Archeologia
Archeogalley
Un itinerario suggestivo a più tappe, tra storia e natura in stretta simbiosi, rilassante, facile da percorrere anche da famiglie con bambini. Qui la sacralità dei luoghi e dei monumenti lascia profonde tracce nello spirito e nella memoria, difficilmente cancellabili.
SANTU LUSSURGIU - SAN LEONARDO di SIETE FUENTES
La partenza da Santu Lussurgiu, di buon mattino. Si percorre la provinciale N. 20 quella che da Santu Lussurgiu conduce a Macomèr, per giungere dopo circa 6 km. a San Leonardo di Siete Fuentes.
In qualunque stagione la tappa in questa località è vivamente consigliata per visitarne i parchi, le sette fontane e la chiesa romanico-pisana dedicata a San Leonardo, protettore celeste di ammalati, partorienti e prigionieri.
Il parco di lecci, querce, castagni ed olmi è ciò che rimane dell'antica foresta che si estendeva verso NO fino a Scanu Montiferru e che fu distrutta fra il 1818 e il 1822 per farne traversine per le ferrovie piemontesi in costruzione.
Nella zona alta si trovano le «sette fontane», brutalmente rimaneggiate qualche decennio addietro, dalle quali prende il nome la località. Le loro fresche acque sono particolarmente apprezzate e indicate nelle cure contro la calcolosi urinaria.
San Leonardo di Sette Funtanas ha storia antica e ancora non del tutto approfondita. All'antico ospedale di Siete Fuentes (uno tra i primi in Sardegna) si riallaccia anche la storia del più tragico personaggio eternato dalla fantasia e dall'arte di Dante.
Qui, infatti, secondo l'opinione di molti storici, nel 1295 dopo la sconfitta subita a Domusnovas, venne a morirvi Guelfo della Gherardesca, figlio del conte Ugolino.
Dell'antico ospedale oggi restano solo alcuni conci squadrati, mentre la chiesetta, edificata nella prima metà del XII secolo (1131?) in arcaiche forme romanico-pisane, ampliata e rimaneggiata più volte nel corso dei secoli, è discretamente conservata; delle sue originali strutture templari rimane la parte destra della facciata.
Nel lato meridionale si apriva una porta, ora murata, con ai lati, negli stipiti, la croce di Malta.
Durante i secoli XIII e XV la villa di Settefontane godette di vasta notorietà per l'importante complesso sanitario-assistenziale (ospedale, chiesa e due conventi) gestito dai "fratelli" e dalle "sorelle' dell'Ordine degli Ospedalieri di S.Giovanni di Gerusalemme.
Divenuta commenda nel XVI secolo, fu affidata a diversi lottizzatori insieme al suo vasto patrimonio.
Attualmente la chiesa, pur essendo amministrata dal parroco di Santu Lussurgiu, è nuovamente sede dei Cavalieri di Malta.
NURAGHE ELIGHE ONNA (o CRASTA)
Da San Leonardo si prosegue verso Macomèr, dopo aver lasciato sulla destra la strada asfaldata per Borore, sulla sinistra in alto si individua la mole di Nuraghe Elighe Onna (o Crasta) che non è molto distante dalla strada provinciale.
Per giungervi a 2,4 km. da San Leonardo, si lascia quest'ultima e si risale il sentiero sulla sinistra (primo tratto sterrato, secondo cementato), proseguendo sulla destra alla biforcazione . E' necessario aprire un piccolo cancello di legno (ricordarsi di richiuderlo) e risalire un tratto sterrato abbastanza difficoltoso. Si raggiunge una bella radura con grandi querce e attraverso un varco nella recinzione a secco ci si immette in un'altra radura per giungere direttamente alla base del nuraghe.
Questo è situato su di uno spuntone basaltico in posizione dominante e in una zona particolarmente ricca di acque per la presenza della sorgente Nughis ad est e quelle di Sette Fontane di San Leonardo a sud. Pascoli e querce costituiscono il paesaggio di Elighe Onna. Si tratta di nuraghe a struttura complessa con aggregati affiancati al mastio principale. Le due torri marginali si saldano al muro perimentrale e si sviluppano una a NE e una a SO. Sono rilevabili poche tracce della cortina che le collegava, passando davanti all'ingresso.
