Premessa
Tra Roma e Cartagine, dal 500 al 146 a.C., si accumulò uno strato sempre più spesso di ruggine, per la supremazia nel Mediterraneo, fino all’urto fatale.
Le prime schermaglie si ebbero intorno al IV sec. quando le navi romane iniziarono i contatti commerciali con la Corsica e la Sardegna, cercando uno spiraglio per dove passare, al fine di fondare, nella nostra isola, colonie dove posare stabilmente un piede. Ma Cartagine ne sventò il disegno, legandola con un trattato di cui abbiamo fatto cenno; trattato che non approdò a nulla se fu necessario stipularne un secondo, mediante il quale Cartagine negò definitivamente ai romani i contatti con la Sardegna; vietando loro di recarsi nell’isola per commerciare e fondarvi città e colonie.(1)
Roma, vistasi così respinta, mentre andava di anno in anno allargando il suo dominio, cercò il giusto pretesto per impossessarsi della Corsica e della Sardegna, divenute per lei punte avanzate cartaginesi, specie dopo la conquista romana di Volsinia (264 a.C.) e il completamento dell’occupazione dell ‘Etruria.
L’occasione si presentò quando i mamertini di Messana furono minacciati contemporaneamente, da Siracusa e da Cartagine (262 a.C.); episodio che mosse Roma in loro difesa, dando inizio ad una guerra che durò un secolo, fino a quando Cartagine non fu rasa al suolo.
Durante la guerra, la Sardegna soccorse abbondantemente Cartagine di grano e vettovaglie e, per la sua prossimità alle coste laziali, fu prescelta dai puni come base di un poderoso corpo di spedizione contro Roma (2), piano che lascia comprendere quali produzioni esprimesse l’isola per poter sopperire non solo ai normali approvvigionamenti interni, ma anche di un poderoso esercito quale poteva essere quello capace di affrontare la potenza romana. Nel 259 Roma allestì un esercito affidandolo a L. Cornelio Scipione che, occupata la Corsica, tentò di mettere piede anche in Sardegna, ma fu ostacolato dalla flotta di Annibale figlio di Gisgone.
L’anno successivo (258 a.C.) Caio Sulpicio compie scorrerie sulle coste del nord dell’isola, limitandosi a farvi devastazioni. Finisce così nel 241 a.C. la prima guerra punica dopo la vittoria delle Egadi.
Nel trattato che vi è seguito, secondo Polibio (3), la Sardegna non viene menzionata, il che fa supporre che l’argomento sia stato accantonato, in attesa di più sereni tempi per discuterlo; anche perché, i romani, in effetti, salvo le due scorrerie di L. Cornelio Scipione e Caio Sulpicio, non avevano messo piede stabile nell’isola.
Cartagine, tormentata da diatribe interne e da rivolte militari, specie dei mercenari che presidiavano la Sardegna, attraversava un periodo estremamente delicato.
I sardi sollevati e i fuoriusciti, dall’altra parte, sollecitavano Roma ad occupare l’isola; ma quella, per tener fede ai patti, non intervenne e attese, sino a quando i punici non si diedero alla caccia del naviglio romano che tentava di approvvigionare i sollevati. Allora Roma mosse alla conquista dell’isola per cui Cartagine, all’estremo delle forze, la cedette obbligandosi anche a pagare, per evitare la guerra, un tributo di milleduecento talenti.
La Sardegna, che pareva un tranquillo possesso, ben presto divenne per Roma un vero e proprio vespaio, per le continue sollevazioni delle popolazioni che, legate da stretti vincoli di parentela e di interessi a Cartagine, non accettarono il nuovo dominio.
Nel 238 un esercito romano al comando di Tib. Sempronio Gracco occupò, senza combattere, Kalaris, Solci e Tharros (4), traendone una moltitudine di schiavi che per il loro vile prezzo, furono chiamati « Sardi venales » (5), ma il corpo dell’isola rimase ancora ostilissimo a Roma.
Nel 235 è Tito Manlio Torquato che viene inviato da Roma con altro esercito per debellare i sardi, e vi fu battaglia con gravi perdite per questi, tanto che T. Manlio ebbe gli onori del trionfo (6)·
Nel 234 l’esercito romano stanziante nell’isola, sotto Cornelio, fu, unitamente al comandante, stremato dalla malaria e i sardi ne profittarono sollevandosi ancora una volta, per cui il console Corvilio fu costretto ad abbandonare la Corsica, dove si trovava, per correre in Sardegna, ottenendo una vittoria che gli valse gli onori trionfali.
