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BANZOS - MATZISCULA

003Per giungere a Matziscula prose­guiamo sulla strada di Banzos che ci immetterà nuovamente sulla Provin­ciale Santu Lussurgiu - Abbasanta.

Non piove più e sulla strada diversi operai e mezzi meccanici provvedono alla si­stemazione del fondo per completare il manto stradale. Ci guardano con curiosità e ci salutano.

La zona che attraversiamo è molto ricca di corsi d'acqua: Riu de Bau Pi­rastru, Riu de Santu Predu. Dopo qualche chilometro, ci trovia­mo sulla Provinciale per Abbasanta, poco prima della frazione di S. Ago­stino. In regione Pranu 'e Fenu, a me­tà della curva chiamata Sega Broc­cas, deviamo a sinistra percorrendo un piccolo sentiero tra l'erba che, ri­salita una collinetta, ci conduce a Mat­ziscula.
Fatichiamo  un po' per trovare le tombe del periodo neolitico ivi esisten­ti a causa dell'erba alta e dei rovi: mafinalmente riusciamo a rintracciarle.

Le quattro Domos de Janas di Matziscu­la e quella di Mandra 'e Caddos di cui diamo qui la descrizione, sono ricavate in quegli affioramenti rocciosi assai frequenti nella piattaforma basaltica che si estende tra Santu Lussurgiu e Abbasanta.
Le popolazioni neolitiche che abitarono questi luoghi utilizza­rono per le loro tombe tali modeste sporgenze realizzandovi sepolture mo­no e bicellulari.

Le cinque tombe hanno in comune le seguenti caratteristiche:

1) gli in­gressi sono tutti a fior di suolo;
2) il livello dei pavimenti è inferiore a quel­lo delle soglie;
3) le piante dei vani se­guono una linea curva irregolare;
4)anche le pareti delle celle si sviluppa­no irregolarmente a tratti curve e a tratti dritte;
5) ciascuna presenta un corridoio scoperto (dromos) più o me­no lungo che conduce all'ingresso;
6) tutti i portelli d'ingresso sono incor­niciati da un profondo incasso dove presumibilmente veniva collocata la la­stra di chiusura.

La prima fra le quattro tombe di Matziscula ha l'imbocco rivolto a set­tentrione su un piano inferiore a quel­lo del terreno circostante, ed è costrui­ta da due cellette intercomunicabili, la più piccola delle quali è totalmente visibile all'esterno perché la sua volta rocciosa è stata sfondata in tempi remoti dai cercatori di tesori.

La seconda domo di Matziscula situata a pochi passi dalla precedente ed è scavata entro un masso isolato tondeggiante emergente per un metro dal suolo. È bene in vista anche il suo ingresso che si trova alquanto al disotto del livello del terreno antistante. Anche questa seconda tomba è bicellulare. I due portelli d'accesso sono disposti sul medesimo asse e orientati a meridione. La parete ad ovest della seconda cella presenta un segmento verticale ricavato nel mezzo della parete stessa, lungo 50cm. a sezione trasversale semicircolare, che sbalza in altorilievo per 4 cm.

La terza tomba si trova a brevissima distanza dalla precedente ed è ri­cavata da un piccolo masso basaltico di forma conica sormontato da un mu­ro a secco. Questa domo è di tipo mo­nocellulare e si presenta con un'aper­tura incassata nel masso per circa 50cm. Il portello è a livello del terreno ed è rivolto ad est-nord-est.

Anche la quarta tomba di Matziscu­la è monocellulare e si apre alla base di uno spuntone roccioso situato pro­prio dietro il masso della tomba pre­cedente, ed è ugualmente sormonta­to dallo stesso muro a secco. La sua apertura è a fior di suolo ed è orientata ad est.

La Domo de Janas di Mandra 'e Caddos è bicellulare ed è stata scavata in un affioramento basaltico a terrazza non molto distante dalla strada Santu Lussurgiu - Abbasanta e da quella che abbiamo percorso prove­nendo da Banzos. In questa tomba i pavimenti sono coperti da ciottoli e fanghiglia perché all'interno vi scor­re una vena d'acqua perenne.