Quando visito i nuraghi mi piace prima aggirarli, il piacere di visitarli all'interno e salire sulla sommità lo riservo per ultimo. Sul lato SO proprio sotto il nuraghe si trova una casetta in pietra in abbandono, col tetto in tegole crollato. L'ingresso di quest'ultima è ad oriente e nel retro una parte della parete è stata ristrutturata con blocchi di cemento. Da questo lato, a circa dieci metri dalla casupola, vi è un accumulo di pietre poste longitudinalmente (forse si tratta dei resti di una tomba di giganti o di un antico ricovero per le greggi). L'ingresso è appena abbozzato, ma manca l'esedra...chissà...
Gli giro intorno e scatto qualche foto. Poi risalgo lo strapiombo per raggiungere il nuraghe, seguo i camminamenti di pecore e capre che si spingono in alto, tra le rocce, in cerca di piccoli germogli. Cespugli di euforbia (Euphorbia pithysa L.), di pungitopo (Ruscus aculeatus L), macchioni d'edera (Edera helix L.) e cespugli di leccio (Quercus ilex L.) ricoprono gli interstizi dei grandi massi.
Affronto l'ultimo tratto di arrampicata, impacciato dal binocolo, macchina fotografica e dal marsupio.
Finalmente sono in cima. Fotografo un lavatoio naturale, situato sulla destra della piazzola antistante la torre centrale: probabilmente era utilizzato allo stesso scopo anche dagli antichi abitanti del nuraghe. Poi visito l'interno della megalitica costruzione per dare conferma ai ricordi che ho di questo bel sito. A sinistra entrando è ben individuabile la scala interna interrotta nella parte alta dal crollo di massi e a destra una delle tre nicchie presenti. La volta del nuraghe è sfondata ed un raggio di luce lascia intravedere i particolari della costruzione.
Esco dal mastio e mi inerpico sui massi franati della torre di sinistra aggrappandomi all'albero d'edera che sulla parete di ponente somiglia ad un quadro e raggiungo la sommità. Dall'alto, in direzione NO scorgo un'altra torre nuragica, la osservo col binocolo e appare abbastanza integra e non molto lontana; ma non c'è tempo. Scatto qualche altra foto lungo la discesa e poi via verso Tamuli.
Riprendo il viaggio e raggiungo nuovamente la Provinciale n. 20 e proseguo in direzione Macomèr.
Superato il bivio per Scano di Montiferro, il vivaio che è sulla destra e la struttura fieristica che gli è di fronte, svolto a sinistra verso il Monte di S. Antonio.
Continuo per 2,9 km e alla prima biforcazione della strada mantengo la destra.
Dopo aver superato sulla sinistra l'area utilizzata come poligono di tiro dai militari del vicino 45° Reggimento Reggio di Macomèr, e il Nuraghe Pattada, rifugio delle sentinelle durante le esercitazioni di tiro (da non visitare assolutamente perché sporco e gran parte dei sui massi sono pericolosamente in bilico), raggiungo da una stradetta laterale a sinistra l'area archeologica di Tamuli, segnalata da orribili cartelli indicatori sforacchiati da numerose fucilate.[1]
Le tre belle tomba dei giganti sono lì con i conci sparsi tutt'intorno e le sei sentinelle «Sas Perdas Marmuradas de Tamuli» che vigilano ancora il sonno eterno della gente nuragica.
Sentinelle del tempo le ho chiamate: tre maschili e tre femminili con le mammelle ancora turgide nonostante l'età, a vigilare le tombe del villaggio oggi ridotte ad un ammasso di pietre che gli eredi della gente nuragica hanno profanato e distrutto. E lo spirito si ribella di fronte a tanta ignoranza e trascuratezza. Vado via, fortemente contrariato!
