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ARTE E STORIA LUNGO IL FIUME ASO

fiume aso stefania cespi2Il percorso tocca il Lago di Gerosa e quattro siti di grande interesse storico, artistico e ambientale della montagna picena. Li troviamo percorrendo il fiume Aso verso la sorgente. Questi posti, un tempo frequentati dalla popolazione montana, costruiti sui percorsi dei pellegrini, assumono una valenza naturalistica, non solo per il fatto di essere stati costruiti immersi nella natura, ma perché quest’ultima, dopo l’abbandono da parte dell’uomo, sembra volerli in qualche modo inglobare al fine di riappropriarsene.  


fiume aso stefania cespi1Il fiume Aso

Secondo Plinio il Vecchio il nostro fiume prese il nome dal pelasgico Re Asi. Altri documenti narrano invece secoli di attività sulle sponde di questo fiume, dove le gualchiere, i mulini, le centraline idroelettriche, segnavano la storia di questa parte del Piceno. Ci narrano anche delle donne in ginocchio sulle pietre e chine sull’acqua, a scandire il tempo e le stagioni con la loro fatica e con il loro canto.

Il fiume Aso per 58 Chilometri attraversa tanti comuni fino a sfociare a Pedaso, la cittadina  sul mare Adriatico, che ne prende il toponimo.

La sua sorgente si trova a Foce, sotto il monte Vettore, a 945 m.s.l.m.

Il fiume è a carattere torrentizio e gli affluenti degni di nota sono l’Indaco e il Cinante. A monte di Comunanza la sua acqua è raccolta dall’invaso creato dalla diga di Gerosa usata per irrigazione delle coltivazioni della Valle dell’Aso, e per due centraline idroelettriche.

Il bacino fluviale viene distinto in tre sezioni: Montana, fino a Comunanza; collinare fino ad Ortezzano; litoranea da qui al mare.
Nel tratto montano passa incassato su terreni arenario-marnose, attraversa boschi di roverella, acero montano, leccio, castagno, e più in alto Fagus silvatica (faggio).
Nel suo percorso il fiume Aso spesso costituisce il confine amministrativo tra i comuni, tranne nel caso di Comunanza che ne è attraversata e divisa nettamente tra vecchio incasato e le nuove costruzioni.


cossininoCossinino di Comunanza ( 730 ms.l.m.)

Si parte da Ascoli Piceno direzione Comunanza; un chilometro dopo l’abitato di Roccafluvione all’altezza del tunnel, si svolta a destra, direzione Polverina, la strada che percorriamo è la antica Salaria Gallica. All’altezza di Croce di Casale, sulla destra, prendiamo una strada tortuosa, immersa nella vegetazione di boschi di castagno, cerro, roverella, leccio, acero montano, con aperture vertiginose verso le buie vallate, dove nascono funghi porcini (cantharellus cibarius) e il tartufo nero, bianco ed estivo scorzone (Tuber aestivum).
Oltre il cartello stradale che indica Cossinino, con il possente Monte Vettore sullo sfondo, la strada finisce. Oggi Cossinino è un centro abbandonato, depredato da trafugatori casuali e degradato dall’indifferenza di molti. Qui la natura sta lentamente riappropriandosi del suo territorio: i rovi avanzano tra le macerie e attraverso le porte divelte. 

Giunti nel centro abitato, l'impressione che si ha è quella di trovarsi davanti ad un libro di storia.
Girando tra le macerie, si possono ancora vedere maschere arcaiche, una finestra con cornice cinquecentesca e, circondato da quello che resta delle costruzioni povere costruitegli intorno e addossate, spicca un edificio realizzato in blocchi di arenaria squadrata e finemente rifinita con portali e fregi di varie epoche che dimostrano il suo importante passato.
Nel lato S.S.O si può notare un architrave con tre importanti simboli scolpiti (quello del cavaliere, del chierico e quello dell’Ordine) che ci fanno ipotizzare la presenza di una Commenda dell’Ordine dei Templari. Poco più a sinistra è visibile una feritoia adattata in epoche successive fino all’ archibugio. Nel lato E.S.E., al di sotto del livello del suolo, si apre una porta ad arco che immette in grotte scavate nel tufo; sempre nel lato E.S.E., ma più a sinistra rispetto alla precedente, si apre un magnifico portale con architrave decorato da simboli e iscrizione: due chiavi decussate, che si presentano però rovesciate, a rappresentare l’ingresso di un luogo “non dipendente da Roma”; intorno ad esse quattro sfere ed ai lati rose romboidali a quattro petali inscritte in un cerchio, due per lato, il tutto incorniciato da intreccio fitomorfo. Nella parte inferiore vi è una iscrizione con elementi italici proto-piceni. La paternità dell’iscrizione è attribuita ai Templari come pure gli altri simboli presenti all’interno dell’edificio.


lago gerosa 2Lago di Gerosa

Lasciato Cossinino, si segue la strada in discesa che porta a Illice, frazione di Comunanza e a Gerosa, frazione che ha dato il nome all’invaso di Comunanza, chiamato Lago di Gerosa.

