del Giubileo 2000, il convegno di studi sulla figura e l'opera di Monsignor Don Giovanni Sanna-Porcu, potrà costituire la sintesi delle iniziative in programma nel nostro paese per celebrare il Fine Millennio.

 

 

 

 

 

locandina internoPROGRAMMA

Santu Lussurgiu 18 DICEMBRE 1999

Auditorium Istituti Superiori "Carta-Meloni"

CONVEGNO Inizio ore 10,30

Angelo RUNDINE
Corsari, barbareschi, schiavi e rinnegati in Sardegna nei secoli XV e XVI

Umberto ZUCCA
Il prete lussurgese Giovanni Sanna Porcu una delle figure di "redentori" e missionari ad Algeri nel ventennio 1584-1603

Raimondo TURTAS
L'attività religiosa e sociale di Mons. Don Giovanni Sanna-Porcu nella Diocesi di Ampurias e Civita

La S. V. è invitata a partecipare

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