Prima di lasciare l'area archeologica di Tamuli e proseguire la mia ecursione, effettuo una breve visita al nuraghe di Tamùli e ai vicinissimi ricoveri per gli animali, poco distanti dalle tombe. Il nuraghe è in cattivo stato di conservazione e anche oggi, a distanza di circa vent'anni dalla prima visita, gran parte di esso è impraticabile.
Ma si è fatto tardi e mi rimetto in viaggio verso il santuario di S. Antonio (m. 808).
[1] Dopo il recente intervento, l'intera area archeologica di Tamuli è stata affidata ad una cooperativa di Macomer. Ora l'ingresso è delimitato da muretti a secco, vi hanno realizzato un parcheggio per auto e pullman, e una biglietteria con guida/custode. Hanno delimitato con fini e paletti i percorsi obbligatori
Galleria fotografica Tamuli >>
MONTE DI SANT'ANTONIO
Ripercorro la strada fino al bivio precedente e svolto a destra verso il Monte. Sulla sinistra un altro nuraghe diroccato con una grande quercia all'interno; proseguo e dopo qualche centinaio di metri trovo la località turistica "Su Cantareddu" e l'edificio ex Eca dove è accampato un gruppo di scout. Tiro dritto e al bivio per Sindia proseguo sulla strada di sinistra per giungere al Santuario.
La giornata è ideale per la visita, non c'è quasi nessuno. Anche qui lo spirito si appaga e la sacralità del luogo favorisce la meditazione. La chiesetta è chiusa, ma nel piazzale antistante e tutt'intorno non mancano i simboli della religiosità e della fede.
Aggiro la chiesetta sulla destra e in terra è deposta una gigantesca croce di legno verniciata di bianco e celeste che neppure il Gesù fatto uomo avrebbe avuto la forza di sollevare.
Di fronte un imponente banco di roccia basaltica e a circa un metro dal suolo una grotticella naturale (orribilmente tamponata sul lato destro con pietre e cemento), dove trova posto una statuina della Madonna del Divino Amore con fiori, lumicini e centinaia di rosari tutt'intorno. Più in alto una statua più grande, bianca, sempre della Madonna e alle sue spalle, proprio sulla sommità delle rocce, una croce di ferro abbattuta e ormai preda della ruggine.
Qualche anno fa i giornali riportarono la notizia di ripetute apparizioni della Madonna che si sarebbero verificate in questo luogo e migliaia di credenti e di curiosi accorsero, ma dopo qualche tempo lo scalpore scemò anche se le visite continuano ancora.Dalla sommità delle rocce mi sposto di masso in masso verso la statua di S.Antonio con bambino, posta dai Ferrovieri delle Complementari sarde di Macomèr nel 1982 e opera dello scultore Franco D'Aspro. Fanno da corona alla statua giovani lecci cespugliati che affondano le radici negli interstizi della roccia.
Al di sotto della statua del santo, l'altare realizzato dal sodalizio dei "Fedali" nel 1967. E' liscio, costruito in ardesia e stona parecchio sia con l'ambiente circostante dove è prevalente il basalto, sia con le due tozze e irregolari colonne in pietra di basalto poste ai lati ed anche con la pietra allungata che presenta tre incavi circolari, comunicanti che è situata anteriormente alla sua base.
Infine uno dei gradini realizzati ove possibile tra i grandi massi è stato recuperato da un antico architrave di trachite con il tipico rosone di foggia sarda in bassorilievo.
La festa in onore del santo, preceduta dalla novena e accompagnata da manifestazioni folcloristiche, si svolge ogni anno dal 12 al 14 giugno.
La visita è terminata: un ultimo sguardo al nuraghe oltre il piazzale della chiesetta e poi riprendo il viaggio di rientro verso Santu Lussurgiu.
Attraverso il bosco in direzione Macomèr e all'incrocio con la Provinciale per Scano Montiferro giro a sinistra per immettermi nuovamente sulla SP n. 20 alla volta di San Leonardo e Santu Lussurgiu.
All'arrivo il contachilometri che avevo azzerato alla partenza segna 42 km.
Umberto Guerra