Recatosi Corvilio a Roma per ricevere gli onori trionfali i sardi si sollevarono ancora, e ancora una volta Roma fu costretta spedire altro esercito (233 a.C.), al comando del Console Pomponio Matho che sconfisse i sollevati, ottenendo, anche lui, il trionfo. (7)
Le sollevazioni, fomentate e alimentate dai grandi geomoni sardo-punici, finirono per preoccupare seriamente Roma, che scorgeva in simili torbidi l’opera sotterranea di Cartagine.
Altro esercito romano, al comando di M. Pubblicio Malleolo e M. Emilio, nel 232, dovette accorrere in Sardegna per reprimere altra sollevazione, e i sardi furono ancora vinti, facendo i romani gran bottino di armi, uomini e animali; spintisi però nell’interno della Gallura, fra i Corsi e i Balari, vi subirono una dura sconfitta chiusi fra le gole di quelle montagne, riperdendo tutto il bottino (8)·
Nel 231 gli invasori, preoccupati della inafferrabilità dei sardi, che si nascondevano nelle impervie montagne, in grotte e rifugi, allestirono un altro corpo di spedizione al comando dei Consoli Caio Papirio e M. Pomponio Matho che portò seco, dall’Italia, cani mastini addestrati alla caccia all’uomo.
Caio Papirio, adescato studiatamente dai Corsi, che minacciavano le mure di Olbia, volle inseguirli addentrandosi fra le montagne del Limbara, dove venne accerchiato dal grosso delle schiere sarde ed ebbe il suo esercito pressoché massacrato; per cui i superstiti, esausti, anche per la grave penuria di acqua, costrinsero il Console a riconoscere l’indipendenza dei Corsi.
Pamponio Matho, che riteneva di operare più proficuamente coi suoi cani, non ottenne l’esito che si riprometteva.
Per un quadriennio, dal 231 al 227 a.C., la situazione isolana parve tranquillizzata, ma i sardi si apprestavano invece ad una ulteriore sollevazione, che avvenne nel 226, soffocata da Caio Attilio Regolo.
Il centro organizzativo delle rivolte e armamento dei ribelli era Cornus, con diramazioni in Neapolis e Tharros, dove l’elemento punico predominava.
Le riprese operazioni belliche tra Roma e Cartagine nel 218 a.C., e l’avvenuta grandiosa spedizione di Annibale, attraverso le Alpi, rianimò i Sardi, specie dopo la vittoria di Canne (216 a.C.).
Mentre nel 218 a.C. i romani riscossero i tribuiti dalle città costiere (9), sia in danaro che in natura, nel 217 le città si rifiutarono di versare i tributi, serpeggiandovi lo spirito di altra rivolta.
Ad organizzare e capeggiare quest’ennesima sollevazione furono Annone (10) e un suo amico, e probabilmente parente, Amsicora, grande latifondista di Cornus, con centinaia di schiavi e vaste possibilità economiche, per cui Tito Livio lo definì « auctoritate et opibus primus »; in condizione quindi di esercitare vasta influenza e ascendenza fra i sardi e di soccorrerli nelle ribellioni con ampiezza di mezzi.
Non meno ricco doveva essere Annone, punico anch’egli, latifondista, probabilmente della valle del Tirso; preoccupato anch’egli, come l’amico cornense, di vedersi dai romani esautorato e spogliato dei suoi averi.
Un’ambasciata segreta, inviata dai sardi a Cartagine, fece partecipi le locali autorità che l’isola era pronta per una ulteriore, massiccia sollevazione, per cui si sollecitava l’intervento armato, per meglio e più validamente appoggiare i rivoltosi e gettare a mare, definitivamente, i romani. Cartagine non fu sorda all’invito, bramosa com’era di riavere il dominio sulla Sardegna e, fatto allestire un esercito di dodicimila uomini e una cavalleria di millecinquecento cavalli, ne affidò il comando ad Asdrubale il Calvo; ma una violenta tempesta sbatté la flotta punica nelle Baleari dove fu costretta a una lunga sosta per le riparazioni del naviglio.
La mossa cartaginese mise in allarme i romani e quando A. Cornelio Manula, finito il periodo della sua amministrazione nell’isola, rientrò in Roma, espose al Senato i gravi pericoli che correva la Sardegna, con la paventata sollevazione e l’intervento armato e massiccio dei punicì.
Q. Mucio, inviato a Kalaris, vi fu colto da malaria, per cui il Senato lo sostituì con T. Manlio Torquato, che ben conosceva la Sardegna e i sardi per averli debellati nel 235.
