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I resti del Castello di Montiferru nei pressi di Cuglieri ( Fotogallery >> )

«... Vicino a Cuglieri si trova l'antico castello di Montiferru, che ha preso il nome dalla grande montagna. Per arrivarci si segue un sentiero più o meno in piano, lungo il quale si incontra dapprima, a dieci minuti dal paese, il convento dei Cappuccini posto, come tutti i conventi di quest'ordine, in un sito assai pittoresco. Un po' più in là dei Cappuccini c'è la fontana pubblica e in pochi minuti, nella stessa direzione, si vede innalzarsi una cima isolata, sulla quale ci sono le rovine del castello di Montiferru.
II monte sul quale è stato costruito il castello è formato da roccia basaltica grigia che mostra in qualche punto la divisione in prismi.
Il castello di Montiferru. o piuttosto di Montiverro, sembra sia stato costruito da Ittocorre, fratello di Barisone di Torres che viveva attorno al 1186. Era un luogo di frontiera tra il giudicato di Torres, al quale apparteneva, e quello di Arborea. Nel 1294 la villa di Verro, come la chiama il Roncioni, fu ripresa dai Pisani, con molti altri castelli, ai fratelli Guelfo e Lotto della Gherardesca, figli dello sventurato conte Ugolino. Nel 1300 il castello fu dato in pegno dal marchese Malaspina ad Andrea e a Mariano d'Arborea, che lo possedevano nel 1308, così come il castello di Serravalle di Bosa e quello di Montacuto.
Nel 1328 il re Alfonso d'Aragona, coll'avvento al trono, ne confermò il possesso a Ugone d'Arborea. Nel 1354 Mariano d'Arborea, ribellatosi al re Pietro il Cerimonioso, occupò il castello che manteneva ancora, nonostante gli accordi, nel 1355. Nel 1417 fu dato, a titolo di feudo col paese di Cuglieri, da Alfonso V a Guglielmo Montagnana, che nel 1426 lo vendette a Raimondo Zatrillas.
Oltrepassato il castello, ci si trova davanti e a fianco una salita abbastanza ripida, sulla quale è ricavata la pretesa "strada" di Santulussurgiu, che è piuttosto un sentiero disastrato, in mezzo a una bella foresta che solo i cavalli sardi riescono ad attraversare con l'agilità e l'arrendevolezza che li caratterizza. Il cammino conduce quasi in cima al monte per poi scendere subito più rapidamente sull'altro versante. In quasi due ore e mezza di salita e discesa si può così raggiungere il grande villaggio di Santulussurgiu, dove si arriva dopo una salita ripidissima, trovandosi in un posto ombreggiato da folti e vigorosi castagni.
Dal castello di Montiferru, più a sud, si può prendere un altro sentiero, più ripido e disagevole del precedente, per andare verso una delle cime più alte della montagna; poco frequentato, esso attraversa una grande foresta formata quasi tutta da lecci. Si da a questa cima il nome di Monte Entu ("Monte del Vento") perché è realmente esposta a tutti i venti; ha una forma più o meno conica, analoga a quella del monte del castello e anch'essa composta da roccia basaltica grigia con eguale tendenza alla divisione in prismi irregolari.

Questo punto domina parecchie altre cime vicine, tutte della stessa natura e che hanno più o meno la stessa forma. La sua altitudine è di 1.015 metri sul livello del mare. Da qui si vede svilupparsi gran parte della costa occidentale dell'Isola, dai promontori della Frasca e di San Marco fino a capo Caccia, non lontano da Alghero. Vale la pena di offrirsi una veduta del genere con un'ascensione in verità un po' faticosa, ma sempre all'ombra e che dura solo poco più di un'ora. Del resto, è il cammino seguito dai cacciatori del paese che fanno delle pendici del Monte Entu e dei luoghi circostanti la meta delle battute più produttive alla grossa selvaggina. Così, un giorno che stavo abbarbicato sulla vetta (avendo verso ovest un precipizio di quasi cento metri ai miei piedi), occupato a misurare gli angoli col teodolite, mi è capitato di sentire all'improvviso un gran baccano prodotto da più voci umane e dal calpestio di numerosi cavalli; proveniva dalla foresta che vedevo, sotto di me, a volo d'uccello. Subito mi sentii chiamare per nome; le grida provenivano da una folta compagnia di cacciatori di Cuglieri che mi avevano riconosciuto attraverso uno spiraglio nel verde. A loro avviso, nessun altro al di fuori di me sarebbe stato capace d'andare ad appollaiarsi e di restare per delle ore sulle cime più alte del loro paese con degli strumenti luccicanti; mi avevano riconosciuto, di conseguenza, molto meno dalla figura che non dal luogo in cui stazionavo, dall'attrezzatura, e mi invitavano con gesti a unirmi a loro. È ciò che feci al tramonto, quando finii le operazioni di quella giornata; non tardai a trovarli senza allontanarmi troppo dalla stazione e divisi con loro la selvaggina uccisa, la cena e il bivacco, trascorrendo così in allegra e chiassosa compagnia una notte che mi ero già rassegnato a passare su quella cima, molto più tranquillamente, con la mia guida.


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