Dopo la ricognizione alle Domus de Janas di Matziscula e a quella di Man­dra 'e Caddos, rimaniamo per qualche tempo sulla collinetta di Matziscula, facciamo una piccola merenda e into­niamo qualche canzone.

Ma si è fatto tardi e qualche goccia di pioggia ci consiglia di far rientro. Benedetti bru­chi! Con una lunghissima fila indiana ri­percorriamo la Provinciale verso Santu Lussurgiu. Alcuni nostri genitori ci raggiungono in macchina per darci un passaggio, ma oramai siamo vicini e vale la pena di farcela da soli!

APPUNTI SULLA VEGETAZIONE SPONTANEA DEL MONTIFERRU

Per un escursionista intelligente il Montiferru costituisce un autentico pa­radiso. Un visitatore attento non può non apprezzare i valori naturali di assoluta eccezione che si sono conservati intatti in questo monte. Vi crescono al­beri che sono importanti relitti vegetali ed una flora spontanea che po­trebbe presentare, sorprese e novità per il naturalista. La sua zona cacuminale è completamente priva di vegetazione arborea. Vi domina la gariga a timo. Numerose sono le specie erbacee spesso radenti al suolo a causa dei venti. È facile percorrere a piedi i numerosi sentieri che la attraversano. Du­rante una escursione si possono facilmente osservare abbondanti for­mazioni di timo, lavanda, elicriso, ed alcune forme basse di ginestra, eri­ca, rosa canina. Alcune di queste piante sono fortemente aromatiche e conferiscono un profumo incomparabile alla passeggiata. L'interesse principale del Montiferru è però legato al paesaggio del lec­cio. Se l'evoluzione fosse naturale, tutto il monte sarebbe coperto da un enorme lecceto, grazie alle condizioni ambientali fresche per l'altitudine ed umide per la presenza di sorgenti perenni. Spettacolari sono i fram­menti di formazioni forestali "chiuse" impenetrabili che ancora soprav­vivono nel versante occidentale del monte, esposte ai venti impetuosi che vengono dal mare, in aree alquanto scoscese e di difficile accesso, ciò che ha favorito la loro conservazione. Queste foreste, caratterizzate dal leccio, dal lillatro, dall'erica e dal cor­bezzolo, sono formazioni vegetali a più strati, talvolta rese inestricabili dalle lianose. Interessanti sono anche le formazioni di muschi che ricoprono le pietre, ed i licheni che numerosi pendono dai rami degli alberi. Di più facile accesso, più luminoso e più comune come estensione è il bosco misto di leccio e caducifoglie, tra le quali domina la roverella, spes­so accompagnata dall'acero minore e da magnifici esemplari di agrifo­glio, alcuni alti anche 5-8 metri, che allo stato attuale costituiscono dei veri e propri sopravvissuti vegetali. E presente nel Montiferru un'altra formazione di origine molto antica che si è conservata allo stato naturale solo in poche zone della Sardegna: la macchia ad alloro che possiamo ammirare a sud di Santu Lussurgiu. Un'altra quercia ben rappresentata in questa fascia del Montiferru è la quercia da sughero, un albero la cui diffusione è favorita dall'uomo e dal fatto che è molto resistente agli incendi. Anche il castagno trova qui condizioni adatte al suo sviluppo. Non è pe­rò ancora accertato se sia una specie endemica o se sia stato introdotto in tempi antichi. Ciò che pare sia successo per l'olivastro che allo stato spontaneo non cresceva in Sardegna ma fu importato per uso alimenta­re dai Fenici. Le formazioni miste a leccio e sughero, sono abbastanza luminose, sia per la struttura aperta degli alberi sia per la distanza fra essi. Questo fatto ha favorito lo sviluppo di una folta macchia mediterranea caratterizzata dalla presenza soprattutto di: corbezzolo, erica, ginestra, cisto, lavanda, biancospino, rosa di macchia. Importante è la presenza di numerose essenze medicinali come: digitale, belladonna, scilla, stra­monio, achillea, malva, sambuco ed altre. Anche lo strato erbaceo è caratterizzato da una enorme varietà di specie alcune delle quali hanno un ruolo fondamentale nell'alimentazione del bestiame domestico e conferiscono pregio e qualità ai prodotti della pa­storizia lussurgese. Spesso il pastore, per utilizzare in modo più proficuo le numerose spe­cie erbacee, provvede a diradare gli alberi e talvolta amplia le superfici a pascolo distruggendo, con l'incendio, la macchia mediterranea che ten­derebbe a riempire interamente il suolo. L'incendio modifica e semplifi­ca profondamente la struttura vegetale del pascolo. Si arriva così alla nascita di un nuovo paesaggio: il prato-pascolo, carat­terizzato da vaste estensioni coperte da una vegetazione monospecifica con rari alberi.