Realizzato nel 1983 per uso irriguo della valle Dell’Aso, la grande diga è presente in località Gerosa sovrastante una piccola centrale idroelettrica a funzionamento discontinuo.

Il lago contiene 12 milioni di metri cubi d’acqua proveniente dal fiume Aso e da altri torrenti. Se la diga è costruita nel comune di Comunanza, l’invaso è invece diviso tra i comuni di Montefortino, Montemonaco e Comunanza.

Nonostante si tratti di un bacino artificiale, esso si fonde perfettamente con l’ambiente circostante. La vegetazione che fa da corona al lago, un tempo costituita principalmente di castagno, cerro, carpino nero, orniello, e roverella, ha subito una trasformazione, sia per mano dell’uomo che ha piantumato in prossimità della riva file diritte di improbabili abeti, sia per il nuovo microclima che ha visto nascere una bassa vegetazione di tipo lacustre.
Una strada percorre il lago in tutto il suo perimetro; tra gli anfratti ed i rovi sono presenti numerose specie di uccelli (passero, codirosso, ghiandaia), scoiattoli, lepri, volpi e il cinghiale. Nelle acque del lago vivono tinche e trote fario.
Il lago è Frequentato tutto l’anno da pescatori e nel periodo estivo da famiglie e gruppi di giovani per scampagnate ed elioterapia. Sono vivamente sconsigliate le attività natatorie.


affreschi chiesa san giorgiIsola di Montemonaco con la Chiesa di S. Giorgio

È proprio attraversando la strada che costeggia il grande lago che troviamo la frazione Isola dove le case realizzate con arenaria gialla sembrano fondersi con la natura, possiamo ammirare la Chiesa di S. Giorgio all’Isola, che si affaccia sull’ultima parte del lago.

L'antico edificio, soggetto all’abbandono e all’umidità, si presenta solitario, con il suo possente campanile che svetta nella facciata, al centro di una penisola attorniato da vegetazione autoctona di latifoglie.

Fu possesso farfense per tutto il Medio Evo. Nel 996 i Monaci dell’Abbazia di Farfa stabilitisi a S. Vittoria in Matenano, cedettero la deruta chiesa di S. Giorgio a tre presbiteri.

La struttura originaria più antica è l’abside: si può notare la piccola monofora a doppio strombo, e lungo il muro dei loggiati successivamente murati. La Chiesa nel XIV secolo fu una prepositura. Il presbitero D. Giovanni de Leonardis diede inizio ai lavori di restauro della chiesa nel 1535 così come indicato sul portale d'ingresso.

L’Impianto originario si presentava ad una navata. Successivamente, alla facciata fu addossata la torre campanaria e fatta costruire una seconda navata sul lato sinistro e la sagrestia su quello destro.

Nel 1573, sulla torre già esistente, il visitatore Apostolico Mons. Maremonti, fece costruire l’impianto a vela in cui trovano alloggio due campane.
Si accede alla chiesa attraverso il criptoportico alla base del campanile.

Nella calotta absidale, possiamo ammirare degli affreschi bizantini dell'XI-XII secolo raffiguranti, il Deesis, ovvero “la grande preghiera” con il Cristo Pantocrator, alla destra la Madonna, e alla sinistra S. Giovanni Battista e nel tamburo una teoria di apostoli.

Vicino alla monofora centrale appaiono: S. Pietro, S.Paolo ed altri Santi. Questi affreschi sono da inquadrare ad uno stile romanico che risente ancora di influenze orientali (protoromanico).

Di grande interesse è il baldacchino dell’altare maggiore, datato 1555, che presenta la figura di S. Giorgio nell’atto di salvare una giovane dal drago, nella nicchia in alto il Padreterno e sotto una croce nuda ed ai lati La Madonna, S. Giovanni e il committente in abito talare.
L’antico edificio possedeva un crocifisso ligneo della seconda metà del XIII secolo, un “Christus Triumphas”con rimandi bizantineggianti, perfettamente conservato, ora è presente al Museo di Arte Sacra di Montemonaco.


S. Lorenzo in VallegrasciaVallegrascia di Montemonaco con la Chiesa di S. Lorenzo

Si riparte risalendo la strada che fiancheggia il fiume Aso verso Monte Monaco e si raggiunge la Chiesa di S. Lorenzo nell’antica frazione di Vallegrascia, praticamente disabitata. Vallegrascia è un nucleo intatto di edifici realizzati per lo più nel XVI secolo.

La chiesa di S. Lorenzo ad Tres Rivos si trova alla sinistra della strada provinciale, attorniata dalla vegetazione e in stato di abbandono, officiata solo saltuariamente.

L’anno della sua costruzione non ci è noto, ma osservandone la struttura esterna si può far risalire al XI - XII secolo quando il territorio di Monte Monaco fu donata ai Farfensi da Morico di Longino nel 1141.