Con cinquemila fanti e quattrocento cavalieri il proconsole T. Manlio Torquato mosse verso la Sardegna dove, a Kalaris, riunì le sue forze a quelle di stanza nell’isola, formando un esercito di ventiduemila soldati e milleduecento cavalieri 11. Senza indugio, fatto tirare a secco il naviglio, mosse verso la piana del Tirso, incontro alle forze avversarie che si erano raccolte in un campo trincerato.
Amsicora, informato subito dell’imponenza dell’esercito romano, corse nell’interno dell’isola ad arruolare altri uomini, affidando il comando dell’esercito sardo al figlio losto, il quale, viste le forze romane, le affrontò spinto dall’odio che nutriva loro ma, dopo un’aspra battaglia che T. Manlio Torquato condusse, da parte sua, con l’esperienza che gli proveniva dal lungo comando militare e scaltra strategia, fu sconfitto.
I sardi, che non avevano cavalleria, combattendo appiedati, furono sbaragliati e massacrati; i superstiti ripararono a Cornus, che il proconsole si apprestava ad assalire, quando, diretta verso l’isola, appare la flotta cartaginese.
T. Manlio, a marce forzate, rientrò in Kalaris, per non essere preso alle spalle, e vi riorganizzò l’esercito; d’altro lato le forze superstiti di Amsicora s’erano unite a quelle di Asdrubale sbarcate celermente, dovendo il naviglio rientrare subito a Cartagine.
L’esercito sardo-punico mosse subito verso Kalaris, devastando le terre delle popolazioni che avevano fornito vettovaglie ai romani o avevano comunque prestato loro aiuto.
Il proconsole, uscito da Kalaris, mosse incontro al nemico e incontratolo schierò a battaglia i suoi ventiduemila uomini, inquadrati in quattro legioni e i milleduecento cavalieri; i sardo-punici disponevano di dodicimila fanti e quindicimila cavalieri. L’urto fu tremendo e la battaglia impostata e condotta, secondo l’arte militare dei tempi, « postremo decensum in aciem signis collatis iusto proelio per quattuor horas pugnatum »12.
Dopo quattro ore di duro, violento combattimento, per cedimento dei sardi, tutta un’ala dello schieramento sardo-punico fu aggirata e iniziò così il massacro di dodicimila sardo-punici; tremilasettecento furono i prigionieri, fra i quali Asdrubale e i più alti ufficiali cartaginesi Annone e Magone; ventisette insegne militari caddero in mano dei romani.
Amsicora, sfuggito alla strage e alla prigionia, mentre rientrava fuggiasco a Cornus, ebbe la ferale notizia della morte del figlio losto e, vinto dallo sconforto, si piantò il pugnale nel petto.
Cadeva con lui l’ultimo vessillifero della sarda libertà e Roma poté dirsi definitivamente padrona dell’isola (215 a.C.).
La tremenda vendetta romana si sfogherà col radere al suolo le città, contro le congregate, di Cornus, Tharros, Othoca, Neapolis; le popolazioni scampate allo scempio fuggirono nel cuore dell’isola proseguendo la lotta mediante la guerriglia, le scorrerie armate, che dureranno, più o meno attive, fino ai tempi di Giustiniano e oltre.
Questa necessaria premessa storica può offrire un quadro del lungo travaglio bellico sofferto dall’isola, con conseguenti gravissime perdite umane ed economiche, particolarmente per l’agricoltura, con devastazioni, razzie di bestiame, ecc. Perdite che pur non raggiungendo i 150.000 uomini validi, come opina il Gemelli (13), certamente dovettero essere gravi, influendo sull’economia agro-pastorale isolana.
NOTE
(*) Testo e Note tratti da: CHERCHI PABA F., Evoluzione storica dell'attività industriale agricola caccia e pesca in Sardegna, Vol. I, Cagliari 1964, pp. 265 e ss.
(1) POLIBIO, III, 24.
(2) ZONARA, VIII, 10.
(3) POLIBIO, I, 63; III, 27.
(4) ZONARA, VIII, 13.
(5) FESTO, De verb. sign.
(6) Fasti triumph., a. 235. Per avere il trionfo bisognava contare sul terreno 10.000 nemici morti.
(7) Fasti triumph., a. 235.
(8)Zonara, loc. cit.,
(9) Livio, XXIII, 21, a. 216.
(10)Ibidem, 32, a. 215.
(11) Da questa notizia si evince che Roma aveva in Sardegna un corpo di 17.000 soldati e 800 cavalieri.
(12) POLIBIO, III, 65.
(13) GEMELLI F., Rifiorirnento della Sardegna, Torino, MLCCLXXVJ, vol. I, p. 48.