PARTICOLARI DELLA FAUNA DEL MONTIFERRU Il Montiferru è un vasto complesso montano di origine vulcanica, situato nel settore centro occidentale della Sardegna. La fauna è particolarmen­te interessante perché caratterizzata da specie di animali rare, alcune, in via di estinzione. Tra questi il muflone sardo è un ungulato di piccola taglia. Vive di prefe­renza in ambienti rocciosi ed in dirupi con boscaglie e macchie, si nutre di erbe, germogli, frutti e più di ogni altro ungulato, si adatta a brucare fogliame con forte predilezione per le oleacee (olivastro, filliree). Questo bellissimo animale, che si considera estinto nel resto dell'Euro­pa (tranne che in Corsica e a Cipro), è presente in Sardegna in circa 3.000 esemplari. Tra la famiglia dei suidi troviamo il cinghiale. È un animale onnivoro, pa­scola preferibilmente nelle ore crepuscolari, scava alla ricerca di tuberi, radici, bulbi, larve, insetti, lombrichi; appettisce inoltre ghiande, rettili, ro­ditori. È facile incontrarlo con la sua famigliola di circa 4-8 cinghialetti, durante le ore crepuscolari quando d'abitudine si sposta dal suo nascon­diglio per procurarsi il cibo. Alla famiglia dei canidi appartiene la volpe, che frequenta di preferenza gli ambienti rocciosi ricchi di vegetazione e anfratti. Nel Montiferru è da non dimenticare l'asinello sardo, così chiamato per le dimensioni più minute rispetto a quello continentale. Ancor oggi, si può osservare nelle campagne, lungo le strade o nel paese la cui vita è pre­valentemente agro-pastorale. C'è ancora il cavallo sardo, del cui allevamento il Montiferru ha sempre avuto grande tradizione. Il cavallo vero compagno del pastore sardo fino a che non è stato soppiantato dalla meccanizzazione, è oggi impiegato prevalentemente nelle manifestazioni ippiche, nel folklore e nel turismo equestre. Tra i rapaci, i grifoni sono avvoltoi che ormai sopravvivono in Italia, sol­tanto in Sardegna con una popolazione di settanta individui circa. Sul Montiferru sono state individuate e ripulite le aree in cui nidificavano i grifoni locali prima della loro scomparsa e nel 1987 sono stati reintrodotti venticinque esemplari sugli aspri costoni e sulle gole del monte. Un car­naio, costantemente rifornito, assicurerà in futuro la sopravvivenza degli animali. La pernice sarda, vive solo in Sardegna è una infaticabile camminatrice e vola solo per necessità. Il mimetismo delle piume del dorso consente loro di confondersi col terreno in caso di pericolo. Frequenta le radure e gli spazi aperti vicino al bosco o alle macchie di lentischio. Lì trova cibo e soprattutto quella protezione naturale e quei rifugi sicuri che limitano almeno parzialmente l'incidenza della caccia. La ghiandaia sottospecie esclusiva della Sardegna vive nei boschi fitti, privilegiando soprattutto i querceti.


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