Costruita in arenaria, con impianto originario a navata unica, fa pensare ad una Chiesa-fortezza, con le finestre tanto strombate da sembrare feritoie.

Restaurata nel 1930, presenta nella parete settentrionale il massiccio campanile quadrato, con quattro aperture ad arco.  L’abside è tripartito con lesene e monofore. La facciata presenta una porta ad arco, in conci di arenaria squadrati, sopra di essa vi è un “occhio” aperto a spioventi regolari.
All’interno, la navata è divisa in quattro campate con copertura a capriate; nella prima campata, al centro della parete destra, è l’altra porta d’ingresso detta “porta del sole”. La seconda campata presenta l’apertura di due finestre arcuate nelle opposte pareti con un’ampia strombatura verso l’esterno.
Nella quarta campata vi è la zona presbiteriale, sopraelevata di un gradino e separata dal corpo della chiesa da una balaustra.
Qui si trovano due grosse lastre di arenaria scolpite anticamente utilizzate rovesciate, come parte di pavimento.
Scoperte negli anni ‘30 e risalenti all’incirca al XI-XII secolo, erano presumibilmente dei plutei i quali esprimono, con un complesso messaggio figurativo “La storia della salvezza” ed è opera dei Maestri Guitonio e Atto.

Di grande interesse è la cripta: si presenta con una copertura a piccole volte a crociera, sostenuta da sei semi colonne perimetrali e due centrali a quattro peducci, tutte con capitelli ornati da sculture in bassorilievo. Un capitello presenta un protome d’ariete, un altro protome d’uomo, mentre in quelli delle semi colonne vi sono figure zoomorfe e fitomorfe. Sempre nella Cripta, addossato alla parete dell’abside c’è un piccolo altare e resti appena visibili di dipinti, il pavimento è in conci di arenaria.


s.maria in casalicchioLa frazione di Tofe di Montemonaco con la Chiesa di S. Maria in Casalicchio

Percorrendo la valle dell’Aso verso la sua sorgente, si prosegue seguendo l’indicazione Foce, la strada per la frazione Tofe, conosciuta per essere stato teatro dell'eccidio di giovani partigiani locali durante la lotta di Liberazione.
Sulla sinistra, tra boschi, emergenze di roccia e abitati rurali dove il tempo si è fermato, si scorge, solitario, lo stupendo santuario di S. Maria in Casalicchio.
Esistente già nel 1299 e sempre sottoposto alla Pieve di S. Angelo in Montespino, fu nell' antichità un Santuario di notevole richiamo religioso e meta di pellegrinaggi.

Fino alla seconda metà del 1500, questa era chiamata “Chiesa del giuramento”, qui si potevano risolvere controversie di privati e di comunità. Il giuramento veniva fatto dinanzi alla immagine della Vergine, toccando l’altare e guardando attraverso la finestrella “la magica vetta della Sibilla”. In stile romanico, ha la facciata semplice e lineare; gli elementi simbolici esistenti sotto la bifora della parete di sinistra e la croce patente sul portale principale come quelle negli affreschi interni, fanno supporre che l’ordine dei Templari fosse passato anche di qui.
Originariamente, la Chiesa era a navata unica e nel XV secolo fu aggiunta la seconda navata a sinistra mediante l’apertura di archi gotici; nello stesso periodo fu innalzato il campanile a base quadrata che fungeva da punto di avvistamento.

All’interno vi sono interessanti cicli pittorici che vanno dal XIV al XVII secolo.
Il ciclo più antico, quello del XIII secolo, è presente nella cappella della quarta campata della navata di destra. Nella parte superiore vi è il Cristo “Pantocreatore” con accanto la scena della crocifissione e alla sua destra la Madonna che sale in cielo. Purtroppo, molti di questi affreschi sono stati mutilati per l’apertura di porte comunicanti e finestre.
Il ciclo pittorico del XV secolo, fu commissionato da devoti in occasioni di epidemie; in esso si rappresentano la Madonna delle Grazie ed altri Santi “guaritori” tra i quali S. Bernardino da Siena.

Gli affreschi del 1600 raffigurano il martirio di S. Sebastiano ed una sua statua è inserita in una nicchia. Il voto della comunità di Monte Monaco a questo Santo fu fatto in tempo di pestilenza.
Da secoli, c’è una bella tradizione che regge nonostante tutto: il 20 gennaio festa di S. Sebastiano, in qualsiasi condizione atmosferica, tutta la popolazione e le autorità scendono in processione verso questo piccolo santuario per rinnovare il voto a S. Sebastiano contro il flagello delle peste.
In questa occasione, da tempo immemorabile, come è documentato negli archivi comunali, vengono offerti a tutti i pellegrini pane e vino cotto benedetti.

Stefania Cespi 
Operatore Culturale Museale e Guida Naturalista Ambientale Escursionistica



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